CROAZIA

Storia

La storia della Croazia comincia ai primi del VI secolo, quando le popolazioni slave, soggette agli Avari, migrarono dalla regione del medio Danubio verso sud-est, nella regione compresa fra la Drava e la Sava e verso la costa adriatica.

Sul finire dell’VIII secolo Carlo Magno, battuti gli Avari, trasferì la Signorìa della Croazia ai Marchesi del Friuli; religiosamente la Croazia dipendeva dai Patriarchi di Aquileia.

Più tardi la Croazia Avarica, cioè la parte compresa fra la Drava e la Sava, entrò nell’orbita politica germanica, mentre la Croazia Adriatica divenne parte del Regno Italico.

La Croazia Adriatica si ingrandì nel corso del IX secolo; i suoi duchi estesero il loro dominio anche sulla Croazia Avarica ed uno di essi Tomislavo, nel 910, assunse il titolo di Re.

Ma nel corso dell’XI secolo l’espansionismo di Venezia e dell’Impero Bizantino all’esterno e le lotte interne, indebolirono il regno di Croazia che, tra la fine del secolo XI e l’inizio del XII, cessò di esistere e divenne vassallo del Regno d’Ungheria.

Il nuovo regime ducale sotto la corona ungherese durò dal 1102 al 1536, ed in questo periodo il territorio croato andò riducendosi sempre di più per l’azione dei  Veneziani, dei Bizantini e soprattutto dei Turchi, le  vittorie dei quali determinarono, nella seconda metà del XV secolo, un imponente esodo di croati verdo nord, cosicchè il nome di Croazia si restrinse alla parte occidentale della regione fra la Drava e la Sava.

Battuti gli ungheresi dai turchi alla battaglia di Mohacs del 1526, la Croazia passò in dominio alla casa d’Austria e vi rimase fino al 1918, fatta eccezione per il periodo 1809/13, nel quale fu unita alle napoleoniche provincie illiriche.

Ed in questo periodo si cominciò a delineare un movimento nazionalista di rinascita. Parallelamente in Ungheria stava succedendo la stessa cosa. Lì nel 1848 scoppiò una rivoluzione. La Croazia vide in questo una occasione per potersi distaccare dall’Ungheria ed acquisire una sua propria fisonomia. E questo avvenne nel 1849 quando ebbe la Costituzione e potè annettere pure la città di Fiume con relativo Litorale. Ma tutto sempre alle dirette dipendenze della corona Asburgica.

Ciò durò fino al 1861 quando la Dieta Croata protestò per la situazione e quindi fu fatta sciogliere. E siccome nessuna altra Dieta potè essere eletta, dal 1865 al 1867 i nazionalisti, capitanati da Monsignor Strossmayer, vescovo di Gjacovo, lavorarono con alacrità per poter formare un regno di Croazia-Dalmazia-Slavonia, comprendente anche le isole del Golfo del Quarnero.

Tutto fu inutile perché Ungheria ed Austria addivennero ad un compromesso e tutte le speranze croate di autonomia rimasero deluse.

Nel 1868 fu stabilito pure un compromesso ungaro-croato per il quale la Croazia vide accrescersi la sua autonomia dall’Ungheria, e Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, concesse l’autorizzazione ad eleggere un’altra Dieta, purchè più a lui sottomessa.

La Dieta fu eletta nel 1873. Due anni dopo fu capo Mazuranic che governò pacificamente ed introdusse importanti riforme. A causa dell’intransigenza di alcuni nazionalisti croati, si ebbero dei sanguinosi conflitti con l’Ungheria, e la Croazia dal 1883 al 1903 fu sottoposta ad un duro regime di oppressione.

Anche la situazione economica andò sempre più peggiorando finchè nel maggio 1903 si ebbero disordini a Zagabria ed in alcune altre città, contro i latifondisti ungheresi.

