Storia
L’Iran è un paese di antichissima civiltà. I Persiani, appartenenti alla stirpe indo-europea, si erano stabiliti nell’altipiano iranico in epoche remote, insieme ad altri popoli che poi furono da loro assoggettati.
Le prime notizie sul paese risalgono ad una iscrizione assira del IX secolo avanti Cristo. Ma la storia vera e propria della Persia si fa risalire al VI° secolo avanti Cristo e si divide in due grandi periodi: il primo va dall’epoca di Ciro il Grande all’anno 651 dopo Cristo, ed il secondo dall’anno 651 agli anni attuali.
Ciro, fondatore dell’impero persiano, divenne re di Persia nel 558 avanti Cristo. Dapprima riunì in un unico stato tutte le tribù persiane sparse e poi partì alla conquista dell’impero dei Medi e nel 538 si impadronì dell’impero di Babilonia. Con questo completò l’opera di unificazione di tutte le popolazioni dell’Asia occidentale e formò un vastissimo impero.
Ciro fu un governatore saggio e generoso e rispettò gli usi ed i costumi di tutti i popoli da lui unificati. Permise agli Ebrei, che erano stati condotti schiavi in Babilonia, di ritornare in Palestina e di praticare liberamente la loro religione. Anche le colonie greche dell’Asia Minore vollero fare omaggio della loro sottomissione a Ciro che chiamarono “il re del mondo”.
Alla morte di Ciro, avvenuta nell’anno 529 avanti Cristo, salì al trono il figlio Cambise; egli continuò a potenziare l’impero persiano conquistando anche l’Egitto e la Cirenaica, ma non ebbe fortuna in una sua spedizione per la conquista dell’Etiopia. Morì nel 522 avanti Cristo e gli successe il figlio Dario.
Questi ingrandì ancora di più l’impero estendendo i confini fino all’India. Poi però consolidata la pace in tutto l’impero, egli iniziò l’organizzazione e lo divise in provincie, che si chiamarono “satrapìe”, dal nome dei loro governatori che si chiamarono, appunto, “satrapi”.
Poi si preoccupò di incentivare le relazioni ed i commerci fra tutti i popoli, quindi fece costruire molte strade per la comunicazione e nuove monete d’oro e d’argento per gli scambi. Una delle più lunghe strade fu quella, lunga 2400 km. che collegava Susa, attuale Sush, con Sardi, nei pressi dell’odierna Smirne.
Ma Dario ebbe fama soprattutto per la sua spedizione militare condotta contro la Grecia. Egli attribuì la responsabilità di alcune rivolte, avvenute fra i popoli dell’Asia Minore, alla città di Atene. Volle quindi punirla e preparò un grande esercito e lo fece sbarcare nella Baia di Maratona, a 42 km. da Atene, dove nell’anno 490 avanti Cristo si ebbe uno scontro con l’esercito greco capeggiato da Milziade. E Dario fu sconfitto. Più volte anche Serse, successore di Dario, tentò di sottomettere i greci, ma i tentativi riuscirono vani, anzi segnarono il principio della decadenza che fu completa sotto Dario III (330 avanti Cristo), quando Alessandro Magno conquistò l’intero paese. Serse morì assassinato nel 465 avanti Cristo. Alla morte di Alessandro Magno, avvenuta nel 323 avanti Cristo, con la caduta della monarchia macedone, la Persia passò ai Seleucidi, da questi agli Arsacidi che fondarono, nel 249 avanti Cristo, il regno dei Parti e dominarono per quasi cinque secoli, fino al 226 dopo Cristo, quando subentrò la dinastia dei Sassanidi che ebbero la capitale a Ctesifonte.
Nel III e IV secolo la Persia fu continuamente in lotta contro i turchi, gli arabi, i romani ed i bizantini; poi raggiunse la massima potenza sotto Cosroe I. Poco dopo l’impero dei Sassanidi fu travolto dagli arabi e la Persia divenne parte del Califfato ed abbracciò l’islamismo, abbandonando via via l’antica religione di Zoroastro, cioè il mazdeismo.
