Storia
Le scoperte africane acquisite nel XIX secolo attirarono l’attenzione di Leopoldo II, re del Belgio. Nel 1876 egli riunì a Bruxelles una Conferenza Geografica Internazionale per lo studio dell’Africa Orientale. L’anno successivo fu fondata un’Associazione Internazionale Africana.
Quando nel 1877 il giornalista esploratore americano Stanley raggiunse l’Atlantico, dopo aver esplorato tutto il corso del giume Congo (nel linguaggio indigeno Zaire), Leopoldo II lo chiamò e lo fece assumere dal Comitato di Studi dell’Alto Congo, creato nel 1878. Stanley, con un gruppo di militari belgi, risalì tutto il percorso del fiume, decretandone il possesso, e nel suo bacino stabilì il potere della Associazione Internazionale del Congo, la cui autorità era già stata riconosciuta pure dagli Stati Uniti.
Unico oppositore fu il Portogallo, ma la Germania e la Francia aiutarono il re Leopoldo II a superare l’ostacolo. Il 15 novembre 1884 a Berlino il Cancelliere Bismark promosse una Conferenza che con un “Atto Generale” riconobbe lo Stato del Congo e su questo l’anno successivo venne proclamata la sovranità del re del Belgio.
Fino al 1890 Leopoldo II era intervenuto a sua spese per sostenere la lunga e continua esplorazione dell’immenso territorio; ed in quell’anno il Belgio intervenne finanziariamente in aiuto del re, e questi compilò un testamento in cui autorizzava il Belgio ad annettersi il Congo dopo dieci anni.
Dal 1885, e per 5 anni, tre furono le principali attività svolte: l’aumento dell’occupazione territoriale, la costruzione di vie di comunicazione e la lotta allo schiavismo.
L’esplorazione delle regioni interne continuò ad opera di alcuni ufficiali dell’esercito belga ma l’azione più importante e certamente più proficua fu quella condotta dal capitano Bia, insieme al tenente Francqui ed al geologo Cornet, e compiuta nel 1892 nel Katanga, dove furono scoperti ricchissimi giacimenti di rame.
Dal 1892 al 1894 fu ingaggiata una durissima guerra contro i negrieri arabi. Seguirono poi spedizioni al nord, che assicurarono allo stato del Congo la frontiera dell’Ubanghi, definita poi col trattato franco-congolese del 1894.
Al fine di poter sfruttare al meglio il Congo, fu necessario costruire una lunga ferrovia per collegare il Basso Congo marittimo con corso navigabile dell’Alto Congo, separati tra loro dalla zona delle cateratte. E questo lavoro fu portato a termine dal 1890 al 1898, con grandissimi sacrifici e sotto la guida dell’espertissimo tenente colonnello Thys. Fu sempre il Belgio a sostenere tutte le spese ma ne valse la pena in quanto con la ferrovia fu accelerato di molto il progresso economico del paese. Durante i lavori per la produzione del caucciù, gli indigeni protestarono per i maltrattamenti subìti dal personale di alcune compagnìe, specialmente inglesi.
Allo scopo di evitare ulteriori disordini, lo stato belga accelerò l’annessione del Congo e con una speciale legge del 15 novembre 1908 lo proclamò “colonia” belga.
I successivi 20 anni trascorsero in modo pacifico e molte opere pubbliche furono costruite, tra cui nuove vie di comunicazione, la più importante delle quali, inaugurata nel 1928, fu quella che collegò il Basso Congo al Katanga, ottenendo quindi notevoli vantaggi per l’estrazione ed il trasporto del rame.
Allo scoppio della prima guerra mondiale il Congo fu attaccato dai tedeschi. Questi poi furono respinti dalle truppe francesi e belghe unite, che nel 1914/15 conquistarono pure la colonia tedesca del Camerun, mentre le truppe inglesi difesero la Rhodesia. E la maggior parte dell’Africa Orientale Tedesca fu occupata nel 1916 dai belgi e dagli inglesi.
Nell’agosto del 1919 la Società delle Nazioni assegnò al Belgio il mandato sui territori di Ruanda e Burundi.
Durante la seconda guerra mondiale il Belgio, occupato dai tedeschi, trasferì in esilio a Londra il proprio governo che, però, potè sempre contare sulla fedeltà della “colonia”. E quando il 21 febbraio del 1941 Londra riconobbe ufficialmente il governo belga in esilio, fu anche firmato un patto anglo-belga per lo sfruttamento parallelo della colonia.
