Storia
La prima formazione di uno stato bulgaro risale alla seconda metà del VII secolo, per opera di Isperich, figlio di Kubrat. I Bulgari, popolazione di origine mongolica, abbandonarono la pianura del Volga e riuscirono a stanziarsi fra il Danubio ed i Balcani. Per la sua posizione geografica, fra l’Europa e l’Asia, la Bulgaria fu sin dall’antichità il punto di incontro fra Oriente ed Occidente. Attraverso il suo territorio passarono le principali strade per Bisanzio, la capitale dell’Impero Romano d’Oriente.
I rapporti fra la Bulgaria e questo Impero furono ora ostili, ora amichevoli; comunque, nel X secolo il paese, sotto i re Krum, Boris I e Simeone, divenne uno stato potente, esteso su gran parte della Penisola Balcanica orientale e meridionale: Tracia, Macedonia ed Albania.
Intorno all’870 Boris, re dei bulgari, si convertì alla religione ortodossa, seguito dal suo popolo. Con Simeone, figlio di Boris, il regno bulgaro comprese anche la Serbia e la Bosnia. Nel 931 la Serbia si staccò dalla Bulgaria e costituì uno stato a sé. Nel 963 si rese indipendente anche la Macedonia.
Fra il X e l’XI secolo iniziò la decadenza del paese, allorchè l’imperatore bizantino Basilio II, soprannominato “Bulgaroctono”, cioè sterminatore dei bulgari, occupò la Bulgaria reintegrando i domini dell’Impero d’Oriente.
Dopo alterne vicende, nel 1204 il feudatario bulgaro Kalojan, dopo aver riportato grandi vittorie sui bizantini e sui serbi, si fece proclamare re dei bulgari.
Sul finire del XIV secolo la Bulgaria cadde sotto il dominio dei turchi ottomani, così come tutti gli altri stati della Penisola Balcanica.
La sua resurrezione iniziò soltanto nella seconda metà del XIX secolo; nel 1878 essa fu eretta a Principato, in seguito al Trattato di Berlino, senza però la Macedonia ed alcuni distretti attorno a Costantinopoli, restituiti alla Turchia. Nel 1885 si aggregò la Rumelia.
Nel 1908 il principe Ferdinando di Sassonia
proclamò l’indipendenza della Bulgaria ed assunse il titolo di Zar
dei Bulgari.
Nel 1912/13 partecipò all’alleanza ed alla guerra degli Stati
Balcani (Grecia, Montenegro, Serbia) contro la Turchia e conquistò
Adrianopoli; poi venne a guerra con gli alleati, del chè approfittò
la Turchia per riprendersi la città.
Nella pace di Bucarest del 1913 la Bulgaria, battuta dagli ex alleati per l’intervento della Romania, dovette rinunciare alla Dobrugia ed ai territori prima conquistati. Li riprese nel 1915/16 alleandosi con la Germania e l’Austria ed occupando la Serbia, l’Albania e la Romania. Ma nell’ottobre del 1918 crollò con gli imperi centrali e lo zar Ferdinando dovette abdicare in favore del figlio Boris III. La Pace di Neuilly fissò alla Bulgaria confini più ristretti di quelli del 1913 con la perdita dello sbocco sul Mare Egeo.
Dal 1918 al 1923 resse il governo della Bulgaria il Partito Socialista Agrario di Stambulisky, rovesciato poi dai democratici di Zankof. Dal 1926 la Bulgaria godette un periodo di calma, su cui influì l’amicizia dell’Italia.
Nel 1930 Boris III sposò Giovanna di Savoia, e benchè fosse di religione ortodossa le nozze si svolsero con rito cattolico nella Chiesa di San Francesco ad Assisi; la cerimonia fu poi ripetuta nella Cattedrale di Sofia.
Appassionato per la meccanica spesso Boris si dilettò di guidare locomotive ferroviarie. Fu però anche appassionato di entomologia e fu merito suo se a Sofia sorse l’importante Museo di Storia Naturale.
Ebbe due figli: Maria Luisa nata nel 1933 e Simeone, principe di Tirnovo, nato nel 1937, che gli successe poi al trono col nome di Simeone II.