Nel 1908 un nuovo periodo di repressione venne ad affliggere il popolo croato, che continuava a difendere la sua autonomia nazionale nei confronti non solo dell’Austria e dell’Ungheria, ma anche degli Slavi del sud.

Nel 1918, passata la  prima guerra mondiale, la Croazia andò a far parte del Regno Trino di Jugoslavia. E dopo l’occupazione di questo da parte delle forze dell’Asse, nella primavera del 1941, in piena seconda guerra mondiale, la Croazia venne costituita in Regno Indipendente e come re fu designato Aimone di Savoia-Aosta, Duca di Spoleto, il quale però non salì mai sul trono e non svolse mai alcuna funzione. Egli assunse il nome di Tomislavo II, ma abdicò prima della fine della guerra. E quello fu il momento in cui la Croazia entrò nella compagine statale jugoslava.

Essa fu una delle sei repubbliche federali jugoslave, ed anche una delle migliori dal punto di vista commerciale, possedendo i porti più efficienti.

Ma dovette uniformarsi alle deliberazioni di Josip Broz, alias Tito, imposte a tutte le regioni e, quindi, si trovò a subìre espropriazioni senza indennizzi ed a sopportare la eliminazione di quella classe, nota col nome di borghesia, che nei regimi totalitari deve forzatamente sottostare ai più elevati interessi dello stato.

Anche i contrasti da sempre esistenti  tra croati e serbi, dovuti alla preponderanza serba nella Krajina, regione croata, dovettero essere smorzati ma certamente non morirono mai i motivi che li avevano provocati.

Quando negli anni sessanta in Jugoslavia si perseguì il rinnovamento e l’autogestione ad opera di V. Bakaric,un croato molto vicino a Tito, anche in Croazia se ne sentirono immediati benefici. La situazione economica nel 1965 ricevette maggiori impulsi dal turismo, dalle rimesse degli emigrati e dalle numerose commesse in arrivo dal Terzo Mondo.

Subito i massimi dirigenti operarono dei decentramenti di potere e favorirono l’espansione della democrazia. Nel 1966 si scoprirono degli abusi di potere a carico del serbo A. Rankovic contro la Croazia e ciò fece riesumare quei vecchi rancori mai sopiti fra le due etnìe.

Molti intellettuali, con la creazione di un movimento a carattere nazionalista, chiamato “Maspok”, riportarono alla luce i tanti problemi relativi alla lingua, alla cultura, alla storia ed alla stessa economia della Croazia. Nel 1971, in occasione di una revisione della Costituzione Federale, questi problemi vennero di più accentuati  tanto che i serbi, prevedendo disordini e ribellioni, furono costretti ad armarsi.

La paura dell’insorgere di un nuovo disastroso conflitto obbligò Tito ad intervenire ed a comandare la eliminazione della Maspok, facendo arrestare i massimi esponenti. Ne nacque una crisi profonda; i massimi dirigenti croati agli aneliti nazionalisti del popolo furono costretti ad opporre un ostinato silenzio.

E si arrivò al 1989 quando in  tutto il mondo comunista si instaurò un ampio processo di democratizzazione, specialmente dopo la caduta del muro di Berlino.

Nel gennaio del 1990, con la completa dissoluzione del regime comunista, si poterono effettuare libere elezioni. Il popolo, ancora impreparato a tanta improvvisa libertà, votò per la vittoria della Comunità Croata indipendente, capeggiata da Tudjman.

Ed egli pensò subito di incrementare lo spirito nazionalista e separatista croato, ed il 25 giugno 1991 proclamò l’indipendenza.

Ma nella regione della Krajina la stragrande maggioranza serba, sull’esempio del resto del paese, dichiarò di volersi  distaccare dalla Croazia, come aveva già tentato nel 1971, e questo significò la guerra civile. Era la fine di giugno del 1991. Ancora alla metà dell’anno 1992 la guerra infuriava, seppure in toni più ridotti.

