Storia
Della più antica storia di Macedonia non si hanno notizie certe. Le prime di cui si è a conoscenza ci dicono che i macedoni vennero a contatto con i greci durante le guerre persiane e quella del Peloponneso, quindi, se sono arrivate sino a noi, il merito è tutto degli storici del secolo V.
Il Regno di Macedonia, uscito dall’oscurità verso la fine del V secolo per opera del re Archelao, fu innalzato a predominio sulla Grecia e sull’Asia, fino al fiume Indo, rispettivamente da Filippo II e da suo figlio Alessandro, detto il Grande, nel IV secolo avanti Cristo.
Nel 148 avanti Cristo fu conquistato e dichiarato “Provincia romana”, dopo 4 guerre. Roma mantenne alla “provincia” gli stessi confini ed il governo fu affidato ad un pretore che risiedeva a Tessalonica. Ma la vita della provincia non fu tanto tranquilla; a turbarla sopraggiunsero, non solo le ribellioni dei locali, ma soprattutto i popoli barbari che dal nord scesero a devastarla più volte. Ed anche i re stranieri contribuirono a portare sul terreno la guerra contro i romani. I barbari Dardani, Bessi, Scordisci e Traci, combatterono molteplici guerre contro Roma, che inferse loro la sconfitta definitiva a Filippi e la provincia rimase sotto il potere di Antonio fino alla battaglia di Azio. L’opera di romanizzazione della Macedonia procedette lentamente ma con gradualità ed il diritto di cittadinanza romana fu molto diffuso nella provincia che divenne la più importante fornitrice di milizie pretorie. Tuttavia il paese conservò l’ordinamento greco che per tantissimo tempo era stato applicato dai suoi precedenti re. Tessalonica fu considerata città libera e l’Epiro fu distaccato dal paese e dichiarato provincia procuratoria autonoma. E tutto ciò mentre nelle campagne le popolazioni, in gran parte di stirpe greca, mantenevano la loro organizzazione in tribù.
Nel II secolo iniziò la vangelizzazione della Macedonia ad opera di San Paolo che ivi compì molti viaggi. Fu anche il solo paese dell’Oriente che non riuscì a fondere in un unico popolo le genti che lì si stabilirono. Le regioni, tante e piccole, rimasero isolate l’una dall’altra da montagne, non altissime, ma comunque difficili da valicare.
Non fu così per i barbari che verso la metà del III secolo discesero in gran numero decretando la fine del dominio romano. I primi ad arrivare furono i Visigoti che dal 253 dopo Cristo al 402 costituirono una minaccia continua in tutta la zona balcanica. Poi arrivarono i Goti, guidati da Alarico, che distrussero la Tracia e la Grecia e si spinsero fino al Peloponneso. Poi ancora giunsero gli Unni, gli Ostrogoti, gli Avari, gli Slavi ed i Bulgari. Questi ultimi rimasero dal VII al IX secolo e diedero una impronta incancellabile al paese che, da allora e per molti secoli, fu chiamata Bulgaria ed i suoi abitanti bulgari.
Poi la Macedonia fu sconvolta dalle orde turche
dei Cumani e dei Pecceneghi. I sultani procedettero ad organizzare
il paese secondo le loro usanze, ma tesero anche ad impossessarsi del suolo.
Tolsero, infatti, le terre più fertili ai proprietari
distribuendole ai “bey” ed ai “pascià”, capi dei loro eserciti,
creando così un sistema feudale. Ed arrivarono sempre in maggior
numero fino a cambiare completamente l’etnografia della regione.
Ma non pretesero mai di convertirla alla religione islamica. Per i turchi
l’interesse principale fu quello di sfruttare le ricchezze e le genti del
paese.
Poi il governo centrale venne via via indebolendosi per il fiorire dei bey e dei pascià, i quali dettero libero sfogo alla loro sete di potere commettendo violenze e soprusi. Furono inevitabili le ribellioni del popolo macedone che, verso la metà del XIX secolo, cominciarono a farsi sentire.
