Storia
La Liberia, terra d’Africa, nacque in America nel 1816 quando con la fondazione a Washington della “American Colonization Society”, ad opera di Ashmun Jeudi, ci si propose di far tornare in Africa gli schiavi negri, liberati dalla servitù, ma non desiderati come cittadini dai liberi stati del nord America.
Nel 1821 un primo nucleo di questi negri venne trasportato sulle coste della regione, presso il Capo Mesurado. La “Society” fornì loro, oltre i viveri ed i mezzi di sussistenza, anche le armi per potersi difendere dagli indigeni i quali nel 1822 tentarono di opporsi ai nuovi venuti, senza prendere in considerazione le loro pacifiche intenzioni.
Nel 1827 un pastore protestante, R. R. Gurley, chiamò Liberia questo che è il più piccolo degli stati indipendenti, e Monrovia il primo piccolo progetto di città, in onore dell’allora presidente americano James Monroe.
Questa zona era stata scoperta verso il 1470, alle foci del fiume Saint Paul, da alcuni navigatori portoghesi che l’avevano chiamata “Costa del pepe” perché questa droga era il prodotto principale della regione. E già nel secolo successivo i bianchi cominciarono a cercare su queste coste “l’avorio nero”, cioè i negri che poi venivano deportati come schiavi.
Poco a poco altri nuclei si unirono ai primi; una folta schiera venne dal Maryland, si stabilì presso il Capo Palmas, ebbe un governatore nominato dalla “Society”, che doveva anche dirigere le spedizioni che essi dovevano continuamente organizzare contro i locali, i quali, uscendo dalle fitte boscaglie in cui vivevano, assalivano questi coloni negri rendendo loro la vita impossibile.
Nel 1847 il governatore in carica Joseph Roberts, dietro ordine della “Society”, proclamò l’indipendenza della colonia e capitale Monrovia; poi instaurò la Repubblica e promulgò una Costituzione, redatta sul modello di quella degli Stati Uniti. Poi impose taluni principi, quali la religione protestante e l’uso della lingua inglese anche per gli indigeni, creando i primi screzi fra i vari partiti in cui si erano divisi i coloni.
Il primo presidente della repubblica fu appunto Roberts che, per prima cosa, si dedicò anima e corpo a distruggere il commercio di schiavi praticato da molti negrieri europei.
La repubblica conobbe subito l’alternanza fra periodi buoni e non e le contese sorte per i confini. In ogni caso gli Stati Uniti con le loro mediazioni riuscirono sempre a ristabilire l’ordine.
La Liberia adottò una bandiera simile a quella americana; ebbe 11 strisce bianche e rosse orizzontali e, in alto a sinistra, un rettangolo azzurro in cui si pose una stella bianca, con 5 raggi, simbolo dell’unità e della libertà.
Ma certamente queste due parole non corrisposero a nulla di reale per ciò che fu la vita pratica del paese. E questo fu dovuto alla netta divisione delle due parti della popolazione: una rappresentata dai “cittadini”, ossia negri di origine americana, e l’altra degli “inciviliti”, cioè negri importati dopo la costituzione della repubblica. Senza contare numerose tribù autoctone o venute dal Sudan.
Nella parte settentrionale dello stato si stabilirono alcune tribù Mandingo, maomettane, che praticarono l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Ma la massa delle popolazioni indigene rimase ancorata al paganesimo, nutrendosi solo a sistema vegetariano, usando vesti sommarie ed indossando monili di ferro ed amuleti vari.
I “cittadini” furono da sempre i veri padroni della repubblica, non concessero mai la cittadinanza ai bianchi, abolirono solo di nome la schiavitù poiché in pratica i piantatori pagavano ai capi indigeni una data somma per ogni negro che facevano lavorare nelle concessioni.
Le entrate della repubblica furono sempre dovute ai dazi doganali e sempre inferiori alle spese. L’economia fu sempre nelle mani degli stranieri, specialmente americani ed inglesi.
