Storia
Il territorio che corrisponde all’odierna Francia fu abitato nell’antichità da varie popolazioni. Dal 1000 al 700 avanti Cristo vi si stabilirono i Liguri, gli Iberici, i Fenici ed i Greci; questi ultimi vi fondarono, lungo le coste, le loro più importanti colonie, fra le quali Massilia, poi Marsiglia, Nicaea, poi Nizza, ed Antipolis, poi Antibes.
Nel VI secolo arrivarono i Celti, guerrieri, provenienti dalle regioni del Danubio. Essi erano organizzati in “clan” a capo dei quali ci furono dei sacerdoti, i Druidi. Questi, oltre al loro compito del sacerdozio, istruivano anche militarmente i loro giovani. La loro vita scorreva al modo primitivo con le sole occupazioni in agricoltura e nell’allevamento del bestiame.
Furono gli antichi romani a chiamarli Galli e Gallia la terra in cui vivevano. Infatti molti nomi di città francesi derivano da quelli di alcune loro tribù: per esempio Parigi dai Parisii, Lisieux dai Lexovii, Bourges dai Biturigi.
Verso il 60 avanti Cristo due di queste tribù, quella degli Edui e quella dei Sequani, si trovarono in lotta fra loro per il possesso della parte centrale della Gallia. I Sequani, per assicurarsi la vittoria, chiamarono in loro aiuto Ariovisto, capo degli Svevi. A questo punto il Senato Romano decise di venire in aiuto della Gallia, sicuro che Ariovisto avrebbe poi rivolto i suoi eserciti contro l’Italia. E nel 58 avanti Cristo le legioni romane, al comando di Giulio Cesare, entrarono nella Gallia. In pochi mesi Ariovisto fu sconfitto e costretto a tornarsene nelle sue foreste oltre il Reno. Però Cesare decise di completare la conquista della Gallia, cosa che gli riuscì in tre anni di guerra.
Nel 53 avanti Cristo i Galli, desiderosi di riacquistare la loro libertà, riunirono tutte le tribù ed al comando di un valoroso capo, Vercingetorige, sferrarono un poderoso attacco contro i romani. Dopo una guerra difficilissima Cesare sconfisse i galli; la Gallia da quel momento fu considerata provincia romana.
Alla caduta dell’Impero Romano, i Galli, facilmente romanizzati, risentirono molto degli attacchi dei germanici, provenienti dal Reno. La Gallia, desolata da orde di Alemanni, Burgundi e Visigoti, finì per essere conquistata ed unificata da Clodoveo, re dei Franchi, con le battaglie di Soissons nel 486 e di Tolbiaco nel 495.
Sotto i Merovingi, discendenti di Clodoveo, la Gallia però non fu sempre unita e tranquilla. Gli ultimi merovingi, della casa di Heristal, ingrandirono molto il paese specialmente con le vittorie di Carlo Martello e del figlio Pipino, detto il Breve, sui Saraceni, con la conquista della corona nel 754. E con Pipino il Breve ebbe inizio la dinastìa dei Carolingi.
Nel 771 divenne capo di tutte le Gallie Carlo Magno, figlio di Pipino il Breve. Egli diede il via a quella politica di espansione che, dopo le guerre con i Longobardi, i Sassoni e gli Arabi, gli permise di rendere tanto potente l’Impero. Quell’impero che, poi, per la debolezza dei suoi successori nell’888 passò dalla Francia alla Germania.
Nello stesso anno fu proclamato re dei franchi Oddone, conte di Parigi. Ma questa nomina non fu ritenuta valida e poco tempo dopo sul trono di Francia ritornarono i carolingi con Luigi IV.
Nel 987 un’altra dinastìa, quella dei Capetingi, si alternò al trono. L’iniziatore della stirpe fu Ugo Capeto, ma la sua discendenza si compose di uomini deboli tanto che sotto Luigi VII, nel 1178/80, gli inglesi cominciarono ad avere possedimenti in Francia.
Gli successe Filippo II Augusto che battè inglesi e germanici nel 1214 e prese pure parte alla Terza Crociata in Palestina.
Dopo di lui Luigi IX, detto il Santo, regnò dal 1226 al 1270,
e combattè nelle ultime due Crociate (che in tutto furono otto).
Durante il regno del suo successore, Filippo III (1270/85), la regina
Giovanna di Napoli cedette Avignone al Papato e lì i Papi si trasferirono
sotto il regno di Filippo IV, detto il Bello. Con lui la monarchia si consolidò
e poi con i suoi tre figli si esaurì la dinastìa dei Capetingi
nel 1328.