Usciti dal letargo durato 4 secoli, i macedoni vollero scrollarsi di dosso il dominio ottomano, ma anche la preponderanza nel frattempo acquisita dalla Chiesa greco-ortodossa. E per i loro aiuti si rivolsero verso i bulgari, di orientamento etnografico simile al loro.
Nel 1876 ci furono i primi moti, repressi duramente dai turchi. Le atrocità commesse da questi provocarono l’intervento della Russia e richiamarono l’attenzione di tutti gli stati europei. La Russia impose all’Impero Ottomano, col Trattato di Santo Stefano del 3 marzo 1878, la riunione in un unico stato autonomo della Bulgaria, la Rumelia orientale e tutta la Macedonia, salvo Salonicco.
Ma gli stati occidentali non accettarono questa risoluzione ed allora fu convocato il Congresso di Berlino, nel giugno dello stesso anno. Con questo Congresso si apportarono notevoli modifiche al trattato precedente. Fu accettato il concetto di un Principato Bulgaro ma senza la Rumelia orientale, che ebbe un ordinamento a parte, e la Macedonia fu resa quasi integralmente alla Turchia che, però, si impegnò alla riforma dell’amministrazione di governo. Cosa che non fece.
Ma la Bulgaria non accettò passivamente questo ridimensionamento delle sue zone né i macedoni si rassegnarono a rimanere sotto il giogo ottomano. E, quando variando le disposizioni del Congresso di Berlino, la Rumelia orientale tornò ad essere compresa nei confini bulgari, si cominciò a pensare maggiormente alla situazione della Macedonia. Questo fu il primo passo verso le guerre balcaniche scoppiate nel 1912 e finite conla Pace di Bucarest del 10 agosto 1913.
In tutto questo periodo la Macedonia era stata il teatro delle lotte turco-balcaniche e fu occupata da bulgari, serbi e greci. Poi serbi e greci uniti ebbero delle rivalità con i bulgari per la divisione dei territori conquistati. E la diatriba si risolse con la Pace di Bucarest che assegnò Salonicco alla Grecia, Monastir alla Serbia ed una parte alla Bulgaria.
Nel 1915 la Bulgaria entrò a fianco degli imperi centrali in guerra contro la Russia e la Serbia. La Macedonia serba fu occupata dalla Bulgaria, mentre a Salonicco si insediarono i franco-britannici che di lì, con gli italiani ed i serbi, nel 1916, avanzarono fino oltre Monastir. Terminata la prima guerra mondiale con la sconfitta della Bulgaria, tutta la parte assegnata a questa fu ceduta alla Grecia la quale, avendo anche avuto la Tracia, circondò tutto l’Egeo, togliendo alla Bulgaria lo sbocco al mare.
Nel tracciare le nuove frontiere di tutti gli stati alla fine della guerra, non fu facile la soluzione della questione nazionale della Macedonia a causa della sua frammentarietà. Per cui la tutela di tutte le minoranze fu sottoposta direttamente alla Società delle Nazioni.
La rivalità fra i capi dei vari gruppi influì molto sul Movimento di Indipendenza Macedone, che già risultava piuttosto disorganizzato. Intanto la Bulgaria non aveva mai completamente rinunciato ad unificare la Macedonia entro i propri confini; aspettava soltanto il momento propizio per attuarlo. Ed i macedoni di etnìa jugoslava e di etnìa greca non diminuirono mai il loro sentimento di insofferenza verso i rispettivi governi.
Cosicchè, allo scoppio della seconda guerra mondiale, sia Atene che Belgrado si trovarono in difficoltà poiché i soldati macedoni, ostili a quei governi, non furono motivati alla difesa di quei territori che caddero rapidamente nelle mani delle truppe dell’Asse. Quei neghittosi soldati sperarono tanto nella concessione dell’autonomia da parte degli italiani, dei tedeschi e dei bulgari. E questi ultimi, alla fine della campagna di Grecia e di Jugoslavia, poterono annettere quasi tutto il paese. Solo una piccola parte della Macedonia jugoslava passò all’Albania. Ma anche in questa parte assegnata all’Albania si verificarono delle ribellioni in quanto l’Italia, per un macroscopico errore, vi aveva riunito i macedoni ortodossi con gli albanesi musulmani. Un clima di grande tensione si era creato, ed i “pope” fecero di tutto per spezzare la situazione, rivolgendosi al governo bulgaro. E questo colse al volo la magnifica occasione concedendo immediatamente a quei macedoni greci la nazionalità bulgara.
