Storia
Il grande Ferdinando Magellano, durante il suo viaggio intorno al mondo,fu il primo europeo che scoprì, nell’immensità dell’Oceano Pacifico, le isole Filippine.
Quando egli vi giunse, le isole erano già abitate da popoli malesi provenienti da sud,ed erano organizzate a sultanati, abbastanza progrediti.
Nel 1564, 43 anni dopo la morte di Magellano, una flotta spagnola al comando del “conquistador” spagnolo Miguel Legaspi sbarcò alcune centinaia di armati nella baia di Manila, con lo scopo di assicurare il possesso dell’intero arcipelago alla Spagna. Le isole furono chiamate Filippine in onore del re Filippo II di Spagna.
Il dominio della Spagna durò tre secoli, terminando nel 1898, quando scoppiò una rivolta ed i filippini, al comando di Emilio Aguinaldo, chiesero l’indipendenza e proclamarono la Repubblica. Ma in quell’anno i filippini avevano trovato degli alleati nel governo statunitense, per cui scoppiò una guerra fra la Spagna e gli Stati Uniti.
In breve l’esercito spagnolo fu battuto e col trattato di Parigi del 1898 le Filippine furono cedute agli Stati Uniti. Gli americani non considerarono mai il paese come una colonia, ma cominciarono subito ad avviarlo verso l’autonomia e l’indipendenza. Nel frattempo diedero impulso all’economia, ai traffici, all’istruzione.
Nel settembre 1921 le provincie di Jolo, Moro, Lanao e Cotabo insorsero contro le autorità statunitensi ed il 15 novembre fu proclamata la Repubblica Filippina,indipendente, ma protetta dagli Stati Uniti. Questi nel 1935 approvarono l’istituzione di un governo indipendente presieduto da Manuel Quezon.
Durante la seconda guerra mondiale, fra il dicembre 1941 ed il maggio 1942 i giapponesi si impadronirono delle Filippine e vi rimasero fino al 1945, allorchè ne furono cacciati dagli americani, alla fine del conflitto.
Ritornate a Repubblica, le Filippine concessero, il 14 marzo 1947, agli Stati Uniti e per 99 anni, l’uso di 5 importanti basi navali e conclusero con essi un trattato di mutua difesa, a Washington il 30 agosto 1952.
Ma intanto nel 1949 si era andata sviluppando una rivolta contro gli americani, accusati di avere impedito, con il loro continuo gettito di aiuti finanziari, lo sviluppo e l’industrializzazione del paese. Questi rivoltosi si chiamarono Huk e cercarono di propugnare nel paese una riforma agraria antifeudale, ispirata dai comunisti cinesi.
Il Ministro della Guerra, Ramon Magsaysay, era quasi riuscito a debellare gli Huk quando Elpidio Quirino, liberale, presidente sin dal 1948, promulgò una amnistia decretando la fine delle ostilità.
Ramon Magsaysay, intorno al quale si era riunita tutta la opposizione, si dimise dal governo e si presentò candidato nazionalista alle elezioni presidenziali del 1953. Le vinse a scapito di Quirino.
Divenuto presidente dopo aver ottenuto la resa di Luis Taruc, capo degli Huk nel maggio 1954, propugnò subito una riforma agraria tendente ad eliminare il latifondo e lanciò una sostenuta campagna contro la corruzione.
Ma prima ancora che si potesse veder scaturire qualche risultato dalla sua opera, morì in un incidente aereo il 17 marzo 1957. Gli successe il vice-presidente C. Garcia, anch’egli nazionalista, che poi fu riconfermato alle elezioni.
Per ciò che riguardò la politica estera le Filippine costituirono fin dall’inizio la punta avanzata dello schieramento anticomunista asiatico e l’ente preposto a questo scopo ebbe la sua costituzione nella capitale Manila il 6 settembre 1954.
Le elezioni parziali del 1959, impostate su una campagna di sganciamento economico dagli Stati Uniti, furono vinte dal partito nazionalista di Garcia. Quelle generali del 1961, invece, furono vinte dal partito liberale di D. Macapagal. Questi si trovò subito in gravi difficoltà; per prima cosa gli Stati Uniti si rifiutarono di concedere un prestito di 73 milioni di dollari poiché non approvarono le motivazioni per cui venivano richiesti, e poi perché dovette dimettersi per corruzione il vice-presidente e Ministro degli Esteri, Pelaez.
Cosicchè con le elezioni del 1965 tornò al potere il partito nazionalista e presidente fu F. Marcos, che stabilì subito un piano economico comprendente l’industrializzazione del paese con impulso alle aziende private. Vennero così ad essere incentivate l’industria chimica e meccanica e quella della lavorazione del legno.