Succedettero i Valois con Filippo VI che fu vivamente contrastato da Edoardo III, re d’Inghilterra, pretendente al trono di Francia. E da ciò ebbe inizio la famosa “Guerra dei cento anni” che durò dal 1337 al 1453 e che quasi rovinò la Francia. Questa guerra, con fasi alterne, e con episodi famosi, come l’impresa di Giovanna d’Arco, fece sì che alla fine la Francia riuscì a togliere i suoi territori all’Inghilterra, tranne Calais.
Ci furono altri forti re francesi come Luigi XI, Carlo VIII e Luigi XII, che tentarono l’espansione in Italia ma che furono cacciati dalla Lega Santa.
Poi venne l’ambizioso Francesco I che regnò dal 1515 al 1547. Durante il suo periodo volle contrastare Carlo V, re di Spagna, e combattè contro di lui quattro micidiali guerre, alla fine delle quali, con il Trattato di Crepy del 1544, dovette rinunciare a qualsiasi pretesa sull’Italia. Con Carlo V poi la Francia firmò la pace di Cateau-Cambresis del 1559.
Intanto era intervenuta la Riforma Protestante che si stava espandendo
pure fra i popoli latini e la Francia dovette fronteggiarla con i
regni di Francesco II e Carlo IX, nelle guerre fra Cattolici e Ugonotti,
guidati, i primi dai Guisa ed i secondi dai Borboni.
Otto furono le guerre di religione che questi calvinisti, cioè
gli Ugonotti, combatterono contro i cattolici e famosa fu la “Strage di
S. Bartolomeo”, verificatasi nella notte del 24 agosto 1572, quando migliaia
di Ugonotti furono uccisi. I cattolici alla fine uscirono vincitori da
queste guerre grazie anche all’aiuto della cattolicissima Spagna.
Dopo varie vicende assurse al trono Enrico IV di Borbone che, da capo degli Ugonotti, quale era stato, sposando Margherita di Valois, sorella del re Carlo IX, si fece cattolico, ma solo per convenienza.
Egli, ormai sul trono e dopo una definitiva adesione al cattolicesimo, volle però proteggere i Protestanti e pubblicò l’Editto di Nantes col quale fu concordata la libertà di culto per gli Ugonotti. E dopo di ciò firmò la pace con la Spagna. Poi si dedicò alla prosperità del paese, aiutato dall’abile ministro Sully ed iniziò la politica coloniale andando a conquistare il Quebec, in Canada. E mentre stava preparando un vasto piano di battaglia contro la Casa d’Asburgo, unendosi al Duca Carlo Emanuele di Savoia, perì in un attentato a Ravaillac, pugnalato: era il 1610.
Fu, senza dubbio, il re più popolare dei francesi. Due sono le frasi famose che lo distinsero: la prima fu “Parigi val bene una messa” pronunciata in occasione della sua conversione per regnare in Francia; la seconda, che denotò quanto fosse interessato al benessere del suo paese fu: “Sarò felice quando vedrò il più misero contadino porre ogni domenica una gallina nella pentola”. Lasciò tre figli e tre figlie, avuti tutti dalla seconda moglie, Maria de’ Medici, dopo che era stato dichiarato nullo il suo precedente matrimonio con Margherita di Valois.
E poiché l’erede al trono, Luigi XIII, era ancora minorenne, Maria de’ Medici assunse la reggenza. E ciò fu anche durante il periodo della minore età di Luigi XIV. Intanto la Monarchia si era andata sempre più consolidando, anche ad opera di grandi ministri come i due cardinali Richelieu e Mazarino. Alla morte di quest’ultimo Luigi XIV, detto il Re Sole, prese le redini del regno ed inaugurò l’epoca della egemonia francese.
Egli riordinò l’esercito, le finanze dello stato, combattè le guerre di Fiandra, d’Olanda e d’Italia. Ma dovette cedere alla Lega di Augusta. Il suo regno fu illuminato: si svilupparono le arti, ma il suo dominio fu assoluto. Egli disse una volta “lo Stato sono io”, e disse il vero. Fu il capo primogenito dei Borboni e trasferì la corte a Versailles che, quindi, divenne il centro della vita politica europea. Egli morì nel 1715.
Il suo successore, Luigi XV, trovò invece uno stato indebolito dalle precedenti guerre che Luigi XIV aveva innescato revocando l’Editto di Nantes, provocando, quindi, le rimostranze dei protestanti e le sanguinose violente reazioni nelle Cevenne, dette “Dragonnades”, cioè quelle spedizioni di Dragoni, ordinate personalmente dal re contro i protestanti.
Sotto il regno di Luigi XV ci furono pure le guerre di successione polacca ed austriaca e la “Guerra dei sette anni”, combattuta fra Federico II di Prussia e la Casa d’Austria, appoggiata dalla Francia.
