Storia
Il paese, regione dell’Asia, non fu mai completamente esplorato nel tempo antico. I primi europei che vi giunsero nel 1627 furono i gesuiti portoghesi Cacella e Cabras. Essi arrivarono nella valle dove sorgeva la città di Paro e vi rimasero otto mesi prima di riprendere il viaggio verso il Tibet. Durante questo periodo di tempo, studiarono un po’ la lingua, gli usi e costumi locali ed ebbero anche la possibilità di condurre vita monastica. Di questa loro presenza ci tramandarono lettere ed osservazioni sul paese e sulla popolazione. E queste furono poi confermate dai successivi esploratori.
Per circa un secolo e mezzo non accadde nulla e si arrivò, quindi, al 1772 quando il re del Bhutan, Deb Judhur, ebbe degli aneliti di espansione, richiamando così l’attenzione dell’India. Immediatamente Warren Hastings, statista britannico e governatore generale dell’India, inviò delle spedizioni. La prima di esse fu affidata a George Bogle ed al dott. Hamilton, nel 1774. Quest’ultimo tornò nel Bhutan successivamente nel 1776 e nel 1777. La quarta spedizione fu affidata nel 1782 al capitano Samuel Turner che rifece il viaggio sulle orme di Bogle ed arrivò a Shigatse, di cui fece un’ampia relazione.
Nel 1811 ancora un inglese, Thomas Manning, attraversò il Bhutan
occidentale per recarsi a Lhasa, capitale del Tibet.
Il Bhutan non rinunciò, comunque, alle sue scorrerie tanto che
furono necessarie altre spedizioni inglesi nel 1838, nel 1864, nel 1888
e nel 1904.
L’anno dopo, Claude White, passando dalla Valle Chumbi, attraversò la parte orientale del paese, dall’Assam al Tibet, ed il geologo Guy Pilgrim, suo compagno di viaggio, documentò tutta la missione facendoci pervenire dettagliate osservazioni su questa terra pre-himalayana.
Nel 1921 lord Ronaldshay, governatore del Bengala, attraversando il Bhutan occidentale da nord a sud, raggiunse Punaka, Tongsa e Bumtang, e da qui passò nel Tibet. Anche lui ci fece pervenire utili informazioni relative al territorio.
Nel 1907 si era stabilita, intanto, nella regione, una dinastia ereditaria il cui marajà governava senza l’ingerenza della Gran Bretagna negli affari interni, controllando però quelli esteri. E nel contempo versava al paese un sussidio annuale. Il Bhutan rimase sotto il protettorato britannico fino al 1947. Due anni dopo fu firmato un trattato con l’Unione Indiana alla quale il marajà trasferì tutti i privilegi che erano stati fino ad allora dei britannici. Il trattato stabiliva, fra l’altro, la non ingerenza dell’Unione negli affari interni del paese ma solo il controllo su quelli esteri. Inoltre, l’Unione Indiana dovette cedere al Bhutan la zona del Dewangiri. Poi dal 1958 al 1959 si ebbe un forte incremento della popolazione; così il governo del Bengala occidentale si impegnò a costruire una centrale idroelettrica la quale, sfruttando le acque del fiume Jaldhaka, confine tra il Bengala ed il Bhutan, avrebbe fornito gratuitamente a quest’ultimo l’energia elettrica. Cominciarono così i primi passi verso una più ampia colonizzazione.
Nel 1952 fu istituito il primo Parlamento e 4 anni dopo furono introdotte le riforme agrarie e sociali, prima fra tutte l’abolizione della schiavitù della gleba. Iniziarono anche le costruzioni di grandi strade per favorire le comunicazioni. Lo sviluppo economico fu aiutato dall’India e nel 1958 il Bhutan ricevette la visita del Primo Ministro indiano Nehru.
Con il progresso giunsero anche gli avvenimenti negativi. Nel 1964 il Primo Ministro bhutanese fu assassinato e si verificarono un colpo di stato ed un attentato al sovrano. Ciò non distolse il governo dal programma economico stabilito e furono costruiti ospedali, scuole e centrali elettriche.
Nel 1968 il Bhutan divenne una monarchia costituzionale e nel 1972, morto il sovrano, la sua politica progressista fu portata avanti dal figlio, suo successore, Jigs-med-sen-ge-dban-p’yug.
Nel 1971 il Bhutan entrò a far parte delle Nazioni Unite; non ebbe rapporti con la Cina ma nel 1984 si ebbero incontri annuali a Thimpu e a Pechino per dirimere alcune controversie relative ai confini.
Una questione sorse poi con i nomadi tibetani per un problema di transumanza. Nella sua politica governativa il Bhutan privilegiò sempre le sue relazioni con il Tibet, cui era legato anche dalla stessa religione buddista, a scapito di quelli nepalesi.
Nel 1990 si verificarono massicce emigrazioni nel Nepal di profughi politici bhutanesi, adepti del Partito Popolare Bhutanese, non riconosciuto dal governo. Il Nepal allestì molti campi di accoglienza in attesa di poter dirimere la questione del loro rimpatrio. Ma il Bhutan non riaprì le frontiere. Solo nel 1993 in parte poterono sistemarsi le cose. Il Bhutan, al fine di impedire l’ingresso nel paese dei profughi nepalesi, istituì ferrei controlli e fece rientrare solo quelli in grado di dimostrare la loro cittadinanza bhutanese. Per chiudere la questione intervennero anche la Croce Rossa ed Amnesty International. Nel 1994 invece il Bhutan denunciò attacchi terroristici da parte dei profughi ben addestrati nei campi nepalesi.
Nel 1998 il re Jigme Singye Wangchuk, inserendo alcune importanti riforme
nel governo, limitò i poteri della monarchia rinunciando al suo
diritto di nominare il Consiglio dei Ministri.