Storia
Difficile è ricostruire storicamente l’origine del regno degli Inca. Con questo titolo gli antichi peruviani chiamarono i loro re ed i principali reali con attributi divini, ossia “Figli del Sole”.
Secondo la storia tradizionale, quattro fratelli delle tribù “Ayares” degli Indi Quecha, abitanti nella zona di Paccaritampu (a circa 8 km. dal luogo dove poi sorse Cuzco), capitanati dal maggiore Manco Capac, partirono in cerca di nuove terre e, saggiata la terra in prossimità del torrente Huatanay e trovatala feconda, lì si stabilirono, dando origine alla dinastia Inca e Incas fu l’ultima e più progredita civiltà precolombiana dell’America meridionale.
Era l’XI secolo. Questi Indi si stanziarono al sud, dove fondarono la capitale del loro stato, Cuzco, poi, poco a poco, occuparono tutti i territori corrispondenti agli odierni stati del Perù, Ecuador, Bolivia e Cile settentrionale.
Qui essi vennero in contatto con altre forme di civiltà già evolute; le imitarono e le migliorarono.
Il sistema politico dei re Inca fu accentratore; centinaia di funzionari imperiali, imparentati con la famiglia dell’Imperatore, governarono le varie province, controllando le produzioni agricole. E siccome i due terzi di ogni provincia era di proprietà dell’Imperatore, a lui spettava di diritto una parte dei prodotti.
Nella lingua “quichua”, quella degli Incas, esisteva un unico verbo per indicare lavorare e coltivare. Ed appunto il lavoro della terra fu dapprima l’unica attività degli abitanti.
L’agricoltura degli Incas era basata sul sistema delle terrazze, che erano formate da tanti muri di sostegno elevati sul pendio della montagna.
I prodotti più coltivati erano la patata ed il mais (che gli spagnoli fecero poi conoscere in Europa) . Furono anche abili allevatori di bestiame. Uno degli animali più frequentemente allevati per la bontà della carne era un piccolo roditore, chiamato “Cuy”; un altro era il “Guanaco”, derivato dal cammello americano. C’erano anche i guanachi selvatici che gli Incas cacciavano con particolari armi chiamate "Bolas" . Esse erano costituite da due blocchi di pietra a forma di palla, collegati con una corda molto resistente. Le “bolas” venivano lanciate in modo che si attorcigliassero intorno alle zampe dell’animale che, naturalmente, non poteva più fuggire.
Gli Incas però allevarono anche il “Lama”, adatto per il trasporto dei carri, l’"Alpaca" e la “Vigogna”, ambedue animali dal morbidissimo e soffice mantello lanoso con cui si tessevano pregiatissimi. tessuti figurati, con i quali si confezionavano abiti tradizionali, multicolori, dalle tonalità preziose, in particolare azzurre e verdi.
Ricchissima era anche la produzione della ceramica con la quale venivano modellati vasi vivacemente colorati, decorati con elementi floreali o con animali stilizzati.
Ma le tracce più lontane della civiltà degli Incas sono evidenti nei monumenti superstiti della città di Tiahuanaco, sorta presso il lago Titicaca, o della città fortificata di Machu Picchu. Sono rovine di gruppi di case costruite con blocchi enormi, con grandiose gradinate e terrazze. Mentre del centro di Pachacamac, a sud dell’odierna Lima, sopravvive il ricordo del grandioso “Tempio del Sole”, la divinità più venerata nel culto degli Inca. Le costruzioni degli Incas erano belle, armoniche e, soprattutto, grandiose, imponenti. Non si è mai potuto capire come gli Incas, privi di macchine, di animali da traino, di ferro per modellare i blocchi, nè livella o squadra e neppure calce, siano stati in grado di erigere case e palazzi, oltretutto di un lusso inimmaginabile per quei tempi.
Gli Incas usavano utensili di pietra e l’unico metallo che conoscevano
era il bronzo.
