GIAPPONE

Storia

I nipponici fanno risalire la loro storia all’anno 667 avanti Cristo quando il primo imperatore Jimmu, o Zimmu, conquistò il Giappone, e fissò la capitale in Casivabara.

Tale data però deve essere posticipata di 6 secoli. Fino al secolo VI, cioè alla introduzione del buddismo dalla Cina, il Giappone visse isolato. Verso l’800 la capitale fu trasferita a Kioto, verso il 1000 il potere imperiale cominciò ad essere fortemente limitato dagli esponenti dell’aristocrazia militare, specie di maestri di palazzo (Shogun, Thaycun); finché, nel 1867, scoppiata la rivoluzione, i Tenni si emanciparono pienamente dal feudalismo.

Il Giappone, intanto, si era poco a poco rafforzato ed allargato. Nel III secolo dopo Cristo vi si importarono dalla Cina le lettere, l’industria della seta ed altro.

Nel 1854 il Giappone strinse un trattato commerciale con gli Stati Uniti e, nel 1858, con la Russia, la Gran Bretagna e la Francia.

Nel 1867 scoppiò quella rivoluzione che concentrò tutto il potere nelle mani del tenno Mutsu-Hito (1866/1912), il sovrano riformatore. Da questo momento il Giappone si incamminò sulla via del progresso, ed apparentemente si europeizzò. Le sue vittorie nella guerra contro la Cina (1894) gli fruttarono le isole Formosa, le Pescadores; quelle contro la Russia (1904/05) Port Arthur, Dairen, parte dell’isola di Sakalin ed il protettorato della Corea. Dopo la guerra il Giappone strinse un trattato di alleanza con la Gran Bretagna e procedette sistematicamente nelle riforme.

Nel dicembre del 1914 dichiarò, come alleato della Gran Bretagna, guerra alla Germania ed in pochi mesi di azione le tolse il protettorato di Kiao-Ciou in Cina. Poi mandò un ultimatum alla Cina, dalla quale ebbe notevoli concessioni politiche e commerciali ed un “mandato” sui possessi ex-germanici in Oceania, nel 1920.

All’imperatore Mutsu-Hito successe il figlio Yoshi-Hito, sotto la reggenza, perché malato, del principe ereditario Hiro-Hito, che, alla sua morte, gli successe a sua volta nel 1926.

Il popolo nipponico lavorò assiduamente e preparò un piano di espansione, reso evidente specialmente nella seconda metà del 1931 con poderosi armamenti di terra e di mare, che preoccuparono le potenze europee ed americane.

Il Giappone agì direttamente in Asia, creò lo stato-libero di “Manciù-cuo”, uscì dalla Società delle Nazioni e non restituì i territori ex-germanici ricevuti in mandato. Il governo nipponico ripudiò il nome di Giappone nella forma tradizionale e ripristinò la forma di Giappone, dal nome dell’isola principale (maggio 1934).

Le calamità naturali, che con frequenza funestarono il paese, vulcanico e soggetto a terremoti, non distolsero l’impero nipponico dalla politica di espansione sul continente.

Il 22 gennaio 1935 il Giappone comprò in Manciuria la ferrovia ex-cinese; il 5 aprile l’imperatore del Manciù-cuo visitò a Tokio il collega nipponico, primo esempio di visite fra capi di stato che la storia ricordi in Estremo Oriente. Altri avvenimenti importanti furono: l’ultimatum del 23 luglio alla Mongolia e l’occupazione di alcuni centri delle 5 provincie settentrionali della Cina; la definitiva uscita dalla Società delle Nazioni, la richiesta della parità navale e l’abbandono della Confederazione navale di Londra.

La fortificazione delle isole del Pacifico, il progetto per il taglio dell’istmo di Crah (che congiunge la penisola di Malacca al Siam), l’aumento di forze nella Cina settentrionale, l’allineamento della moneta e l’unificazione oraria con il Manciù-cuo, furono sintomi di un organico piano di dominio dell’Estremo Oriente e del Pacifico occidentale.

Significativo fu il “patto anticomunista” concluso con la Germania il 25 novembre 1936 e l’anno dopo con l’Italia.