Nel 1934 re Boris III istituì un governo dittatoriale abolendo tutti i partiti politici. Nel 1937 strinse un Patto di amicizia con la Jugoslavia ed ottenne l’abolizione delle restrizioni militari imposte col Trattato di Neuilly, ad opera della Piccola Intesa riunita a Salonicco il 31 luglio del 1938; nel 1939 strinse un patto di amicizia con la Turchia; nel 1940 ottenne pacificamente dalla Romania la retrocessione della Dobrugia meridionale ed il 1° marzo 1941 aderì al Patto Tripartito annettendo i territori di Zaribrod e Pirot, parte della Macedonia e la Tracia occidentale, con le isole Taso e Samotracia.
Nel 1945, sconfitta, fu invasa dalle truppe russe. Terminata la seconda guerra mondiale, l’Assemblea Nazionale il 15 settembre 1946 proclamò la Repubblica Popolare. Il 10 maggio 1947 si firmò a Parigi il Trattato di Pace. Il 4 dicembre dello stesso anno fu approvata la Costituzione che ammise una sola Camera, ed il 12 successivo fu formato il nuovo governo.
Il Presidente del “Presidium”, il dottor Mincho Neichev affidò il mandato a Georgi Dimitrov che lo formò con 14 comunisti, 5 agrari, 2 socialisti e 2 del partito Zvenò.
Un patto di alleanza con l’Albania fu stipulato il 16 dicembre 1947 ed il 4 febbraio 1948 si abolirono i partiti. Dimitrov fondò il governo a partito unico e firmò il Trattato di amicizia e collaborazionismo militare con l’Unione Sovietica, per la durata di venti anni. La Bulgaria venne così ad inserirsi nel sistema degli Stati Satelliti dell’Unione Sovietica.
Dopo il fallimento della guerriglia dei partigiani comunisti greci, clandestinamente aiutati dalla Bulgaria, e specialmente dopo la morte di Stalin, le relazioni con la Grecia, la Turchia e la Jugoslavia si normalizzarono.
La capitale Sofia cambiò nome tre volte. Nel I secolo dopo Cristo si chiamò Serdica; all’epoca dell’Impero Bizantino si chiamò Triaditza e dopo il XIV secolo ebbe il nome attuale.
Con l’avvicinamento totale all’Unione Sovietica, la Bulgaria perse completamente i contatti col mondo occidentale. Il 2 luglio 1949 morì G. Dimitrov e gli successe Vasil Kolarov, ma il potere vero lo detenne lo stalinista Valko Cervenkov, che mise in atto prima un processo di epurazione dei rappresentanti antistalinisti, fra cui T. Kostov, vice-presidente del Consiglio, Egli fu condannato insieme ad altri e giustiziato il 16 dicembre 1949. Poi elaborò il primo Piano Quinquennale, 1949-1953, per lo sviluppo del paese, specialmente sul piano industriale. Fu valutato l’aumento dell’industria pesante del 350% e di quella leggera del 120%. Naturalmente con ampia soddisfazione da parte dei quadri dirigenti. Tanto che se ne formulò subito un altro, 1953-1957. Ma nel 1953 Stalin morì ed il suo successore Nikita Kruscev sovvertì il pensiero stalinista, da lui non condiviso.
Per cui anche in Bulgaria, come in tutti gli altri stati satelliti, si operò un cambiamento di rotta, sia per la politica interna che per quella estera.
Cervenkov nell’aprile del 1956 dovette lasciare la carica di Primo Ministro mentre Kostov e gli altri condannati venivano riabilitati.
Al suo posto salì Anton Jugov. Con lui migliorarono i rapporti con la Jugoslavia e con la Grecia. Nel dicembre 1955 la Bulgaria fu ammessa alle Nazioni Unite e nel 1960 furono ristabilite le relazioni con gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali, fermi restando i buoni rapporti con i paesi comunisti. Ed anche quando la Jugoslavia e l’Albania divennero i maggiori dissidenti verso Mosca, la Bulgaria mantenne le sue posizioni di alleato. E questo fu il risultato del Congresso del Partito tenuto nel 1962.