Nel 1927 le finanze della Liberia furono poste sotto il diretto controllo
di funzionari americani e fu lanciato sul mercato americano un prestito
di due milioni di dollari per estinguere il precedente prestito contratto
nel 1912 con la Gran Bretagna.
Nel 1932 la Liberia accettò un piano di assistenza proposto
dal Consiglio delle Nazioni Unite e controllato dagli Stati Uniti. Il piano
prevedeva misure di sicurezza nel campo amministrativo, igienico e finanziario.
Il territorio veniva diviso in tre provincie ognuna governata da un prefetto provinciale ed uno aggiunto, responsabili del loro operato verso il presidente. I prefetti provinciali sarebbero stati tre stranieri, assunti dal governo liberiano, e quelli aggiunti nominati dalle Nazioni Unite, le quali avrebbero assunto anche due medici, sia per presidiare gli ospedali che per controllare l’applicazione delle norme igieniche. Gli Stati Uniti avrebbero nominato due esperti con il compito di sorvegliare che il piano di assistenza venisse eseguito. Poi si dichiarò che qualora la Liberia non avesse rispettato tutte le regole, il piano sarebbe stato revocato.
E ciò avvenne poiché la Liberia, non volendo il controllo straniero, formulò delle riserve tali che equivalsero ad un rifiuto del piano.
Nel corso della seconda guerra mondiale la Liberia fu importante base per gli Stati Uniti, sia per lo sbarco di forti contingenti, sia per la produzione del caucciù garantita dalla FIRESTONE, tutta riservata alle necessità belliche statunitensi.
Naturalmente tutto ciò rappresentò una forte spinta per l’economia del paese e nel 1944 gli Stati Uniti stipularono un piano quinquennale con il presidente liberiano William V. S. Tubman; questo piano, oltre a promuovere strutture prettamente militari, prevedeva anche la costruzione di un porto a Monrovia, e di una ferrovia che da questa città portasse a Kolhum, nell’Africa Occidentale francese.
Ma Tubman applicò quella che fu la politica della “porta aperta” poiché cercò nuove fonti per migliorare la propria economia anche dagli altri paesi, pur mantenendo con gli Stati Uniti una forte prevalenza di trattati commerciali. A tale scopo intraprese nel 1956 un lungo viaggio in Europa, visitando l’Italia, la Francia, la Germania Occidentale, l’Olanda, la Svezia e la Svizzera. Nel 1957 fu in Unione Sovietica il Ministro dell’Agricoltura e del Commercio, J. W. Cooper.
Questo desiderio della Liberia di uscire dall’isolamento economico, fu seguito da quello politico. Infatti partecipò all’Unione Interparlamentare ed alla prima Conferenza afro-asiatica tenutasi a Bandung nel 1955.
Il 23 giugno dello stesso anno il presidente Tubman fu oggetto di un attentato da parte di dissidenti del suo stesso partito; l’attentatore fu ucciso dopo una settimana in uno scontro a fuoco con la polizia.
Nel 1958 Tubman fu presente alla prima Conferenza degli stati indipendenti africani che si tenne ad Accra per iniziativa del Ghana. Egli si preoccupò pure di accrescere la partecipazione della popolazione alla vita del paese, parificò le provincie dell’interno a quelle costiere ed anche in campo sociale operò importanti azioni come nel 1961 quando istituì il diritto alla pensione e nel 1963 introdusse un moderno codice di lavoro che riconosceva i diritti sindacali.
Nel 1964 instaurò buoni rapporti con l’Unione Sovietica ed appoggiò il processo di decolonizzazione dei paesi africani. Poi nel 1966 fu decretato uno sciopero dei dipendenti della FIRESTONE, la massima azienda industriale del paese; ne vennero dei disordini che Tubman represse piuttosto duramente.
L’anno dopo venne rieletto presidente per la sesta volta, quale candidato del partito “True Wig”, che ormai era diventato partito unico.