Dal 1941 al 1944, come poi fu documentato, la Bulgaria cercò con ogni mezzo di far assimilare ai macedoni le caratteristiche del popolo bulgaro. Tante furono le uccisioni, le deportazioni e gli spostamenti di popolazione. E questo procurò non poche preoccupazioni all’Asse, poiché il Movimento partigiano che combattè più aspramente contro i tedeschi nacque proprio in Macedonia.
Nel 1943, infatti, fu fondato il Fronte Slavo-Macedone di Liberazione Nazionale, di radice comunista. Esso combattè a fianco dei partigiani di Tito, dei comunisti bulgari e del Fronte Nazionale di Liberazione Greco. Tito, poi, il 4 dicembre 1944, dopo aver proclamato la Repubblica a Belgrado, creò la Macedonia autonoma e più tardi, nel 1945, come Repubblica Popolare di Macedonia entrò a far parte dello Stato Federale Jugoslavo. La Macedonia mantenne la sua lingua ufficiale ed ebbe diritti uguali ai serbi, croati e sloveni.
Poi il governo bulgaro del Fronte Patriottico il 31 dicembre 1946 indisse un censimento nel suo territorio e tutti i macedoni abitanti nella Macedonia bulgara poterono riprendere in pieno la loro nazionalità e distaccarsi dalla Bulgaria, per formare con il resto del paese un unico stato. Ma questa unificazione propose altri problemi poiché la zona compresa nella Macedonia greca, in virtù degli accordi di pace, tornò alla Grecia. E questo fu il motivo principale per cui in Grecia scoppiò la guerra civile. Le truppe partigiane di Markos, nella Macedonia greca, in questo frangente furono le più attive.
La possibilità di giungere alla fine alla completa unificazione della Macedonia, fu vista solo nella soluzione della crisi greca, il che avvenne nel corso del 1946.
Nella ricompattata repubblica sorsero molti villaggi agricoli. La fertilità del terreno e l’operosità degli abitanti costituirono una vera ricchezza per il paese che unitamente ad una prestigiosa agricoltura sviluppò anche un considerevole allevamento del bestiame. Notevoli furono soprattutto le coltivazioni di cotone, tabacco, meloni e cocomeri che, addirittura, in alcuni anni raggiunsero quasi il milione di quintali.
E con la Federazione delle Repubbliche Jugoslave si arrivò fino al 1989 quando, appunto, quella Federazione entrò in crisi e movimenti indipendentistici si risvegliarono anche in Macedonia.
Nel maggio 1989 l’Assemblea, così era chiamato il Parlamento macedone, decretò di chiamarsi “stato nazionale”. Le elezioni del novembre/dicembre 1990 assegnarono la maggioranza al Partito Democratico per l’Unità Nazionale, seguito dalla Lega dei Comunisti macedoni che, poi, si chiamò “Alleanza Socialdemocratica della Macedonia”. Tutti i partiti rappresentati in parlamento si dichiararono favorevoli all’indipendenza che, infatti, fu ufficialmente proclamata il 5 settembre 1991.
Nel giugno dello stesso anno dalla denomiazione della Repubblica fu eliminata la qualifica di “socialista” e nel settembre il 95% dei referendari si pronunciò per la completa sovranità. Il 17 novembre entrò in vigore una nuova Costituzione. Ma non tutti i problemi risultarono risolti. In Macedonia esistevano minoranze albanesi e turche che a loro volta reclamavano l’autonomia territoriale e politica. E ciò fu fatto in referendum del 1992 che, però, fu dichiarato nullo dal governo macedone.
La Macedonia, a maggioranza ortodossa, dovette affrontare anche il problema religioso con quelle minoranze islamiche. Un altro motivo di contestazione fu portato dalla Grecia, contro la denominazione di “Macedonia” di questo stato, poiché esso appartenne sempre storicamente alla Grecia stessa.