Morto il suo ministro Fleury, Luigi XV, dominato dalle sue favorite, madame de Pompadour e madame du Barry, dette fondo all’erario cosicchè Luigi XVI, alla sua morte avvenuta nel 1774, ereditò una situazione disastrosa, aggravata pure dall’inettitudine dei ministri, dall’inquietitudine spirituale suscitata dalle nuove correnti di pensiero politico-economico-sociali degli Illuministi.
Luigi XVI non fu il sovrano che il popolo attendeva. Non fu capace di abolire le gravi ingiustizie sociali perpetrate a danno del popolo il quale, stanco di vivere nella miseria, si ribellò ed il 14 luglio 1789 scoppiò la grande Rivoluzione Francese. Fu il caos: i palazzi dei nobili e le case dei ricchi furono devastati ed incendiati. Molti nobili e migliaia di francesi fedeli ai nobili furono ghigliottinati ed il re fu condannato a morte. Egli riuscì a fuggire ma fu catturato insieme agli altri membri della famiglia reale, fra cui la fiera austriaca moglie Maria Antonietta, tanto odiata dal popolo per la sua grande ambizione e dissolutezza.
Iniziò un periodo di orrori, finchè il popolo francese, soddisfatto in parte specialmente nella sua sete di giustizia, si dette leggi più giuste ed una nuova forma di governo: la Repubblica.
I sovrani delle altre potenze europee dell’Austria, della Prussia, Spagna ed Inghilterra, preoccupati che l’esempio della Rivoluzione Francese venisse seguito anche nei loro paesi, si unirono, formarono potenti eserciti e tutti insieme combatterono contro la Francia che resistette vittoriosamente sul Reno ed in Italia. In queste guerre si distinse il corso Napoleone Bonaparte il quale, con le armi, si preparò la via al Consolato. Passando di vittoria in vittoria egli in pochi anni riuscì a conquistare quasi tutta l’Europa, tanto che la Francia potè essere considerata un Impero e nel 1804 l’imperatore fu Napoleone I.
Ma i nemici della Francia non si dettero per vinti; specialmente l’Inghilterra e la Russia si sentivano ancora molto potenti. Così Napoleone le affrontò e fu sconfitto in Russia nel 1812 dopo una disastrosa campagna che decimò l’esercito per il freddo e per la fame patiti. Nel 1813 fu sconfitto a Lipsia e dopo questi rovesci fu costretto nel 1814 ad abdicare. Lo fece in favore del figlio, il cosidetto Re di Roma, di soli tre anni; ed il 5 maggio 1814 si ritirò nell’isola d’Elba. Da qui tornò in Francia nel febbraio del 1815 ed entrò a Parigi il 20 marzo. Tornò ad essere imperatore per un periodo che fu detto dei “Cento giorni”, al termine dei quali fu sconfitto a Waterloo nel giugno dello stesso anno e costretto all’esilio per la seconda volta, ma adesso in pieno Atlantico, nella sperduta isoletta di Sant’Elena, seguito da pochi fedelissimi. E qui si spense il 5 maggio 1821. Nel 1840 la sua salma fu trasportata a Parigi e posta nella Chiesa degli Invalidi.
Intorno a questo incredibile personaggio sorse una vasta letteratura di cui è ricca in particolare l’Italia. Qui egli, infatti, seppe ispirare sentimenti di fiducia e di speranza che furono un contributo sostanziale alla maturazione del popolo e di quegli ideali che seppero poi portare al Risorgimento d’Italia.
Dopo la caduta di Napoleone, nel 1815, si riunì il Congresso di Vienna che restituì il trono a Luigi XVIII, che lo tenne fino al 1824. Il suo successore, Carlo X, dovette subire un’altra rivoluzione, detta delle “Tre giornate di luglio” del 27, 28 e 29 luglio del 1830, e fu sostituito da Luigi Filippo d’Orleans.
Nel 1848 una terza rivoluzione restaurò la Repubblica ed un colpo di stato nel 1851 restaurò l’impero che fu guidato da Napoleone III. Durante questo secondo impero la Francia riuscì ad accrescere i suoi possedimenti coloniali ed all’Algeria e Senegal, in Africa, aggiunse la Cocincina in Asia e l’isola di Madagascar nell’Oceano Indiano.