Nel settembre 1942 arrivarono sul posto le truppe americane che cambiarono sostanzialmente l’economia del Congo ed esercitarono su di esso una forte influenza con le loro ricchezze; influenza che quasi sovrastò quella belga, data l’assenza di quel governo per mitivi bellici.
Conclusasi la seconda guerra mondiale il Belgio ripristinò la sua sovranità sul Congo e con una serie di vasti investimenti fece costruire porti, strade, ospedali e scuole. Anche gli Stati Uniti cooperarono allo sviluppo della colonia, interessati però essenzialmente ai ricchissimi giacimenti di uranio del Katanga.
Ma non si verificò alcuna evoluzione in campo politico e non ci fu alcun progetto in materia, poiché le maggiori preoccupazioni dei funzionari furono sempre rivolte ai problemi economici.
Nel 1946 si costituirono un Consiglio di Stato per il Belgio ed uno per il Congo, con due funzioni: quella consultiva in campo legislativo e la giurisdizionale in quello amministrativo. L’anno successivo fu creato un Consiglio di Governo, di 65 membri, con funzioni consultive ed all’interno di esso una Delegazione permanente in aiuto al Governatore Generale.
Queste riforme amministrative non si dimostrarono soddisfacenti poiché intorno al 1955 si erano andati formando dei movimenti politici indigeni in opposizione.
Nel settembre 1958 fu creata la Comunità Francese; nel dicembre la Conferenza Panafricana ad Accra votò delle risoluzioni che, insieme ad un violento discorso tenuto da Lumumba, capo del Movimento Nazionale Congolese, fecero scoppiare gravi tumulti nella città.
Questo episodio preoccupò non poco l’allora re del Belgio, Baldovino, che d’accordo col Ministro per gli Affari del Congo Belga, corse subito ai ripari con la preparazione di un piano di riforme costituzionali che avrebbero dovuto portare, entro il settembre 1960, alla costituzione in Congo di un proprio Parlamento e di un governo assolutamente congolese.
Ma questo piano non fu accettato dai congolesi ed allora il 20 gennaio 1960 si riunì a Buxelles una Conferenza della Tavola Rotonda, composta da 81 membri congolesi, 6 membri del governo belga e vari parlamentari belgi, per poter elaborare una nuova Costituzione per il Congo. Ed alla chiusura dei lavori, avvenuta il 20 febbraio, fu stabilita la creazione della Repubblica Indipendente del Congo. Il 30 giugno 1960 ci fu la proclamazione ufficiale; il sistema di governo fu bicamerale, con il Senato e la Camera dei Deputati, e con la elezione del Capo dello Stato.
Subito si aprì nel Congo una grave crisi interna, che ebbe però molte ripercussioni internazionali. La nuova classe dirigente congolese era completamente immatura; mancavano i laureati, medici, amministratori, avvocati, ecc.. Quindi il paese si trovò subito nelle mani di capi estremisti esaltati, come fu Lumumba, capo del governo. Ed improvvisamente scoppiò una epidemia di xenofobia, specialmente antibelga, che portò gli indigeni a massacrare i bianchi. Il 9 luglio il console italiano a Elisabethville, Tito Spoglia, fu ucciso mentre cercava di difendere un gruppo di connazionali ivi residenti.
Il 14 luglio furono interrotte le relazioni con Bruxelles. Le truppe belghe cominciarono ad evacuare il paese e l’Unione Sovietica cominciò a sobillare il popolo indigeno accusando il Belgio di voler continuare ad applicare la politica coloniale. E con questo pretesto, sia il capo dello stato Kasavubu sia il capo del governo Lumumba, formulando il pensiero di un ipotetico colpo di stato belga, prospettarono a N. Kruscev una richiesta di eventuale intervento. Ed il capo russo diresse loro ampie assicurazioni in proposito.
Con questo stato dicose, il 14 luglio 1960 Moisè Tshombe, anche in base ad accordi precedenti presi a Bruxelles per la fondazione di uno stato congolese federale, proclamò l’indipendenza della ricchissima regione del Katanga, che già contribuiva al reddito nazionale nella misura del 60%.
Questa innestata crisi divenne in breve tempo internazionale e i due blocchi contrapposti, est ed ovest, si fronteggiarono ciascuno con misure diverse. Il blocco comunista inviò subito aiuti per via aerea mentre le Nazioni Unite inviarono proprie truppe ma sempre con l’intento di dominare la situazione sul piano diplomatico. Così i “caschi blu” delle Nazioni Unite sostituirono le truppe belghe, ormai tutte ritirate, ed entrarono nelle due zone del Congo e del Katanga. Il 19 settembre 1960 iniziò l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla discussione per riportare ordine nella questione congolese e l’allora segretario D. Hammarskjold invitò le popolazioni alla pacificazione ed i paesi membri a non inviare armi ai belligeranti.