Veloci furono i miglioramenti tanto che Marcos fu riconfermato presidente anche alle successive elezioni del 1969. Egli sognava di applicare la riforma agraria, la stabilizzazione della moneta e l’integrazione delle strutture.Ma la troppa differenza fra le classi sociali e per di più l’alto sviluppo della corruzione, portarono nel 1970 a disordini e ribellioni.
Ma non era tutto; nelle isole di Luzon era ripresa la guerriglia degli Huk, mentre a Mindanao infuriavano le lotte fra cristiani e musulmani. Nel 1972, stando ancora così le cose, Marcos accentrò tutti i poteri nelle mani di uomini a lui fedeli.Il 17 luglio 1972 fu convocata una Assemblea Costituente nel corso della quale si trasformò il regime presidenziale in un sistema parlamentare monocamerale.E nel gennaio del 1973 le Filippine furono una Repubblica Parlamentare col potere ben saldo nelle mani di Marcos.
Per la politica estera, che era sempre stata filo-americana, Marcos si dichiarò d’accordo con Nixon, allora presidente degli Stati Uniti, quando questi proclamò il ridimensionamento dell’impegno americano in Asia.
Dopo di che riallacciò i rapporti con tutti i paesi fin lì ritenuti nemici, prima fra tutti, la Cina popolare. Nel gennaio 1973, a seguito di atti di guerriglia sparsi in tutto il paese, Marcos proclamò una legge marziale che gli attribuiva poteri straordinari.
Nel 1974 i guerriglieri del “Moro National Liberation Front” occuparono la città di Jolo, capoluogo delle isole Sulu. Un anno dopo fu indetto un referendum affinchè i cittadini si pronunciassero pro o contro il mantenimento di questa legge marziale. Ed il presidente fu autorizzato a continuarla. Poi Marcos, nel marzo 1977, concesse il via alla formazione di un governo autonomo provvisorio nella striscia meridionale delle Filippine, comprendente l’isola di Palawan, le Sulu e metà di Mindanao. A questo governo poterono partecipare gli aderenti al Fronte Moro.
Per la politica estera, a seguito della nuova politica americana, Marcos fu costretto a riaccostarsi alla Cina ed infatti, onde perorare di persona la causa per il suo paese, si recò in visita a Pechino, dopo aver rotto i rapporti con Taiwan. E nel giugno 1976 ripristinò le relazioni con l’Unione Sovietica e, quindi, si rese necessaria una visita ufficiale anche a Mosca.
Nelle elezioni del 1978 Marcos concesse la partecipazione anche al Movimento Democratico Popolare, capeggiato da B. Aquino, senatore in carcere in attesa di esecuzione. Ma solo la partecipazione, senza campagna elettorale. Il partito di governo vinse le elezioni ed in quella circostanza Marcos restituì la libertà ad Aquino e gli affidò un posto di consigliere in quello che doveva essere istituito “Consiglio dei Capi”.
Nel gennaio del 1981 fu abrogata la legge marziale, sia perché la guerriglia era pressochè sparita sia perché il popolo,col miglioramento della situazione economica generale, potè usufruire di un reddito superiore a quello di alcuni anni prima, e quindi deboli erano rimasti i motivi per contestare.
Ma certamente la situazione economica era sempre precaria e perciò nel 1982 Marcos tornò a negoziare con gli Stati Uniti, dopo gli anni della presidenza Carter, a lui sfavorevole. Egli rinnovò agli Stati Uniti la concessione di due basi aeree, quella di Subic Bay e quella di Clark, in cambio di un affitto annuo di 100 milioni di dollari.
Il 21 agosto 1983, dopo tre anni di esilio negli Stati Uniti, al suo rientro in patria, Aquino venne assassinato all’aeroporto di Manila. Egli doveva presentarsi candidato alle elezioni presidenziali previste per il 1984. Per questo assassinio fu sospettato il braccio destro di Marcos, il generale F. Ver.
I funerali di Aquino dettero l'avvìo a manifestazioni popolari contro il regime. Ma, dato il sostegno dell’esercito, delle forze imprenditoriali e degli Stati Uniti, Marcos potè continuare a governare. Solo che, ormai, per la sua salute precaria, si rese necessario pensare alla sua successione.
Nel 1984 le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale videro la vittoria dell’opposizione ed allora Corazon Aquino, vedova del senatore assassinato, pose la sua candidatura per le elezioni successive del 1986. Ed infatti il 7 febbraio del 1986 le elezioni si tennero, sia pure fra disordini e morti, ed assegnarono la vittoria a Cory Aquino.