Ma anche il secondo impero fu destinato a durare poco. Nel 1870 Napoleone III decise di dichiarare guerra alla Prussia con l’intento di indebolirne la potenza in Europa. Ma in meno di un mese l’esercito prussiano sconfisse a Sedan quello francese e fece prigioniero l’imperatore. La notizia di questa disonorevole sconfitta procurò una rivoluzione che dichiarò decaduto l’impero e ripristinò la Repubblica. E dal 4 settembre 1870, data di proclamazione della Terza Repubblica, fino al 1914, data dello scoppio della prima guerra mondiale, la Francia si preoccupò essenzialmente di ingrandire i suoi possedimenti coloniali e conquistò la Tunisia.
Nella prima guerra mondiale la Francia fu alleata della Russia, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti d’America, Italia e Belgio contro la Germania e l’impero austro-ungarico.
I tedeschi avanzarono in territorio francese e giunsero a Compiegne a 60 chilometri da Parigi, ma qui vennero contrastati dall’esercito dell’abilissimo generale Joffre che li sconfisse alla battaglia della Marna e li costrinse a ritirarsi.
Alla vittoria italiana di Vittorio Veneto, seguita dall’armistizio dell’Italia con l’Austria il 4 novembre 1918, seguì l’armistizio della Francia con la Germania l’11 novembre 1918.
Seguirono i lavori della Conferenza di Parigi dove si conclusero paci separate con l’inizio per la Francia della Pace di Versailles del 28 giugno 1919. E da quel momento in Francia fu un susseguirsi di governi, di ministri, di crisi, di dimissioni, di uccisioni, di scandali e di colpi di stato. Patti di amicizia e di assistenza furono concordati ovunque in Europa per assicurarsi appoggi e collaborazioni. Ed intanto scioperi, agitazioni e manifestazioni si verificarono senza sosta. Finchè si giunse al 1939 quando la Germania sollevò la questione di Danzica ed invase la Polonia.
La Francia si trovò ancora in prima linea alleata degli Stati
Uniti e dell’Inghilterra contro la Germania, l’Italia ed il Giappone.
Ad appena un anno dall’inizio della guerra, la Francia si trovò
per tre quarti occupata dall’esercito tedesco e fu costretta a chiedere
l’armistizio.
Ma il generale De Gaulle, non accettando la situazione, decise di continuare la lotta al fianco degli Alleati. Fuggì all’estero, dove fondò l’associazione “Francia libera”. Molti militari allora si schierarono dalla sua parte e quando nel 1944 gli Alleati sbarcarono in Normandia per scacciare i tedeschi, con loro ci furono anche gli uomini di De Gaulle, che quindi riscattarono quella che fu da tutti ritenuta una sconfitta arrivata in un tempo troppo breve.
Nel 1945 la guerra finì; la Germania fu battuta e la Francia potè far parte delle nazioni vincitrici. Subito i francesi incaricarono De Gaulle di formare un nuovo governo. Nacque così la Quarta Repubblica.
Ed ecco arrivare un altro problema. Le colonie africane del Marocco e della Tunisia chiesero con decisione l’indipendenza; le popolazioni insorsero ed uccisero molti francesi. La Francia concesse l’indipendenza. Subito dopo fu la volta dell’Algeria ma qui, un po’ perché più di un milione di francesi erano colà residenti, un po’ perché nel frattempo erano stati scoperti importanti giacimenti di petrolio, la Francia non seppe prendere una decisione e fu costretta a richiamare al governo il generale De Gaulle, ormai ritirato a vita privata.
Ottenuti dal popolo pieni poteri, De Gaulle iniziò proclamando la Quinta Repubblica. E con il suo avvento, nel decennio 1949/59 si verificarono in Francia due importanti avvenimenti che cambiarono il paese sia all’interno che verso l’esterno.
All’interno si ebbe l’esclusione dal governo dei comunisti ed il loro completo isolamento, ma anche l’indebolimento del partito di De Gaulle, che fino ad allora, invece, aveva rappresentato l’unione del popolo francese, “Rassemblement du peuple français”. La situazione interna decretò anche, per il suo spostamento a destra, la completa adesione al blocco occidentale e quindi al Patto Atlantico, ma mise in evidenza anche un forte stato di instabilità, tanto è vero che dalla fine del 1947 al giugno 1954 si susseguirono ben 13 governi, quasi tutti di coalizione.
Ad aumentare la confusione di quegli anni concorsero non poco i comunisti ed i sindacati. Si cercò di bloccare i prezzi ed i salari. Si cercò di aumentare la produzione industriale ma con la svalutazione, prima della sterlina e poi del franco, aumentò il disagio, anche nel settore dell’agricoltura.
In politica estera la Francia si adoperò molto per l’attivazione di un Consiglio d’Europa, alla cui nascita contribuì in larga misura con il suo Ministro degli Esteri Schuman. Però, allo scopo di meglio preparare l’Europa contro eventuali attacchi dall’Est, si stabilì una alleanza atlantica con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti ai quali la Francia chiese pure aiuti militari.