Nell’XI secolo fu conquistata dai turchi Selgiuchidi; questi vennero scacciati dai Mongoli che dominarono il paese fino a quando Ismail Safi assunse per primo, nell’anno 1502, il titolo di Scià ed unì varie delle disperse proprietà del regno. Così ebbe inizio il Nuovo Regno Persiano, sotto la dinastia dei Safavidi, che per 150 anni tennero il trono, consolidando lo stato e difendendolo dai turchi, dai russi, dagli afghani, mentre iniziava la penetrazione britannica.
Dopo un periodo di gravi torbidi, Aga Mohammed fondò la dinastia dei Cagiari nel 1794, sotto i quali la Persia divenne apertamente materia di contesa fra Russia e Gran Bretagna. Essa dovette cedere alla Russia le provincie fra il Mar Caspio ed il Mar Nero: cioè Scirvan e Daghestan nel 1812 e l’Armenia nel 1828. Dopo tale perdita la Persia divenne sempre più dipendente dalla Russia. Nel 1906 lo Scià Muzaffer-ed-Din accordò una Costituzione. Ma, morto lui, il successore Mohammed Alì, reazionario, la revocò, provocando nel luglio 1909 la guerra civile.
Durante la prima guerra mondiale la Persia fu soggetta ad incursioni turche e russe, e finì col cadere sotto la tutela britannica completamente.
Nel dopoguerra non godette subito della pace, turbata da mire contrastanti, finchè fu costretta a concludere un trattato con l’Unione Sovietica, il 26 febbraio 1921, mentre americani e britannici davano la caccia alle concessioni petrolifere.
Nel 1925, dopo una lunga rivoluzione, fu incoronato Scià Reza Pahlevi, primo sovrano della dinastia Pahlevi. Riformata la Costituzione, si sostituì al nome di Persia quello di Iran.
Nel 1941 il paese fu invaso da forze britanniche e sovietiche, e dal settembre dello stesso anno restarono sospese tutte le prerogative sovrane e la stessa indipendenza. Queste vennero ristabilite alla fine della seconda guerra mondiale, dopo di che si affermò in Iran una corrente politica fortemente nazionalista, avversa all’Inghilterra, che in Iran aveva ingenti interessi nell’industria del petrolio.
Nel 1950 dopo una serie di accordi con gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, il Parlamento rifiutò di ratificare un accordo per nuove concessioni alla Anglo-Iranian Oil Company, ed in seguito proclamò la nazionalizzazione delle industrie petrolifere, nel marzo 1951.
La questione, di evidente importanza mondiale, data l’entità degli interessi economici e politici che investiva, degenerò in una aspra controversia nella quale il punto di vista iraniano, intransigentemente sostenuto dal Ministro dello Scià, Mossadeq, diventò l’espressione dello spirito nazionale insorgente per l’indipendenza, la sovranità e la dignità del paese.
I tentativi di mediazione e di conciliazione della Corte Internazionale dell’Aja, e dell’inviato americano Averell Harriman, nel luglio 1951, le interminabili conversazioni fra le due parti, le stesse minacce della Marina Britannica, non impedirono la rottura delle trattative anglo-iraniane, vale a dire l’estromissione della Gran Bretagna dalla zona più importante del Medio Oriente.
Il 3 ottobre dello stesso anno avvenne l’evacuazione degli inglesi da Abadan. Nel novembre l’Iran strinse un accordo con l’Egitto denunciando formalmente, nel contempo, il trattato con la Gran Bretagna.
Dopo una breve crisi di governo, accompagnata da gravi tumulti, Mossadeq ottenne i pieni poteri per 6 mesi ed approfittando delle difficoltà create alla Gran Bretagna dalla rivoluzione dell’Egitto, si irrigidì in una posizione di intransigenza assoluta, nonostante che dal conflitto l’economia persiana ricevesse danni incalcolabili, annullando il blocco britannico ogni possibilità di esportazione delle grosse giacenze di petrolio e paralizzando quindi la produzione.
Ciò diede luogo ad una rottura fra Mossadeq, divenuto poco meno che un dittatore, e lo Scià; il 16 agosto 1953, questi destituì il premier e diede il governo a Fazollah Zahedi; ma Mossadeq reagì violentamente e provocò una rivolta che costrinse lo Scià e la moglie Soraya a lasciare l’Iran, mentre una parte del popolo chiedeva la proclamazione della Repubblica.