Lumumba, intanto, non aveva fatto altro che sobillare il popolo alla rivolta accusando le Nazioni Unite di voler ristabilire nel Congo un regime coloniale. Questo fece reagire i militari che, sotto la guida del colonnello Mobutu il 14 settembre rovesciarono il governo e nominarono un Comitato di Commissari Governativi. Il Parlamento dovette sciogliersi, Lumumba fu messo agli arresti domiciliari e poi in prigione a dicembre, dopo una tentata fuga. La situazione sembrò sotto controllo, manovrata dal binomio Kasavubu-Mobutu, ma la Provincia Orientale, parteggiando apertamente per Lumumba, proclamò la sua indipendenza.
La calma e l’ordine furono in larga misura ristabiliti dalla presenza delle truppe delle Nazioni Unite che, però, dovettero occuparsi anche di questioni politiche, fuori dalla propria competenza.
La situazione si aggravò non molto tempo dopo, quando Lumumba fu ucciso il 17 gennaio 1971. Si scatenò una bagarre secessionista in tutto il paese ed il governo centrale, presieduto da J. Ileo, non fu in grado di tenere il controllo. Ne risultò una vasta suddivisione regionale e le cariche aumentarono di gran lunga ed i vari numerosi amministratori pensarono solo ad arricchirsi. In questo clima fu conseguenza logica la ribellione delle masse deluse, e questa scoppiò nel 1964 nella zona di Kwilu, ad opera di P. Mulele, sostenitore di ideologie maoiste. Solo verso la metà del 1965 la rivolta fu domata. All’est invece continuò e nel giugno 1964, ritornato in patria dall’esilio in Spagna, M. Ciombè prese il potere e con gli aiuti militari forniti dal Belgio e dagli Stati Uniti, anche qui nel 1965 la rivolta fu estinta.
I governativi, però, a Stanleyville nel novembre dello stesso anno ripresero il governo. Sorse una dura disputa fra Ciombè ed il presidente Kasavubu, che lo aveva dimesso e sostituito con E. Kimba, e ne uscì vincitore il generale Mobutu che il 24 novembre 1965 divenne il nuovo capo. Egli disciolse tutti i partiti politici poi formò un governo di civili presieduto dal generale L. Mulamba.
Mobutu fu ritenuto il salvatore della patria; dopo aver domato altre ribellioni nelle varie zone del paese, nell’ottobre 1968 dette un colpo di grazia ai ribelli giustiziandone il capo P. Mulele.
Da quel momento il governo di Mobutu fu teso prevalentemente al riordinamento dell’economia dello stato, che si chiamò Zaire; nazionalizzò l’Unione Mineraria e con l’aiuto degli Stati Uniti e dell’aumento del prezzo mondiale del rame ridusse notevolmente il debito con il Belgio. Nel giugno del 1967 praticò la riforma monetaria ed il liberismo, per cui aumentarono anche gli investimenti stranieri. Nel 1966 fu ridotto il sistema amministrativo delle province,che divennero solo 8, e si potè procedere alla riorganizzazione del sistema politico in tutto il paese.
Nel 1967 nacque il partito unico detto “Movimento Popolare della Rivoluzione”; nel giugno fu promulgata una nuova Costituzione. Con le elezioni del 1970 Mobutu fu confermato presidente con la maggioranza assoluta, e nel novembre aggiornò il Consiglio legislativo nazionale. Poi concesse una ampia amnistia politica ed iniziò un’opera di africanizzazione dello stato cambiando i nomi europeizzati. Così, mentre Congo era diventato Zaire, Leopoldville si chiamò Kinshasa; fece comporre un nuovo inno nazionale e cambiò la bandiera. Egli stesso cambiò nome e si chiamò Mobutu Sese Seko anziché J. Desirè.
Nel 1972 innescò una diatriba con l’arcivescovo di Kinshasa, il cardinale J. A. Malula, intimandogli di rimanere a Roma e di non rientrare in patria. Introdusse molte riforme costituzionali, ma non ebbe il consenso unanime della popolazione. Si costituì infatti un “Fronte di Liberazione Nazionale del Congo”, con basi in Angola.