E nel frattempo si dovettero fronteggiare le difficoltà create in Indocina dai comunisti, che volevano l’indipendenza. Ed il 30 dicembre 1949 terminò la federazione franco-indocinese e ciò determinò la formazione di tre distinti stati indipendenti: il Laos, la Cambogia ed il Vietnam.
Nel 1950 iniziarono gli attacchi terroristici in Tunisia, anch’essa interessata al problema dell’indipendenza. La Francia rispose mandando in esilio Bourguiba, pretendente alla carica di uno stato libero. Questo indignò l’allora Ministro per gli Affari Europei, F. Mitterand, che non condividendo questa politica si dimise. Nello stesso anno si mutò anche lo stato della Germania nei riguardi della Francia, poiché si raggiunse una certa uguaglianza e quindi l’alleanza. Con l’Italia fu stipulata una unione doganale nel giugno 1950 e nell’aprile del 1951 fu varato il cosidetto “Piano Schuman”, per la fondazione di un pool europeo del carbone e dell’acciaio.
Altre difficoltà nella conduzione del governo si ebbero col passaggio all’opposizione dei socialisti. Essi, infatti, tenaci assertori del laicismo, non condivisero la legge Barangè, approvata nel novembre 1951, con la quale si assegnavano sussidi a tutte le scuole primarie, comprese quelle cattoliche. R. J. Pleven, incaricato di formare il nuovo governo, dovette chiedere l’appoggio dei moderati. Ma questa coalizione non si rivelò sufficiente per deliberare tutte quelle misure che invece si imponevano, per la situazione precarie del momento. E certamente senza gli aiuti degli Stati Uniti, di cui la Francia fu la principale beneficiaria, il governo avrebbe dovuto dichiarare uno stato fallimentare.Nel gennaio 1952 il governo Pleven cadde sulla difficoltà insormontabile che costituì l’approvazione del bilancio dello stato. E nel febbraio 1952 fu lo stesso col governo di E. Faure.
Dopo altri governi ed altri dimissioni, nel 1953 ci fu una profondissima crisi che portò un deciso spostamento della politica a destra. Alla guida del nuovo governo di coalizione fu chiamato l’indipendente J. Laniel, che riuscì a rimanere in carica quasi un anno.
De Gaulle, amareggiato da tante contrarietà, si ritirò ancora una volta a vita privata ed il movimento “gaullista” finì insieme al potere del suo fondatore.
Le ribellioni e le cadute in Asia ed in Africa ebbero delle ripercussioni sul governo Laniel, che cadde il 12 giugno 1954. A formare quello nuovo fu chiamato Mendes-France. Egli spostò la linea sul centro-sinistra ed ebbe l’appoggio entusiasta dell’opinione pubblica e riuscì persino a mettere la parola fine alla guerra in Indocina, che per ben otto anni aveva assillato la Francia. Poi Mendes-France si recò in Tunisia per elaborare le modalità della concessione dell’indipendenza e qui incontrò diversi ostacoli da parte dei coloni francesi residenti e dei nazionalisti; ostacoli che si ingrossarono sempre più finchè Mendes-France fu costretto a dimettersi. Era il 15 febbraio 1955.
Il 2 gennaio 1956 ci furono elezioni anticipate e Faure, radicale, fu
chiamato a formare il nuovo governo. Altri governi ed altre difficoltà
si alternarono senza sosta e quando nel maggio 1958 sembrò evidente
che la Francia era giunta alle soglie di una guerra civile, fu richiamato
il generale De Gaulle, che si dispose ad esercitare nuovamente il
suo potere con la formazione di un “Ministero Nazionale”, ed il 2
giugno 1958 il Parlamento votò tre leggi importanti che prevedevano:
- poteri speciali nella questione algerina (che chiedeva l’autonomia);
- pieni poteri per sei mesi, senza opposizioni di sorta;
- revisione della Costituzione ed approvazione della medesima tramite
referendum.
I lavori iniziarono ed il 28 settembre si ebbero i risultati del referendum, col quale si chiedevano: una organizzazione dei pubblici poteri per un regime presidenziale, un Parlamento con poteri e funzioni ridotti ed una libera Comunità tra la Francia ed i territori d’Oltremare. Fu un grande successo di De Gaulle che continuò nella sua opera di trasformazione della politica francese. E l’8 gennaio 1959 ci fu il passaggio dei poteri di Capo dello Stato da Renè Coty al generale.
Ma la situazione economica non fu migliorata a causa del costo della vita in continuo aumento, che non privilegiò invece l’aumento della produzione in campo industriale, ed alla fine del 1959, specialmente nelle campagne, incominciò a serpeggiare il malcontento.