Si accentuò l’avversione agli interventi britannico, francese e statunitense alla campagna cinese e si accentuò l’aderenza alla politica degli stati totalitari. Il Convegno di Cernobbio, del 4 agosto 1939 fra gli ambasciatori del Giappone a Roma e a Berlino, che seguì l’arenamento delle trattative con il Regno Unito, e la denuncia del trattato di commercio da parte degli Stati Uniti, fecero intravedere un sensibile indebolimento delle influenze britanniche in Estremo Oriente.

Dopo il riavvicinamento Berlino-Mosca, il Giappone insisté nel chiedere alle forze armate britanniche e francesi di sgombrare le località comunque presidiate. Il 24 agosto il Giappone denunciò il “Trattato delle nove potenze” ed accelerò i tempi della conquista della Cina.

Scoppiata la seconda guerra mondiale, il Giappone si allineò all’Asse e perfezionò il Tripartito.

L’interlocutore principale del Giappone in questa guerra furono gli Stati Uniti. Questi dichiararono aperte le ostilità dopo l’improvviso attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 agosto 1941. Gran parte della flotta americana andò distrutta dai ripetuti attacchi aerei giapponesi.

Ma la straordinaria potenza militare ed economica degli Stati Uniti in poco tempo fu in grado di portare in combattimento, specialmente nel Pacifico, dei corpi privilegiati, come i “marines” che, meccanizzati al massimo, ma di temperamento valoroso, inflissero durissime sconfitte al nemico.

Ogni isola del Pacifico, occupata dai giapponesi, fu espugnata e conquistata con grandi sacrifici umani e tanto onore.
La guerra si dimostrò più lunga del previsto, sia per i preponderanti mezzi di cui disponevano gli antagonisti, sia per il valore dei combattenti. Ed allora gli Stati Uniti, per chiudere l’interminabile partita, misero in atto il primo bombardamento atomico della storia, quello di Hiroshima del 6 agosto 1945; 66000 persone morirono, molte altre migliaia rimasero deturpate e, comunque, contaminate dalla bomba atomica. Dopo soli tre giorni, il 9 agosto, la città di Nagasaki subì la stessa sorte. Il Giappone in ginocchio si arrese. L’imperatore chiese perdono ai suoi sudditi per aver provocato loro tanti lutti e tanto dolore.

Dopo la catastrofe, il Giappone tese rapidamente a risorgere, adeguandosi alle esigenze della nuova situazione determinatasi in Estremo Oriente dall’antagonismo fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

Il 3 maggio 1947 l’imperatore Hiro Hito promulgò alla Dieta la nuova Costituzione democratica. Le promesse di riabilitazione del Giappone, più volte fatte e riconfermate da Mc Arthur in occasione del 5° anniversario della resa (1° settembre 1950), dopo una lunga serie di conversazioni diplomatiche tra il rappresentante degli Stati Uniti, Foster Dulles, e quelli delle altre potenze interessate al ritorno del Giappone alla normalità, si concretarono il 31 marzo 1951 in una dichiarazione dello stesso Foster Dulles a Los Angeles, che riassumeva le condizioni di pace, fissate essenzialmente dagli Stati Uniti senza la collaborazione, anzi in pieno contrasto con l’Unione Sovietica. Il trattato di pace fu poi concluso alla Conferenza di San Francisco (4-8 settembre) presenti i delegati di 51 stati dei quali tre (Unione Sovietica, Polonia, Cecoslovacchia) non lo sottoscrissero.

Per esso il Giappone rinunciò ad ogni diritto sulla Corea, sulle isole Curili, le Sakalin, Formosa, Pescadores, sull’Antartide e su altri territori minori. Si impegnò a ripagare i danni di guerra e ad ispirare la sua politica futura a quella delle Nazioni Unite. Lo stesso giorno, l’8 settembre, il Giappone strinse un patto militare di assistenza con gli Stati Uniti.

Il 15 aprile 1952 a Washington fu firmata la pace con gli Stati Uniti e fissata per il 28 la fine dell’occupazione.

Contemporaneamente il Giappone aderì, con le Filippine, l’Australia e la Nuova Zelanda, ad un patto di mutua sicurezza.
Il primo maggio a Tokio scoppiarono violenti tumulti. Il 9 giugno si concluse un trattato di amicizia con l’India ed il 7 agosto un trattato di commercio con l’Indonesia. La questione del riarmo fu discussa dalla Conferenza per il Pacifico ad Honolulu il 4/6 agosto, fra i rappresentanti degli Stati Uniti, dell’Australia e della Nuova Zelanda.