I primi moti dei ribelli si verificarono dal 1977 e poi nel 1978 e fu necessario l’intervento delle truppe belghe e francesi, nonché quello di una forza di pace africana, per riportare il governo a controllare la situazione. E si ebbero dure repressioni.
Per la necessità di ottenere aiuti economici e militari dalla Francia e dal Belgio, Mobutu si riavvicinò sempre più alle potenze occidentali, allentando quindi le relazioni con i paesi socialisti e così dal 1976 al 1978 ci fu una vera altalena fra la rottura dei rapporti con l’Angola, Cuba e Repubblica Democratica Tedesca, in parte poi ripristinati. Con l’accentuarsi delle difficoltà economiche, lo Zaire fu posto sotto l’amministrazione fiduciaria da parte del Fondo Monetario Internazionale.
Nonostante tutto Mobutu Sese Seko fu rieletto fino alla scadenza del 1991. La sola cosa positiva che si verificò in quegli anni fu l’introduzione del multipartitismo. Ma ormai da tempo i più grandi investitori come gli Stati Uniti, la Francia ed il Belgio, non furono più presenti nell’economia del paese. E ciò anche in aggiunta al disaccordo che si era creato col governo di Mobutu Sese Seko che, in violazione dei diritti umani, si era reso colpevole di continue violenze. Infatti nel 1990 gli Stati Uniti annullarono l’assistenza economica allo Zaire; nel 1992 cessarono anche quelli della Comunità Economica Europea, meno quelli umanitari, e nel 1994 il Fondo Monetario Internazionale privò lo Zaire anche del diritto di voto. Sempre nel 1994 prese il governo L. Kengo Wa Dondo, un esperto economista che, oltre a programmare il ripristino di una migliore situazione interna, si preoccupò anche di riportare allo Zaire il prestigio internazionale. Si ebbe subito qualche buon risultato, specialmente sul fronte inflazione. Ma la stabilità economica era strettamente legata a quella politica, per cui furono programmate nuove elezioni per il 1995 che, però, furono rimandate a data da stabilire.
Sempre nel 1994 Mobutu decise di accogliere nello Zaire i rifugiati politici Hutu provenienti dal vicino Ruanda. L’arrivo di circa due milioni di profughi fece scoppiare lotte di etnìe diverse che portarono alla sua defenestrazione, e poi a quella del suo successore L. D. Kabila. Ciò indusse gli Stati Uniti e la Francia ad offrire per vie traverse i loro aiuti, a partire dal 1996.
Le etnìe che provocarono i disordini furono, come nel Ruanda, quelle degli Hutu e dei Tutsi. I primi furono spalleggiati da Mobutu ed i secondi da Kabila che, con l’aiuto di Ruanda, Uganda e Zimbabwe, fra il 1996 ed il 1997 riuscì a sottomettere tutte le province; poi si autoproclamò presidente della Repubblica Democratica del Congo, togliendo dalla denominazione dello stato il nome di Zaire.
Intanto Mobutu aveva cercato rifugio prima nel Togo e poi nel Marocco
e qui, a Rabat, morì il 7 settembre 1997.
Kabila iniziò il suo governo attorniandosi di collaboratori
tutti della sua stessa etnìa, i Luba del sud-est, e quindi liquidò
tutti i suoi alleati, intimando loro di lasciare il paese.
Il malcontento che ne scaturì divenne in breve tempo una aperta
rivolta ed i ribelli Tutsi, spalleggiati da Ruanda ed Uganda, iniziarono
la loro marcia verso Kinshasa, muovendo dall’est del paese, da dove la
ribellione era scaturita il 2 agosto 1998.
I ribelli però furono fermati alle porte di Kinshasa dalle truppe
di Angola, Zimbabwe e Namibia, intervenute in nome di quella “Southern
African Development Community”, della quale faceva parte anche la Repubblica
Democratica del Congo già dal 1997.
Kabila approfittò della situazione ed in nome del nazionalismo congolese spinse la popolazione a cacciare i nemici Tutsi definendoli invasori e così, mentre a suo tempo aveva conquistato il potere col loro aiuto, a questo punto si trovò invece ad avere alleati gli Hutu. Questi, acerrimi nemici dei Tutsi, si prodigarono ad aiutare Kabila, ma il loro principale scopo fu sempre quello di poter riuscire un giorno a scalzare i Tutsi dal governo del Ruanda.
Nei primi mesi del 1999 la sanguinosa guerra non accennava ancora a
spegnersi, nonostante le aperture democratiche promesse da Kabila.