Ed intanto De Gaulle prese a rivendicare i diritti della Francia ad uno stato di parità con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, in accordo con la sua opinione della “grandeur” della Francia, mica tanto condivisa da Eisenhower, allora presidente americano.
Poi stabilì ampi contatti con il premier tedesco Adenauer e con il primo ministro sovietico Kruscev, con il quale si incontrò più di una volta a Parigi. Insomma voleva la leadership nella Comunità Europea, mentre rifiutava la creazione sul suolo francese di depositi di missili e di armi nucleari. Nel novembre del 1960 propose la creazione di una “Repubblica Algerina”, da decidersi mediante autodeterminazione. E nel frattempo, atti di terrorismo, ribellioni, politica della “terra bruciata” e quant’altro, dettero ampio aiuto ad una recrudescenza della guerra in Algeria.
Si giunse al primo luglio del 1962 con gli algerini che finalmente poterono recarsi alle urne. Due giorni dopo la Francia riconosceva ufficialmente l’indipendenza dell’Algeria. Ben Bella fu nominato capo del governo e la Repubblica Popolare Democratica di Algeria fu ammessa alle Nazioni Unite.
Il 22 agosto 1962 De Gaulle subì un attentato a Petit-Clamart e questo avvenimento fu visto come una occasione per discutere sulla elezione del Presidente della Repubblica. De Gaulle propose il suffragio universale, che venne approvato dal referendum del 28 ottobre 1962. Le elezioni legislative, tenute il 18/25 novembre stesso anno furono un trionfo per De Gaulle, il quale aveva sempre come obiettivo inderogabile quello di dare alla Francia una posizione di grandezza, come si conveniva, rifiutando la subordinazione agli Stati Uniti. Un punto importante per lui fu quello di dimostrare che la Francia era in grado da sola di provvedere alla sua difesa militare. E quindi bisognava curare in particolare gli armamenti nucleari e con questo tendeva a potersi organizzare un rifiuto alla partecipazione alla firma del trattato di Mosca, che invece prevedeva l’interdizione agli esperimenti nucleari. Tutto ciò, nel suo intendimento, era un ridimensionare l’importanza delle due superpotenze mondiali, a vantaggio di una grande Europa, ma non federalista, bensì “delle patrie”, fatta da una confederazione di stati sovrani. E per fare questo, necessariamente l’Europa doveva liberarsi dalla tutela degli Stati Uniti e, quindi, il progetto dell’allora presidente statunitense Kennedy di un’Europa all’interno del vincolo atlantico fu certamente da bocciare. Inoltre da questa Europa egli escludeva la Gran Bretagna ed infatti si adoperò con tutte le sue forze contro l’ingresso britannico nel Mercato Comune Europeo in quanto, sulla sua considerazione, Londra era sicuramente il mezzo con cui gli Stati Uniti avrebbero manipolato gli affari europei.
Dopo di che rafforzò i rapporti con la Germania, sempre con l’intento di perseguire questo scopo, ma intanto Adenauer era stato sostituito nell’ottobre del 1963 da Erhard, il quale non condivise il suo punto di vista, non ritenendo utile per la Germania sacrificare gli aiuti, di tutti i tipi, provenienti essenzialmente dagli Stati Uniti.
Le elezioni presidenziali del 1965 videro la riconferma di De Gaulle che, nel marzo 1966, decise l’uscita della Francia dalla NATO; poi si dichiarò pubblicamente contrario all’intervento americano in Vietnam; condannò Israele riguardo alla “guerra dei sei giorni”; si adoperò costantemente al riconoscimento della attività dei francofoni del Quebec, in Canada.
Le elezioni del marzo 1967 furono un successo per i gaullisti al primo turno ma non al secondo. Questo decretò la vittoria delle sinistre.
Nel gennaio del 1968 cominciarono le manifestazioni studentesche, seguite poi in tutti i settori della vita pubblica e sindacali; scioperi e disordini convinsero De Gaulle ad indire un referendum per la sua permanenza o meno all’Eliseo. Ma pochi giorni dopo tornò sulle sue decisioni: dichiarò che non si sarebbe ritirato, che non avrebbe promosso il referendum e che invece avrebbe sciolto l’Assemblea Nazionale.
Il 23 giugno 1968 si svolse il primo turno delle nuove elezioni e poiché i gaullisti raggiunsero subito la maggioranza non fu necessario il secondo turno. Il capo del governo che ormai da molto era Pompidou, fu sostituito da Couve de Murville, già Ministro degli Esteri. A Faure fu affidato l’incarico di riformare l’università; ed egli infatti in poco tempo riuscì a far approvare una legge che avrebbe apportato le riforme necessarie.