Quando nel maggio del 1963 l’Unione Sovietica avanzò la proposta di denuclearizzare la zona del Mediterraneo, la Bulgaria si dichiarò d’accordo e si impegnò quale mediatore per le relazioni con gli altri paesi balcanici. Nel 1964 stipulò una collaborazione politico-economica con la Jugoslavia senza peraltro assoggettarsi al pensiero di Tito.
Nel 1965, specialmente fra le persone di cultura, si cercò di accentuare il distacco del governo bulgaro da Mosca ed anzi si produsse una crisi che, però, manovrata con buon senso, rientrò in breve tempo.
Il IX Congresso del Partito Comunista Bulgaro, tenuto nel novembre 1966, ribadì la tradizionale intesa filosovietica della dirigenza bulgara.
Per la politica estera la Bulgaria, pur continuando le buone relazioni con l’occidente e con i balcani, stipulò nel 1967 un patto ventennale di amicizia e di collaborazione con l’Unione Sovietica.
Nel 1971, dopo i moti operai della Polonia, la Bulgaria revisionò il piano quinquennale di sviluppo, ridimensionando il programma industriale ed ampliando quello relativo ai beni primari e di consumo.
Negli anni 1975/76 la Bulgaria cercò di appianare tutte le divergenze in atto con i vari paesi balcanici, ma riconfermò la piena adesione ai principi del socialismo, però sviluppato con le proprie idee e le aspirazioni del proprio popolo.
Nel novembre del 1989 il Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista Bulgaro, T. Zivkov, rassegnò le sue dimissioni. Egli era nella carica già dal 1954 ed in tutti quegli anni aveva sempre mantenuto con Mosca ottimi rapporti, ritenendo più che comuni gli interessi che accomunavano quei popoli, ambedue slavi, ambedue ortodossi.
Fra tutti i paesi satelliti la Bulgaria era la sola che non aveva mai creato crisi nell’amicizia con l’Unione Sovietica e da questa era stata ripagata con aiuti economici e tecnologici, con particolare attenzione al rifornimento energetico. E, seppure dipendente da Mosca, per tutte queste motivazioni Zivkov non trascurò il commercio estero con i paesi occidentali e dette anche l’avvìo alla privatizzazione dell’agricoltura in Bulgaria, cosa non applicata né nell’Unione Sovietica né negli altri paesi satelliti. Tanto che il debito estero del paese si mantenne sempre a livelli inferiori rispetto agli altri.
Zivkov aveva inoltre incrementato la cultura; aveva frequentato di persona le riunioni tenute dagli intellettuali, ai quali aveva anche assegnato uno stipendio di stato. Poi aveva affidato alla figlia Liudmila il compito di assisterli nel loro lavoro, di sviluppare il loro dialogo con il popolo, di riportare alla ribalta i valori storici del paese e le usanze nazionali, con un plauso particolare alla Chiesa ortodossa che, sola, in tutti quegli anni aveva continuato a mantenere vivi ed a preservarli. Qualche conseguenza negativa si ebbe da tutto questo valorizzare il nazionalismo. Prima fra tutte la recrudescenza antiturca. Si volle cancellare ogni più piccola traccia della minoranza turca; impresa difficile in un paese che per anni ed anni era stato dominato dagli ottomani. E non solo; negli ultimi decenni l’aumento demografico propriamente bulgaro aveva conosciuto una percentuale irrisoria rispetto a quello turco, che invece non aveva registrato flessioni. Per cui quando nell’estate del 1989 iniziarono violente manifestazioni di piazza, moltissimi turchi si rifugiarono in Turchia, abbandonando i posti di lavoro, creando una pesante situazione nella produzione bulgara.
A causa di tutto ciò, nessuna sorpresa ci fu quando alla guida del paese assurse il Ministro degli Esteri, il 53enne P. Mladenov, un tecnico laureato a Mosca, che era sempre rifuggito dalle apparizioni spettacolari, non condividendo per nulla il punto di vista esasperato nazionalistico nei riguardi della Turchia.