Zahedi riuscì, tuttavia, nel giro di pochi giorni, con l’appoggio dell’esercito, a dominare la situazione, a catturare Mossadeq e ad assicurare il ritorno dello Scià.
Il nuovo governo Zahedi, pur incriminando Mossadeq, sembrò però mantenere nei confronti della Gran Bretagna la stessa posizione del suo predecessore.
Il 5 dicembre 1953 furono riallacciate le relazioni con la Gran Bretagna così si poterono riprendere le trattative per il petrolio. Il 5 agosto 1954 fu stipulato un accordo per la formazione di un Consorzio Nazionale di cui fecero parte le cosidette “sette sorelle”, cioè le sette società petrolifere più ricche del mondo.
Dopo la caduta di Mossadeq l’Iran applicò una politica decisamente filo-occidentale, cosicchè poterono tornare anche gli aiuti militari americani. Poi il governo aderì al Patto di Baghdad del 12 ottobre 1955 insieme alla Turchia, al Pakistan ed alla Gran Bretagna.
Intanto il 6 aprile 1955 si era dimesso il generale Zahedi. Per poco tempo gli succedette Hussein Ala, ex premier, ed il 3 aprile 1957 subentrò Manuchehr Eqbal. Il 5 marzo 1959 l’Iran firmò con gli Stati Uniti un patto bilaterale di mutua difesa che provocò violente rimostranze da parte dell’Unione Sovietica, con grande scapito nei rapporti fra i due paesi.
Nel 1960 si costituì una Associazione dei Produttori di petrolio. Il 20 marzo 1972 la National Iranian Oil Company prese la gestione diretta dei bacini petroliferi, togliendola alle compagnìe estere che già dal 1954 avevano sostituito la Anglo-Iranian Oil Company.
In politica estera lo scià Mohammed Reza, più sicuro politicamente che in passato, volle mantenere buoni rapporti anche con la Cina e l’Unione Sovietica, pur dichiarandosi più vicino al blocco mondiale di tipo americano. Invece non furono buoni i rapporti con l’Iraq, anche per motivi di confini, e quando fu necessario inviare truppe iraniane ai confini con l’Oman, a partire dal 1974, queste poterono sostenere ottimamente le ostilità perché forti di armamenti procurati dagli Stati Uniti, i migliori esistenti in tutto il Medio Oriente, escluso Israele.
Molte riforme furono apportate, persino per ciò che riguardava la datazione del capodanno persiano. Si ritornò a contare gli anni non secondo l’Egira ma secondo la fondazione dell’impero da parte di Ciro il Grande. In onore di quest’ultimo, per il 25° centenario della fondazione dell’impero, furono fatte grandissime feste che non tennero per nulla in considerazione la cultura islamica. E ciò anche per spezzare un po’ il rigidissimo integralismo islamico, eccessivamente conservatore.
Invece si promosse l’istruzione, la divulgazione della stampa e furono fondate molte università. Paradossalmente fu proprio la classe studentesca a voler contestare le innovazioni apportate dal governo dello scià, che in qualche modo tentava di modernizzare lo stato. E le contestazioni vennero sempre represse; si applicò il partito unico, con la soppressione di ogni opposizione, finchè questa mancanza assoluta di libertà, nell’agosto del 1978 provocò una rivolta di popolo, pilotata certamente dall’Ayatollah Khomeini, da tempo in esilio a Parigi.
Lo scià, con l’intendimento di sedare la rivolta, fece intervenire al governo il moderato Bakhtiar. Ma il furore del popolo fu inarrestabile e lo scià Reza Pahlevi fu costretto a fuggire negli Stati Uniti con tutta la famiglia il 16 gennaio 1979.
Il successivo 1° febbraio invece Khomeini tornava in patria., chiamava al governo un nuovo primo ministro, Bazargan, ed il 12 febbraio proclamava la Repubblica Islamica. In realtà il potere fu gestito da un Consiglio Rivoluzionario Islamico, designato dallo stesso Khomeini il quale con la nuova Costituzione fu insignito della carica a vita di “guida” religiosa del paese.