Poi Pompidou, nel gennaio 1969, dichiarò di voler porre la sua candidatura per l’Eliseo. Il 27 aprile i francesi si recarono alle urne ed il 28 aprile si chiudeva definitivamente l’era di De Gaulle.
Le elezioni presidenziali di giugno assegnarono la maggioranza a Pompidou. Presidente del Consiglio fu Chaban-Delmas, il Dicastero delle Finanze e dell’Economia andò a Giscard d’Estaing, ed altri esponenti del governo furono Pleven, Duhamel e Fontanet. Nel successivo agosto fu decisa la svalutazione del franco.
Nell’ottobre 1972, in una riunione tenuta a Parigi fra i capi di stato europei, fu abolito il veto all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità Europea. Si rafforzarono nel frattempo i legami con l’Unione Sovietica e si incrinarono quelli con gli Stati Uniti quando, in occasione del conflitto arabo-israeliano, Pompidou prese netta posizione a favore degli arabi.
Alla morte di Pompidou, avvenuta il 2 aprile 1974, tornò in auge la candidatura di F. Mitterand, capo del Partito Socialista; si candidarono anche Chaban-Delmas e Giscard d’Estaing. Il primo turno del 5 maggio vide prevalere Mitterand, ma il ballottaggio del 19 affidò la maggioranza a Giscard d’Estaing, che quindi divenne Presidente della Repubblica.
Ed immediatamente partì la lotta politica che doveva portare ad un graduale sfaldamento della maggioranza e ad una avanzata delle sinistre. L’ex primo ministro Jacques Chirac si dimise dal governo, contrapponendosi a Giscard d’Estaing e puntando al Municipio di Parigi. Le elezioni municipali del marzo 1977 assegnarono il successo alle sinistre. Il 12/19 marzo 1978 con le nuove elezioni vinse la coalizione di governo, presieduta da R. Barre. Mitterand vinse le elezioni presidenziali il 10 maggio 1981 ed il socialista P. Mauroy ebbe l’incarico di primo ministro. Durante tutto il corso degli anni ottanta si cercò di riassettare l’economia lottando contro l’inflazione. Il settore che più di tutti lottò per la scarsa remunerazione dei prodotti fu quello agricolo, ed in particolar modo quello bretone. La protesta fu violenta; gli agricoltori francesi avversarono in ogni modo la politica economica comunitaria. Ed in questa bagarre, e dietro il continuo lavoro delle opposizioni, le ultime elezioni politiche nazionali assegnarono il successo al partito di estrema destra.
Una importante presa di posizione dei giscardiani e dei gaullisti ci fu allorchè si discusse l’assegnazione di sussidi alle scuole private. Il 17 giugno 1984 una imponente manifestazione di oltre un milione di persone, convinse il premier Mauroy a ritirare la proposta. Dopo di che egli si dimise e Mitterand nominò un nuovo governo a guida socialista, diretto da Laurent Fabius, già Ministro dell’Industria.
Le elezioni politiche del marzo 1986 riportarono al potere le forze di centro-destra. Fabius rassegnò le dimissioni ed a formare il nuovo governo fu chiamato Chirac, dando luogo ad una strana “coabitazione” col presidente socialista Mitterand che, comunque, si riservava il diritto di veto sulle questioni di politica estera.
Il programma di governo comprese, fra l’altro, la liberalizzazione dell’economia e lotta serrata contro tutti i tipi di terrorismo: quello indipendentista della Corsica, quello di estrema sinistra del gruppo francese “Action directe” e quello islamico di origine mediorientale.
Per il programma economico da perseguire tre furono i punti fondamentali: il primo prevedeva la privatizzazione di 65 grandi aziende nazionalizzate; il secondo la privatizzazione del primo canale televisivo ed il terzo la flessibilità dell’orario di lavoro. Poi furono adottate più complete misure di sicurezza ai confini in modo da non permettere l’ingresso incontrollato agli extra-comunitari.
Nel settembre 1986 esplose violento il dissenso studentesco verso la riforma universitaria, seguito da un lunghissimo sciopero nel settore dei trasporti che durò dal dicembre 1986 fino alla metà di gennaio del 1987.
In politica estera la Francia si regolò come da tradizione salvo una crisi del luglio 1987 con l’Iran che si era rifiutato di consegnare a Chirac un terrorista rifugiatosi presso l’Ambasciata di Parigi.