Nelle elezioni dell’aprile e dell'Ottobre 1953, prevalse il partito liberale guidato dal Primo Ministro Yoshida.

Ma i conservatori non furono d’accordo con la sua politica. Essi volevano che il paese fosse più vicino all’Unione Sovietica e che si normalizzassero i rapporti con la Cina popolare. Non volevano dipendere quasi esclusivamente dagli Stati Uniti, così nel 1954 rovesciarono il governo di Yoshida e lo sostituirono col democratico Hatoyama. Due anni dopo un patto legava il paese all’Unione Sovietica la quale rinunciava alla riparazione dei danni di guerra e si impegnava a far ammettere il Giappone nel consesso delle Nazioni Unite. All’Unione Sovietica però rimanevano Sakalin, le Curili e tutti i diritti sulla Manciuria, persi nel 1905. Ma prometteva la restituzione delle isole Habomai e Shikotan.

Negli anni successivi, sotto i governi dei liberal-conservatori Ishibashi, Kishi e Ikeda, fu sviluppata una politica di espansione economica verso i paesi del sud-est asiatico, l’Africa, l’America Latina ed anche con la Cina popolare.

Il 18 dicembre 1956 entrava nelle Nazioni Unite.

Le elezioni del 1955 erano state vinte dai liberal-democratici e nel 1958, pur se con una leggera flessione di voti, vennero confermati. I socialisti nel 1959, dopo varie diatribe, si divisero in due rami principali: socialisti e socialdemocratici.

Nel 1960 i socialisti promossero delle manifestazioni antiamericane che, però, nulla poterono per impedire la firma di un trattato di sicurezza nippo-americano. Riuscirono, comunque, ad impedire all’allora presidente statunitense Eisenhower una visita a Tokio, prevista nel giugno, ed un mese dopo N. Kishi si dimise. Fu sostituito il 14 luglio dal liberal-democratico Hayato Ikeda.
Il 12 ottobre 1960 il leader socialista Inejiro Asanuma fu assassinato.

Gli anni 60 rappresentarono per il Giappone una grande crescita del benessere economico, tanto da farlo diventare l’unico paese industrializzato fuori dalle aree occidentale e socialista.

Tre fenomeni in questo periodo contribuirono a trasformare il Giappone: l’urbanizzazione, il benessere economico e la pressione dei mass-media. Questi ultimi, agendo su maggiori possibilità finanziarie, spinsero la popolazione verso nuovi sistemi di vita.
Ma il “miracolo giapponese dell’economia e della tecnica non fece sparire del tutto le tradizioni della cultura giapponese, le quali, peraltro, ebbero un calo talmente ampio che uno dei più famosi letterati  del paese di quell’epoca, Y. Mishima, si suicidò.

Gli studenti, sensibili al mantenimento della loro cultura, rifiutando ogni forma di società modernizzata, inscenarono delle manifestazioni che culminarono con l’occupazione dell’università di Tokio nel 1969. Ma, consci di non poter conseguire  risultati radicali con le loro contestazioni, esaurirono i loro attacchi con azioni terroristiche che si protrassero fin quasi alla metà degli anni 70.

In politica interna si ebbe tanta stabilità, dovuta certamente al benessere economico. Nonostante ciò, il Partito Comunista, dapprima esiguo, andò aumentando; i suoi adepti furono principalmente elementi del ceto medio urbano.

Con la morte di Yoshida, avvenuta nel 1967, la stabilità subì una scossa. Il suo successore, E. Satò, dotato di una personalità incisiva e di grande abilità di manovratore, riportò il paese sui binari della più grande produttività, tanto che nel 1970 fu raggiunto il traguardo del raddoppio del prodotto lordo nazionale. Ed il Giappone, sotto il suo lungo governo, divenne la terza potenza mondiale.

Per tutti gli anni 70 Satò, con la sua sagacia e la sua abilità politica, non solo addomesticò le contestazioni studentesche all’interno, ma in politica estera ottenne notevoli successi. Gli Stati Uniti, dopo il prolungamento del trattato di mutua sicurezza, restituirono al Giappone  le isole di Okinawa e l’Arcipelago di Ogasawara. Ottenne, inoltre, di poter aderire al trattato di “non proliferazione”.