Si dovette pensare a risanare l’economia, disastrata dagli eventi bellici, e a debellare la criminalità, nel frattempo aumentata. Le elezioni politiche del 2 agosto 1992 riassegnarono la vittoria al partito di Tudjman.

Egli, allo scopo di ripristinare l’ordine e la legalità nel paese, fu costretto a tenere saldamente in pugno il governo ed operò delle restrizioni, specialmente nel campo della libertà di stampa e delle autonomie  locali.

Nonostante ciò, venne a svilupparsi un certo regionalismo, in particolare in Dalmazia nella zona di Fiume, ma soprattutto in Istria. Qui si dovette tener conto delle varie etnìe presenti, compresa quella italiana, una minoranza verso la quale Tudjman non si dimostrò mai particolarmente generoso.

I croati, intanto, avevano peggiorato non solo la loro economia, con il perdurare della guerra,  ma anche i rapporti con tutti i  paesi vicini. Con l’Italia si iniziò una polemica riguardante la tentata  “croatizzazione” della comunità italiana nell’Istria e proprio qui Tudjman, che aveva sperato di trionfare alle elezioni  amministrative del 7 febbraio 1993, innescando una grossa azione nazionalista di recupero della regione Krajina, peraltro fallita, conobbe invece una grande sconfitta. A seguito di questa azione militare anche la Russia intervenne chiedendo l'applicazione delle sanzioni sia alla Croazia che alla Serbia.  L’immagine della Croazia come stato desideroso di democrazia, nel periodo più importante di transizione post-comunista, ne rimase offuscata agli occhi di tutto il mondo.

Il 19/20 giugno 1993 in Krajina si svolse un referendum, indetto dalla autoproclamatasi “Repubblica della Krajina Serba”. Ciò per la riunificazione con la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina e con gli altri stati serbi.

Nel settembre 1993 ancora un tentativo di destabilizzazione si verificò quando i croati di Bosnia-Erzegovina, appoggiati da Zagabria, si rifiutarono di cedere ai musulmani una città della costa dalmata, data la loro necessità di avere uno sbocco sul mare. Questo fatto rischiò di far fallire le trattative fra musulmani e serbi, già intraprese e denominate “Piano Owen-Stoltenberg”.

Molti “Caschi Blu” delle Nazioni Unite furono inviati sul posto per sorvegliare che la tregua instaurata fra i due stati non fosse turbata da alcuna violazione.  Nel marzo 1994, per tutti gli sforzi fatti dagli Stati Uniti, dalla Russia, dall’Unione Europea e dalla  Confederazione Internazionale per la ex Jugoslavia, questa tregua era ancora operante, sebbene la stampa e la propaganda croate lavorassero sempre per mantenere sveglia la tensione.

Nel dicembre 1994 si stipulò fra le due parti un accordo economico che promosse la riapertura di alcune importantissime vie di comunicazione per la ripresa delle attività, come l’autostrada Zagabria-Lipovac (Belgrado), l’oleodotto Adria da Fiume a Sisak e la centrale idroelettrica di Obrovac.

Fu proposto anche un piano politico in base al quale la Repubblica Serba di Krajina, all’interno della Repubblica di Croazia, poteva usufruire di una sua propria moneta e di una sua propria bandiera. Questo piano, chiamato Z4, non fu accettato dalle due parti. Il governo croato, oltre a non voler perdere la sua sovranità su quella parte del suo territorio, temeva anche una uguale presa di posizione da parte delle regioni dell’Istria, Dalmazia e Slavonia, che da molto tempo premevano a questo scopo.

Invece per i Serbi di Krajina questo piano avrebbe significato contentarsi di poco e gettare alle ortiche tutti gli sforzi fino ad allora compiuti per riunirsi con la Bosnia-Erzegovina al fine di creare quella che per tutti loro doveva essere la “Grande Serbia”.