Alla sua morte, avvenuta il 23 luglio 1971, gli successe il vice-presidente W. R. Tolbert, che governò più democraticamente. Sostituì alcuni elementi di governo della vecchia guardia con membri più giovani; fece rilasciare i detenuti politici; ampliò le strutture scolastiche e curò di più gli interessi nazionali facendo intervenire lo stato nei settori più deboli.
In politica estera, pur mantenendo il tradizionale orientamento verso occidente, in particolare verso gli Stati Uniti,si rivolse anche verso altri paesi e nel 1972 si aprì a Monrovia l’Ambasciata sovietica. Strinse inoltre rapporti con altri paesi dell’est europeo.
Alla fine degli anni settanta, sopraggiunte difficoltà economiche il “Progressive Peolple’ s Party”, tentò di provocare uno sciopero nazionale; alle misure repressive adottate da Tolberto, rispose un gruppo di sottufficiali dell’esercito, guidato da S. K. Doe, che assalì il palazzo presidenziale, uccise il presidente ed abbattè il governo. Doe assunse il potere, sospese la Costituzione e fece giustiziare una decina di membri del governo deposto. Questo causò vivo scalpore all’estero e Doe fu costretto a moderare le sue repressioni. Gli Stati Uniti riconobbero il nuovo governo e continuarono ad aiutare il paese.
Nel 1983 Doe riallacciò le relazioni diplomatiche con Israele. Nel 1984 fu ripristinato il governo civile e fu emanata una nuova Costituzione sulla falsariga di quella precedente.
Nell’ottobre 1985 le elezioni presidenziali furono vinte da Doe. Nel 1987 egli imbastì una campagna contro la corruzione praticando repressioni che nel 1989 provocarono una insurrezione armata ad opera del “Fronte Patriottico Nazionale”, guidato da Ch. Taylor, che si proclamò presidente di un governo provvisorio.
La Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale inviò
truppe per ristabilire l’ordine e per eleggere presidente provvisorio di
unità nazionale A. Sawyer. A sancire la fine delle ostilità
della guerra civile nel 1993 intervennero le Nazioni Unite che dichiararono
formalmente un loro maggiore impegno in favore della Liberia.
Nel luglio 1993 a Cotonou, nel Benin, un accordo per la pacificazione
definitiva fra le fazioni fu firmato, ma questo accordo non fu gradito
a tutti, anzi, per reazione, si formarono nuovi nuclei armati.
Ad aggravare ancora di più questa situazione, si verificarono dei forti contrasti che portarono alla scissione, sia nel Fronte Patriottico Nazionale, guidato da Taylor, sia nel Movimento Nazionale Unito della Liberia per la Democrazia, sostenuto dai seguaci di Doe. Quest’ultimo si divise in due nuclei: uno di marca mandingo, leader A. Kromah, ed uno Krahn, leader R. Johnson.
In due diversi luoghi e tempi si firmarono accordi per il cessate il fuoco. Uno ad Accra, nel Ghana, nel dicembre 1994, ed uno ad Abuja nella Nigeria, nell’agosto del 1995. Con essi si era prevista la nomina di un Consiglio di Stato, con la presenza dei capi delle principali fazioni.
Ma già sin dall’inizio del 1996 si potè constatare quanto fosse difficile governare, a causa di una forte recrudescenza della violenza e degli scontri armati. A Monrovia, nell’ambasciata americana, si erano rifugiati, oltre ai cittadini statunitensi, anche molti altri stranieri. Per evacuarli gli Stati Uniti dovettero inviare loro truppe.
Solo nell’agosto del 1996 fu possibile la firma di un altro accordo, ad Abuja, con il quale si iniziò il disarmo, almeno di alcune fazioni. E queste, abbandonata la lotta armata, diedero vita a nuovi partiti politici ed indissero nuove elezioni presidenziali e legislative.
Queste si svolsero sotto il diretto controllo di alcune organizzazioni internazionali e furono vinte: le prime da Taylor e le seconde dal suo partito, cioè il Fronte Patriottico Nazionale.
Tutto ciò non bastò a sedare completamente le lotte ed
infatti esse ripresero ancora, nel settembre del 1998, ed interessarono
soprattutto la capitale.