Avvenimenti importanti in quel periodo si verificarono: Hiro Hito, imperatore del Giappone, fu il primo a visitare l’Europa e Nixon, presidente degli Stati Uniti, riconobbe la Cina popolare. Quest’ultimo fatto mise in crisi il Giappone che fu costretto a cambiare la sua politica con Taiwan. Ciò costituì uno scacco per Satò che, continuando la sua ostilità verso il regime di Pechino, fu costretto a dimettersi.

Il suo successore, K. Tanaka, risolse il problema andando a Pechino. Poi, all’inizio della crisi energetica mondiale del 1973, l’economia giapponese subì un duro colpo; l’opposizione colse l’occasione per accusare Tanaka di aver conseguito la sua ricchezza personale con mezzi illeciti, e lo costrinse a dimettersi. Non prima però di aver ricevuto nel 1974 il presidente americano Ford, primo a visitare il Giappone.

Il nuovo premier T. Miki, nel dicembre 1974, cercò di contenere l’inflazione e riportò il paese alla stabilità. Nel 1975, oltre all’impegno di rafforzare i rapporti con la Cina, Miki compì pure un viaggio a Washington dove ribadì l’amicizia con gli Stati Uniti che, a loro volta, rinnovarono l’impegno di adoperarsi per la difesa della Corea del Sud.

Nel 1976, nello scandalo della Lockeed risultò coinvolto l’ex primo ministro Tanaka che così fu costretto a dimettersi dal partito e le elezioni del dicembre tolsero al partito liberal-democratico la maggioranza assoluta.

Questa situazione portò Miki alle dimissioni. Egli fu sostituito da T. Fukuda. Però le elezioni del 1977 sortirono risultati modesti per il partito al governo. Fukuda, a sua volta, nel 1978 si ritirò dal suo incarico per lasciare il posto a M. Ohira, col quale le elezioni del 1979 segnarono una buona affermazione del partito liberal-democratico, anche se ci fu la perdita di un seggio.

Ohira, poi, a seguito della sfiducia avuta al governo, indisse elezioni anticipate ma non potè stabilirle definitivamente perché improvvisamente morì. L’incarico venne preso da Z. Suzuki, ma i due anni del suo governo furono negativi ed allora nell’ottobre 1982 venne sostituito da Y. Nakasone.

Uomo di vivace personalità, con lui si identificò tutto il popolo di tendenza neo-nazionalista. Egli fu facilitato nel suo compito prima dal graduale ritiro degli Stati Uniti dall’Asia orientale, dopo la fine della guerra del Vietnam, e poi perché, essendo stato eletto presidente americano Ronald Reagan, si ebbe un po’ ovunque il ritorno ai toni moderati dell’ideologia.

In politica interna Nakasone fu favorito anche dal declino delle opposizioni. Il partito comunista giapponese risentì molto delle vicende negative fra Cina e Vietnam a proposito della questione cambogiana. Il partito socialista invece era dilaniato continuamente da interne correnti opposte, moderata e radicale.

Qualche anno prima al vertice del partito socialista era pervenuto I. Asukata che, pur intenzionato a rappresentare la sinistra, aveva lasciato aperta la possibilità di ingresso ad altre correnti, anche ai neo-buddisti.

Ma alla vigilia delle elezioni generali della fine del 1983, Asukata si ritirò per lasciare il passo a M. Ishibashi. In precedenza, le elezioni di giugno, tendenti a rinnovare una buona metà della Camera dei Consiglieri, avevano decretato un buon risultato per il partito di governo. Queste ultime invece non furono molto soddisfacenti, nonostante l’alto impegno profuso da Nakasone.
I liberal-democratici poterono avere anche questa volta la maggioranza assoluta solo per l’aiuto di un gruppo di indipendenti e con quello di un gruppetto di liberal-autonomi.

L’anno successivo, a dispetto di questi risultati, Nakasone fu riconfermato alla guida del partito. E questo risultò almeno sorprendente poiché per un certo tempo si era andata maturando la convinzione che un’alternanza di partiti al governo sarebbe stata più adatta per il progresso del paese.