Così gli scontri armati, specialmente sull’autostrada Zagabria-Lipovac, furono sempre più frequenti, finchè nell’aprile-maggio 1995 i croati misero in piedi una offensiva, nota col nome di “operazione Flash”, per ridurre al silenzio i secessionisti di Slavonia. Poi il 3 agosto 1995  si iniziò  l’”operazione Oluja” per la riconquista della Krajina. Cosa che riuscì.

Però i serbi abbandonarono il territorio dirigendosi, secondo i dati delle Nazioni Unite, in 170.000 verso la Bosnia-Erzegovina. I croati completarono l’opera incendiando tutte le abitazioni serbe ed uccidendo, per “pulizia etnica”, tutti i serbi vecchi che non avevano lasciato le loro case.

Bisognava, alla fine, sistemare la questione della Slavonia orientale, sotto il controllo dei serbi locali, e per garantire la tranquilla sopravvivenza della popolazione  si arrivò, a Dayton negli Stati Uniti, ad un accordo sottoscritto da A. Izetbegovic e S. Milosevic con F. Tudjman. Questo accordo fu ratificato a Parigi il 14 dicembre 1995. Ma ne fu necessario un altro, quello di Erdut, città della Slavonia orientale, fra i serbi locali ed i croati, e questo stesso paese  fu posto sotto la diretta tutela delle Nazioni Unite per due anni. Poi, per normalizzare le relazioni fra Zagabria e Belgrado, nell’agosto 1996 ad Atene fu siglato un ulteriore  accordo. Sempre nel 1996 la  Croazia entrò a far parte del Consiglio d’Europa, anche se non aveva in massima parte ottemperato al rispetto delle minoranze, della libertà di stampa e delle opposizioni. Anzi, Tudjman continuò ad applicare una politica dura con tutti i paesi limitrofi, tanto che fra il 1996 ed il 1997 riuscì anche a peggiorare i rapporti con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, non rispettando i patti sottoscritti a Dayton.

Ma intanto, all’interno delle sue competenze, Tudjman nel 1995 aveva indetto elezioni anticipate e le aveva vinte anche con un notevole calo di voti, dovuto alla fortissima astensione in molte regioni.

Questa ulteriore vittoria lo convinse a mantenere la sua politica, anche perché nel giugno 1997, per la terza volta, le presidenziali lo confermarono alla guida della nazione.

Ma qualcosa stava cambiando in seno al partito di governo. Alla Camera non venivano condivisi da tutte le forze presenti i programmi relativi alle scuole gestite dalle minoranze etniche. Anzi nel dicembre 1997 ci furono delle gravi tensioni in Parlamento perché nella stesura di un emendamento da approvare erano state eliminate, dagli elenchi delle minoranze, quelle slovena e musulmana.

Tutto questo ebbe una certa ripercussione anche nei rapporti con Bosnia-Erzegovina, che naturalmente vedevano sempre più incerte le relazioni con la Croazia.

Ma le difficoltà non erano solo politiche. L’economia era andata sempre più peggiorando, la disoccupazione era aumentata, le privatizzazioni, il cui completamento era stato programmato per il 1997, invece nel 1998 erano ancora in progettazione; inoltre era stata introdotta l’imposta sul valore aggiunto, che aveva dato una spinta al carovita. Nonostante le assicurazioni del governo che inducevano la popolazione alla fiducia, si verificarono molti scioperi e disordini.

Come se non bastasse tutto ciò, nel 1999 la situazione venne aggravata dalla guerra nel Kosovo.  Caddero anche le speranze croate di poter avere introiti  nel campo delle attività turistiche, con la mancanza di fondi per pagare i salari ai lavoratori, con i fallimenti delle banche e delle imprese, e quant’altro, si arrivò alla viglia di nuove consultazioni politiche in uno stato di vero caos.

Tudjman il 10 dicembre 1999 morì e la Croazia, per sovrammercato, dovette accollarsi pure  le difficoltà di preparare le elezioni  previste per il gennaio del 2000 e quelle presidenziali che, per legge, devono essere effettuate dopo sessanta giorni dalla morte del presidente.