Nell’evolversi della situazione si verificarono dei conflitti etnici in quanto le minoranze, ad esempio i curdi, avendo contribuito alla rivoluzione islamica, pretendevano la loro autonomia. Le repressioni furono altrettanto dure di quelle precedenti. L’Iran poi si pose all’attenzione del mondo intero nel novembre 1979 quando furono presi in ostaggio 50 cittadini americani, funzionari dell’Ambasciata Statunitense a Teheran. Nell’aprile del 1980 gli Stati Uniti tentarono un blitz per liberarli, ma questo fallì e bisognò aspettare il 1981 perché gli ostaggi venissero liberati. La contropartita fu uno scongelamento dei depositi bancari iraniani negli Stati Uniti.
Allorchè sanzioni economiche furono inflitte non solo dagli Stati Uniti, ma anche dal Giappone e dalla Comunità Economica Europea, l’Iraq approfittò del momento per riportare sul tappeto una questione di confini con l’Iran. Ne nacque un conflitto che ben presto divenne guerra aperta.
Intanto il presidente della repubblica, Bani Sadr, veniva esautorato e, dopo una breve fase in cui fu presidente Raga-I, morto in un attentato, nell’ottobre del 1981 fu eletto Ali Hamene-I.
Tutte le contestazioni interne furono duramente sedate e nel 1983 fu sciolto il Partito Comunista Tudè, già amico del regime, e furono condannati a morte tutti i suoi rappresentanti. Così si deteriorarono i rapporti con l’Unione Sovietica mentre si andavano via via regolarizzando quelli con l’occidente, dettati soprattutto dalle necessità di avere rifornimenti bellici in prevalenza di fabbricazione europea ed americana, già da tempo in dotazione all’esercito.
Nell’agosto del 1985 il presidente in carica fu riconfermato. Tre anni dopo, a seguito delle sfortunate vicende della guerra contro l’Iraq, l’Iran fu costretto ad accettare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che imponeva la cessazione delle ostilità. Iniziarono i negoziati di pace fra mille difficoltà.
Nel febbraio 1989 un altro caso portò all’attenzione del mondo l’intransigenza islamica dell’Iran. Uno scrittore britannico, di origine indiana, S. Rushdie, aveva pubblicato un’opera dal titolo “Versetti satanici”, che fu giudicata blasfema da Khomeini, il quale sentenziò per lo scrittore la pena di morte ed incitò ogni cittadino iraniano ad eseguirla, in qualsiasi propizia occasione. Ciò portò lo scrittore a rendersi irreperibile, ma anche allo scioglimento dei rapporti con la Gran Bretagna.
Il 4 giugno 1989 Khomeini morì ed il giorno dopo divenne “guida” Hamene-I, e la sua carica di presidente della repubblica passò nelle mani di Akbar Rafsangani. Questi fece subito approvare dal Parlamento una legge che riduceva la percentuale di partecipazione statale negli affari economici dei privati ed inseriva una richiesta di un prestito estero per 27 milioni di dollari. Il vice-presidente propose anche la riapertura delle relazioni con gli Stati Uniti, ma ciò non ottenne approvazioni. Però fu importante per la conseguenza che ebbe nella politica del paese perché accanto ai principi ispiratori della linea dura si posero le persone che chiedevano la moderazione.
Si riacutizzò il conflitto con l’Iraq, mai del tutto sopito, ed i primi contatti per la sua risoluzione si ebbero soltanto nell’aprile del 1991, alla fine della guerra del Golfo, persa dall’Iraq. Ma intanto nelle principali città del paese cominciarono le contestazioni popolari contro il regime.
Nell’aprile del 1992 si ebbero le elezioni politiche e l’ala moderata di Rafsangani ottenne la vittoria. Egli aveva in programma l’ammodernamento dello stato e l’apertura verso la comunità internazionale. Ma fu sempre avversato dai radicali fondamentalisti islamici che nel giugno dello stesso anno inscenarono numerosi gravi incidenti nelle grandi città. La repressione non tardò a raggiungere i sobillatori, molti dei quali subirono la condanna a morte.
Nel giugno 1993 ci furono le elezioni presidenziali e Rafsangani fu rieletto ma dovette prendere nota di un forte calo di consensi. Nel febbraio del 1994, mentre teneva un comizio nella capitale, fu fatto oggetto di un attentato, fallito.