Fu evidente in altre occasioni che la “coabitazione” non poteva essere mantenuta oltre ed infatti si arrivò ad una crisi. Nella primavera del 1988 si ebbero elezioni presidenziali e Mitterand risultò rieletto. Chirac si dimise e M. Rocard divenne premier di un governo formato da socialisti e radicali di sinistra. Questo si dimostrò quanto mai instabile e nel giugno si tornò ad elezioni anticipate che assegnarono il maggior numero di voti al centro-destra. Rocard fu nuovamente incaricato di formare il governo, che fu costituito da socialisti, indipendenti e moderati di centro. Fu un governo stabile che potè dedicarsi con profitto ai vari lavori di ristrutturazione, non solo politica.
Nella primavera del 1991 si notarono alcuni elementi di crisi, Mitterand nominò premier E. Cresson che si preoccupò subito di rafforzare la moneta, di tagliare la spesa pubblica ma soprattutto rivedeva le leggi sull’immigrazione, a causa di disordini verificatisi nelle periferie urbane abitate prevalentemente da nordafricani.
Nel gennaio del 1992 al vertice del Partito Socialista ci fu il cambio da P. Mauroy a L. Fabius. Le elezioni di marzo registrarono un passo indietro del Partito Socialista e Cresson cedette il posto a Beregovoy. Nel settembre 1992 un referendum popolare ratificò il Trattato di Maastricht con un risultato favorevole all’Unione Europea.
Le elezioni legislative del marzo 1993 videro il crollo del partito socialista e l’avanzare del centro-destra. Il nuovo premier fu il gaullista E. Balladour. Ma questo nuovo governo non fu in grado di controllare né l’andamento interno né lo svolgimento della politica internazionale. Per cui nell’aprile-maggio 1995 si andò alle nuove elezioni presidenziali e Chirac fu il nuovo Presidente della Repubblica. Alan Juppè fu il Primo Ministro. Egli attuò subito un sistema di forti tagli alle spese per i servizi sociali, alle pensioni ed ai salari del pubblico impiego. Questo provocò grave malcontento in una gran parte dell’elettorato, che manifestò e scioperò rendendo impossibile l’opera di governo fino a tutto il 1996.
Chirac e Juppè furono fortemente impegnati in tali controversie fino al 1997. Intanti Chirac aveva annunciato la ripresa degli esperimenti nucleari negli atolli di Mururoa e Fangataufa, cosa che invece non era stata permessa da Mitterand. Ed a differenza di questi, che aveva privilegiato l’europeismo, Chirac volle tentare nuovamente la politica della “grandeur”, già iniziata da De Gaulle, per riaffermare il ruolo primario della Francia in seno al continente. E questo anche per la forte pressione che ormai stava esercitando la Germania, tornata potente sia politicamente che economicamente.
Poi Chirac volle riaffermare la preponderanza della Francia anche in Africa con la quale, in Marocco, nel Gabon, nella Costa d’Avorio ed in Senegal, si impegnò in aiuti economici e culturali. Ed inoltre, constatando la traballante situazione della coalizione di governo, sciolse l’Assemblea Nazionale ed indisse elezioni politiche anticipate per il maggio-giugno 1997.
Intanto si era venuto a ricostituire il Partito Socialista sotto la guida accorta di Lionel Jospin. Egli proponeva una linea socialdemocratica, con la redistribuzione del reddito, la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, la lotta alla disuguaglianza sociale, la creazione di posti di lavoro per i giovani, e riduzione dei privilegi fiscali per le imprese e i redditi da capitale.
E con questo programma vinse le elezioni. Con l’unione dei socialisti,
comunisti, moderati di centro e radicali, formò il governo. Si verificò,
quindi, una nuova “coabitazione” fra il Presidente della Repubblica, di
centro-destra, ed un premier socialista.
Man mano che si procedeva però le difficoltà economiche
aumentavano; così come i disordini dovuti agli immigrati nordafricani,
così come la disoccupazione e così come il malcontento
in ogni settore del lavoro e della vita sociale.
Nell’ottobre del 1998 Jospin dovette affrontare una importante manifestazione di studenti che chiedevano a gran voce la riforma in campo culturale e delle strutture ad esso collegate, sia di cose che di persone.
Per quanto riguardava gli immigrati, si pervenne ad un accordo in questo senso: poiché i paesi di provenienza richiedevano mano d’opera specializzata per il loro territorio, la Francia si impegnava a proprie spese a far sostenere corsi di preparazione e contratti di formazione per tutti coloro che accettavano, una volta messi in grado di farlo, di tornare a lavorare a casa loro.
Nonostante i vari contrasti fra la politica e la magistratura, Jospin
ha visto confermata la linea del suo governo ed anche nel giugno 1999,
con le elezioni europee, la coalizione governativa ottenne una importante
affermazione, cosa unica fra tutti i governi di centro-sinistra di tutti
i paesi aderenti alla NATO.