Egli si propose di dare una svolta sostanziale al governo, intanto abolendo il regime, per poter inquadrare il paese in una posizione di democrazia moderna. Alla base di questa i diritti civili e politici dei cittadini e l’emendamento principale alla Costituzione, che prevedeva l’annullamento del ruolo guida svolto fino ad allora dal partito.
Per questi meriti Mladenov fu poi eletto Presidente della Repubblica, ma per poco; fu costretto alle dimissioni perché coinvolto in un riesumato scandalo del passato.
Le prime libere elezioni si tennero nel giugno del 1990, in due tempi, ed assegnarono la vittoria al partito socialista (ex comunista).
Con l’occasione tornò alla ribalta il vecchio partito dei contadini, l’Unione Agraria, da lungo tempo dimenticato e che invece ottenne l’8% dei voti. E, cosa inaspettata, per la prima volta a far parte del governo entrò anche la minoranza turca.
Nell’autunno dello stesso anno si verificò una crisi a causa del difficile momento di transizione, ed il governo presieduto da A. Lukanov ebbe brevissima durata. Lo sostituì un altro governo di coalizione, presieduto da D. Popov. Nel febbraio 1991 si iniziò un processo contro gli ex dirigenti comunisti, primo fra tutti Zivkov. Il nuovo governo iniziò il suo difficile cammino intanto trasformando alcune imprese statali in società per azioni e poi abolì ogni controllo sui prezzi. Questo però provocò subito delle proteste popolari perché in un batter d’occhio si verificò una brusca impennata dei prezzi, specialmente di quelli dei generi di prima necessità.
Nel luglio del 1991 fu varata una nuova Costituzione che introduceva il suffragio universale per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nell’ottobre del 1991 si ebbero le elezioni legislative che assegnarono la vittoria all’Unione delle Forze Democratiche, il cui leader F. Dimitrov divenne capo del governo mentre presidente nel gennaio 1992 fu confermato Zelev.
Per tutto il 1992 durarono le proteste popolari; la disoccupazione era in rialzo per la chiusura della centrale nucleare di Kozlodui, per la mancata erogazione del petrolio russo, ed a causa della privatizzazione di molte aziende. Scioperi e disordini vari costrinsero Dimitrov a cedere la presidenza del Consiglio all’indipendente economista L. Berov. Vi fu una recrudescenza della povertà e di conseguenza della criminalità. Zelev, nell’aprile del 1994, tolse la fiducia al governo Berov per le mancate riforme economiche e per la conduzione fallimentare registrata, e Berov nel successivo ottobre si dimise.
Le elezioni parlamentari del dicembre furono vinte dal Partito Socialista il cui leader nel gennaio 1995 varò il governo di coalizione fra i socialisti e due forze minori.
Scandali e manifestazioni di massa, nonché l’assassinio di Lukanov nell’ottobre, costrinsero il governo ancora una volta ad indire elezioni anticipate. Queste si ebbero nello stesso mese e decretarono la vittoria dell’Unione delle Forze Democratiche, capeggiata da P. Stojanov.
Il 10 gennaio 1997, dietro disordini popolari, si tentò di occupare il Parlamento. La polizia intervenne soffocando nel sangue la rivolta. Alla fine dello stesso mese Stojanov riuscì a comporre un “governo di servizio”, guidato dal sindaco di Sofia, S. Sofianski, che riprese il piano di riforme economiche secondo i dettami del Fondo Monetario Internazionale, in attesa di nuove elezioni legislative.
Queste si tennero nell’aprile del 1997 e registrarono la maggioranza
dell’Unione delle Forze Democratiche. Il nuovo capo del governo, Kostov,
accelerò la trasformazione dell’economia privilegiando il commercio
con l’estero e abolendo i sussidi all’agricoltura nel maggio del 1998.
Per la politica estera la Bulgaria, pur mantenendo stretti contatti con
la Russia e gli altri paesi dell’est, entrò a far parte del Consiglio
d’Europa e chiese pure di entrare nell’Unione Europea. Con la Turchia migliorò
i rapporti consentendo anche l’insegnamento della lingua turca nelle
regioni con numero maggiore di quegli elementi etnici. E sin dai primi
mesi del 1999 rinsaldò anche le relazioni con la Macedonia che aveva
già riconosciuto nel 1992.