Per tutto il 1994 ci fu un susseguirsi di proteste e disordini avversanti la politica economica del presidente. La situazione era piuttosto precaria tanto che nell’aprile del 1995 a Teheran scoppiò una vera e propria rivolta contro il caro vita. Per di più il presidente americano Clinton, ritenuto l’Iran il principale fomentatore del terrorismo islamico, aveva annunciato contro quel paese il blocco totale dei commerci e degli investimenti. A seguito di ciò l’Iran si ritrovò in un isolamento che precluse ogni accesso agli istituti internazionali di credito. Né le cose in politica estera furono più soddisfacenti. Si ebbero discordanze ed opposizioni con l’Iraq, nemico di sempre, ma anche con la Turchia per la ormai annosa questione dei curdi; con questo paese ci fu una forte crisi diplomatica nel corso del 1997.
La presidenza di Rafsangani fu deludente poiché il paese che in teoria stava percorrendo la strada della modernizzazione e del progresso, in realtà era divenuto più povero, la disoccupazione era aumentata ed il settore industriale rischiava la paralisi completa. C’era stato qualche sintomo di miglioramento, nel frattempo, come l’alfabetizzazione, lo sviluppo dell’istruzione superiore e la partecipazione attiva delle donne nella vita politica e sociale del paese. Ma proprio quest’ultima voce aveva dato l’avvìo alle proteste delle donne che chiedevano la parità dei diritti per ambo i sessi ed una diversa interpretazione dei testi coranici, quella in atto era troppo rigida. E proprio dalle donne, fra le più giovani in particolar modo, si conobbero le loro preferenze di vita nettamente vicine al modello occidentale. I riformisti iraniani presero spunto da questo per emergere in qualche modo sugli oscurantisti. Ed infatti nelle elezioni del 1996 i conservatori dovettero constatare un calo impressionante dei loro voti. Ma la svolta più significativa della vita del paese si ebbe con le elezioni presidenziali del maggio 1997, allorchè fu eletto Sayyed Muhammed Hatami, ex Ministro della Cultura, che in passato aveva dovuto abbandonare l’incarico perché non in sintonia con i rigidi principi dei conservatori.
Questo successo ebbe delle ripercussioni importanti nella politica estera. Infatti Hatami ridusse al minimo le critiche antiamericane, pronunciò una dichiarazione di stima verso il popolo americano tanto che Clinton ammorbidì parecchio la sua politica economica nei confronti dell’Iran. Ma l’avvenimento più clamoroso si ebbe nel settembre 1998 quando il Ministro degli Esteri Kamal Harrazi pronunciò, in una seduta alle Nazioni Unite, la decisione dell’Iran di dissociarsi dalla sentenza di morte pronunciata a suo tempo da Khomeini verso S. Rushdie.
Nonostante i passi da gigante fatti in ambito internazionale per tutte queste nuove prese di posizione, Hatami fu sempre in bilico nella sua carica di presidente a causa del dualismo consentito nella politica, poiché poteva essere esautorato dalla “guida” spirituale del paese in qualsiasi momento questi lo avesse ritenuto necessario.
Nel settembre 1998 una macabra importante scoperta dei corpi di alcuni diplomatici iraniani a Mazar-I Scerif, città afghana appena pochi giorni prima riconquistata dai guerriglieri, fece sì che truppe iraniane fossero immediatamente schierate ai confini con l’Afghanistan.
Tra il novembre ed il dicembre del 1998 furono registrati alcuni omicidi
eccellenti di dissidenti ed intellettuali liberali, i quali andavano da
tempo predicando la laicizzazione del paese. Furono sospettati i conservatori
del potente Ministero dell’Informazione, una sorta di servizi segreti che
sempre impunemente in passato avevano colpito l’opposizione. Nel febbraio
1999 le elezioni dei Consigli Comunali videro la stragrande affermazione
dei sostenitori del presidente Hatami. Nel luglio dello stesso anno gli
studenti iraniani scesero in piazza per protestare contro la chiusura del
giornale “Salam”, sostenuto anche dal presidente; la polizia operò
un violento assalto nel “campus” dell’Università di Teheran; la
protesta ben presto dilagò nelle piazze della capitale, ma venne
fermamente repressa.