Ma la sinistra in tutto il mondo aveva subìto una grande flessione e così i dirigenti dell’economia giapponese ebbero un compito assai facile. Ad aiutare Nakasone nel governo contribuì, senza dubbio, Tanaka che, pur processato e condannato due volte per corruzione, esercitò sempre un certo potere sull’opinione pubblica. Egli morì per una emorragia cerebrale nel 1985.

I risultati elettorali del 1986 furono di nuovo favorevoli ai liberal-democratici, mentre i socialisti registrarono ancora una perdita. E questo causò le dimissioni di Ishibashi che fu sostituito da una donna, la signora T. Doi, alla testa del partito. All’interno della corrente di Tanaka invece si ebbe il predominio di N. Takeshita.

Durante l’anno 1986, l’ultimo di governo per Nakasone, furono privatizzate le ferrovie. Nell’autunno del 1987 Nakasone caldeggiò la successione per Takeshita che, infatti, il 6 novembre divenne primo ministro.

Il primo successo lo colse nella liberalizzazione in materia dei prodotti agricoli. Ed ecco, dopo poco tempo, scoppiare un altro scandalo finanziario; molti dirigenti politici furono accusati di aver ricevuto tangenti per facilitare l’ascesa della Recruit Cosmos. Takeshita fu coinvolto e si dimise. La successione fu quanto mai difficile. Alla fine la scelta cadde sul ministro degli esteri, S. Uno. Egli governò per poco perché a sua volta fu coinvolto in un altro scandalo. Una donna dichiarò pubblicamente di essere stata da lui mantenuta per tanti anni e poi indegnamente abbandonata. Le sue dimissioni furono la logica conseguenza.

Ed intanto il partito liberal-democratico alle elezioni suppletive del 23 luglio 1989 perse la maggioranza. Con le nuove elezioni generali dell’agosto divenne premier e presidente del partito Toshiri Kaifu, esponente della fazione più piccola del partito stesso.
Ma nel gennaio 1989 era scomparso l’imperatore Hirohito, dopo 62 anni di regno. Il suo successore fu il principe ereditario Akihito.

Nel giugno 1992 fu approvata, dopo aspre diatribe, una legge che prevedeva l’invio di militari giapponesi all’estero in missioni di pace, sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Alla fine degli anni novanta il modello politico-sociale giapponese subì una profonda crisi. Troppi impedimenti burocratici non permettevano alle varie aziende la competitività giusta con le democrazie occidentali. Si chiedeva da più parti il passaggio da uno Stato burocratico ad uno Stato di diritto, dalla sovranità della pubblica amministrazione a quella dei cittadini. In particolare i giovani, cresciuti all’ombra del benessere economico e del consumismo, disconoscevano la moralità tradizionale, sempre più legati ai piaceri materiali.

Ed era però giunta una grave recessione economica. Per di più una politica senza alternanza indebolì il governo e nelle elezioni del luglio 1993 il partito liberal-democratico andò in minoranza. E la coalizione di governo che prese in mano le redini del potere ebbe come rappresentante M. Hasokawa. Egli nel 1994 dovette lasciare perché accusato di illeciti finanziari.

Dopo una brevissima parentesi politica, condotta da T. Hata, i socialisti pattuirono un’alleanza con i liberal-democratici e dopo 47 anni tornarono al governo, capeggiati dal socialdemocratico T. Murayama.

Nel 1994 era stata approvata una nuova legge elettorale che prevedeva la diminuzione dei membri della Camera dei Rappresentanti e l’introduzione del proporzionale, oltre a limitare gli aiuti finanziari ai partiti.

La situazione politica era oltremodo instabile. Nel 1995 vinsero le elezioni due personalità famose della televisione. Nel 1996 cadde il governo Murayama e nacque quello di Hashimoto, conservatore, che fu confermato nel 1996 ed ancora nell’aprile del 1997.

L’anno successivo però fu sconfitto e si insediò al governo il capo della maggiore fazione liberal-democratica, K. Obuchi, politico di tipo tradizionale.

Nel 1999 il partito liberale entrò a far parte del governo. E poiché fu evidente che il benessere del paese sarebbe derivato dalla cooperazione e non dalla contrapposizione con la Cina, che si trovava nella stessa situazione, i due paesi negli ultimi tempi hanno stabilito di addivenire ad una parallela legittimazione politica.