Marcos però non volle demordere e si autoproclamò ancora presidente. Cory Aquino, allora, lanciò la parola d’ordine della “disobbedienza civile”. La Chiesa cattolica, la borghesia e le forze armate, temendo la presa di potere dei comunisti, si strinsero intorno all’Aquino. A questo punto, non solo i membri del regime cominciarono ad abbandonare l’incarico, ma anche gli Stati Uniti vollero mantenersi nella più stretta neutralità, non volendo essere immischiati in eventuali ibride situazioni.
Nel febbraio 1986 il Ministro della Difesa, Erile, ed il Capo di Stato
Maggiore, Ramos, invitarono Marcos a dimettersi; egli lo fece e poi si
ritirò nella base americana di Clark, mentre Cory Aquino si
inseriva come Presidente di un governo provvisorio.
Appena insediata al governo Cory Aquino ebbe subito a combattere contro
una precaria economia ma anche con i due rami della guerriglia: al
nord quella comunista ed al sud quella del Fronte Moro. Nel settembre 1986
furono fatti degli accordi con ambedue i gruppi per la cessazione delle
ostilità. Queste, tuttavia, continuarono al nord contro le forze
governative e provocarono l’allontanamento di Erile.
Sempre nell’autunno di quell’anno Cory Aquino si recò a Washington ed ottenne, dall’allora presidente Reagan, un aiuto economico di 200 milioni di dollari. E, nel frattempo, i due gruppi guerriglieri ripresero le ostilità.
Ci fu un colpo di stato nell’agosto del 1987, guidato dal colonnello G. Honasan, ex braccio destro di Erile; per di più il potere di Cory Aquino andava indebolendosi a causa della corruzione dilagante ed anche la Chiesa cattolica rumoreggiò per il notevole malcostume imperante.
Il 28 settembre 1988 ad Honolulu si spegneva Marcos, ma i pericoli per Aquino si intensificarono. Nel dicembre 1989, infatti, si verificò un altro colpo di stato che potè essere domato solo dopo 5 giorni di sanguinose battaglie e con l’aiuto sia dell’aviazione americana, sia con l’intervento del Cardinal Sin.
Nell’ottobre successivo un altro avvenimento arrivò a turbare la già precaria situazione. Una piccola schiera di militari, di stanza a Mindanao, capeggiata dal colonnello A. Noble, si ammutinò e proclamò l’isola una Repubblica Indipendente. Tutto ciò fu smantellato in 24 ore. E non fu tutto, al sud del paese, e specialmente al sud di Mindanao, ci furono dei movimenti separatisti da parte musulmana. Per non complicare le cose Cory Aquino concesse una certa autonomia alle regioni interessate, ma questo certamente dimostrò quanto fosse debole e precario l’equilibrio della sua politica presidenziale. Tanto è vero che alle elezioni del maggio 1992 fu eletto presidente F. Ramos, protestante, in un paese dalle ben radicate tradizioni cattoliche, e senza essere neppure membro di una famiglia di grandi ricchezze. Cory Aquino non si presentò alle elezioni, anzi Ramos fu il suo candidato.
Intanto, nel novembre 1991, era rientrata in patria, dall’esilio forzato, Imelda Marcos, vedova del dittatore scomparso. Ramos formò un esecutivo di coalizione e poi continuò una politica di rilancio dell’economia e di riconciliazione nazionale. Nel settembre 1992 concesse una amnistia; intavolò negoziati con le due formazioni guerrigliere, comunista e musulmana. Liberalizzò l’economia, incentivò la capitalizzazione straniera. Alle elezioni del 1995 per la Camera dei Rappresentanti, la coalizione governativa fu premiata.
Nonostante i colloqui, le tregue, gli accordi proposti, la guerriglia,
momentaneamente sospesa, riprese a dividere il paese.
Nel 1998 ci furono le nuove elezioni, alle quali, per ordinamento costituzionale,
non potè presentarsi Ramos. Vinse il vice-presidente J. Estrada,
sostenuto non solo da Imelda Marcos, ma anche dal “Partito della Lotta
delle Masse Filippine”, che conquistò la maggioranza anche alla
Camera dei Rappresentanti. Intanto i colloqui per la pacificazione nazionale
furono di nuovo sospesi e nel dicembre 1998 tornarono a scontrarsi il Fronte
Moro e l’Esercito nazionale e questi scontri continuarono ancora per tutto
il corso del 1999.