Tutti questi contrasti ritardarono il riconoscimento della giovane
repubblica presso gli altri stati. Ma poi ciò avvenne nei primi
mesi del 1992 daparte della Bulgaria e della Turchia. Nell’aprile del 1993
fu riconosciuta dalle Nazioni Unite, nonché dalla Germania,
dal Belgio e dalla Danimarca.
Così mentre con la Bulgaria in un certo senso le relazioni si
erano stabilizzate su una linea di normalità, quelle con la Grecia,
invece, quando nel 1993 tornò al potere Papandreu, peggiorarono.
Nel febbraio del 1994 la Grecia chiuse il proprio Consolato a Skopje, isolò
la Macedonia con pesanti interdizioni commerciali, fra cui la proibizione
ad utilizzare il porto di Salonicco.
Sempre in quel febbraio si verificarono ampie spaccature fra le correnti
governative moderate e quelle composte da elementi slavo-macedoni e albanesi
i quali, numerosi nella parte occidentale del paese, ne rivendicavano la
piena autonomia.
Nel giugno del 1994 fu eseguito un censimento che decretò la
presenza albanese nella misura del 22% della popolazione contro il 66,6%
di etnia macedone.
Il 16 ottobre 1994 si svolsero le elezioni presidenziali e legislative. Pur fra tante contestazioni per brogli, esse riconfermarono presidente K. Gligorov, ed assegnarono la vittoria alla coalizione governativa, Alleanza per la Macedonia.
Questo governo, con l’aiuto degli Stati Uniti, riuscì ad appianare quasi tutte le controversie con la Grecia tanto che si ripristinò una situazione di normalità sia in relazione alle frontiere che verso il ritiro dell’embargo economico. All’interno, invece, permasero le difficoltà nei confronti degli albanesi i quali, dopo aver inaugurato a Tetovo una università di lingua albanese, se la videro chiudere con un decreto governativo poiché ritenuta del tutto illegale. Scoppiarono gravissimi disordini e lo stesso Gligorov fu ferito in un attentato a Skopje, per cui fu nominato presidente provvisorio S. Andov.
Nel 1996 molte anomalie si appianarono fra la Macedonia e la Federazione Jugoslava e quando a giugno, con la morte di Papandreu, prese il governo greco C. Simitis che volle superare il passato e ricominciare tutto daccapo, in un clima di distensione e di pace.
Dopo parecchi mesi di convalescenza Gligorov tornò al governo
e subito si trovò a dover gestire, nei primi mesi del 1997, la grave
crisi albanese che aveva avuto delle ripercussioni pure sulla Macedonia.
Infatti, nella parte più occidentale del paese, ai confini col Kosovo
e l’Albania, la tensione era altissima. Ciò nonostante si giunse
ad un accordo anche in virtù della mediazione del comunista V. Tupurkovski,
personaggio di spicco di “Alternativa Democratica”, formata da membri Serbi,
Rom e Albanesi.
Nell’anno 1998, pur non essendo stati realizzati tutti i programmi
previsti, si ebbero le elezioni parlamentari che portarono al governo
una coalizione fra B. Crvenkovski, del Partito Democratico per l’Unità
Macedone, e Tupurkovski, di Alternativa Democratica.
Questo nuovo governo, le cui attenzioni dovevano essere rivolte maggiormente ai problemi economici del paese, invece fu subito investito dal conflitto del Kosovo, in cui kosovari di etnia albanese e serbi si scatenarono in assalti armati di inaudita ferocia, tanto da rendere indispensabile l’intervento della NATO, con relativi attacchi aerei alla Jugoslavia, nel marzo-giugno 1999.
La Macedonia infatti fu coinvolta in quanto, essendo confinante, si vide invadere da oltre 250.000 profughi, con grave disagio dell’equilibrio etnico nazionale.
Fra ottobre e novembre del 1999 si effettuarono le elezioni presidenziali,
vinte da B. Trajkovski, elemento politico vicino all’occidente,appoggiato
dalle minoranze albanesi.