Essi poi erano abilissimi nel fabbricare recipienti di varie forme,
decorati e tutti muniti di manici. Proprio per questo li appendevano per
mezzo di corde a delle specie di pioli di pietra che si trovavano nell'
interno delle case, infissi nelle pareti.
Inoltre, dato che la grande estensione dell’Impero era soprattutto
nel senso della lunghezza, si impose una rete stradale perfetta. Ed infatti
furono costruiti migliaia di chilometri di strade attraverso le Ande. Una
di quelle strade da Cuzco a Quito, la capitale dell’Ecuador, raggiunse
i 2000 Km. ed in alcuni punti era larga anche 8 metri. Quando una strada
costeggiava un precipizio, si scavavano gallerie per far passare uomini
e animali. Tuttora talune di queste strade sono percorribili con la automobile.
Nei tratti di montagna si costruivano scalini di pietra,ed erano fatti di fibre di agave i ponti sospesi che si potevano attraversare solo in fila indiana. Per queste strade i velocissimi “Maratoneti” che portavano gli ordini dell’Inca in ogni località dell’Impero, per vincere l’immensa fatica masticavano continuamente foglie di coca.
Presso gli Incas, l’unico sistema di scrittura era il “Quipu”. Esso era costituito da corde e cordicelle di vari colori, munite di nodi. I colori si riferivano a determinati oggetti (persone, nemici, contadini, prodotti, ecc.); i nodi invece indicavano date e numeri che si potevano calcolare in base alla loro posizione e distanza dall’inizio della cordicella. I vari funzionari dell’Impero amministravano le varie province con l'aiuto di questi semplici strumenti.
Nell'archivio degli “Uffici Provinciali” esistevano tanti “quipu” quanti erano i cittadini e su di essi era segnato tutto ciò che riguardava ogni singolo: la sua professione, i beni che possedeva e i prodotti che doveva consegnare come tassa. Si trattava, insomma, di una specie di “Cartella delle tasse”.
Tragica fu la sorte che subirono gli Incas.
Scoperto da Pasquale de Andagoya nel 1522, il Perù (così
chiamato dal fiumicello “Birù”) di allora era governato da Atahualpa.
La fama delle sue ricchezze giunse alle orecchie di due capitani dell’armata
spagnola a Panama: Francisco Pizarro (1475-1541) e Diego de Almagro (1475-1538).
Deciso ad impossessarsi di
quelle ricchezze, alla fine del 1530 Pizarro mosse da Panama con un esercito
di poche centinaia di uomini, qualche cannone e una ventina di cavalli.
Atahualpa fu fatto prigioniero e strangolato. Molte migliaia di suoi
sudditi morirono con lui.
In breve Pizarro conquistò tutto il paese, ma poi dovette sostenere una guerra civile con Diego de Almagro che, invidioso, pretendeva il governo su tutte le terre da lui conquistate. Pizarro uscì vincitore e fece prima processare e poi mettere a morte il suo rivale.
Poi fondò Lima, che dapprima chiamò “Ciudad de los Reyes”, cioè “Città dei Re”, e poi ribattezzò Lima, in onore di Santa Rosa da Lima, dichiarandola capitale. Vi si insediò ma solo tre anni dopo la morte di Almagro fu anche lui assassinato.
La morte di Pizarro (1541) fu provocata da una feroce lotta scoppiata fra i suoi capitani, per la spartizione delle terre. Ciò continuò fino al 1542 quando l’Imperatore Carlo V, preoccupato per la turbolenza della colonia, con una sua ordinanza creò il Vicereame del Perù e mandò in America l’energico Vicerè Andres Hurtado de Mendoza. Alcune decapitazioni fecero tornare la calma e l’ordine e la colonia cominciò a progredire.
Per parecchio tempo gli Incas, che avevano ottenuto il consenso degli spagnoli ad eleggere un proprio sovrano, continuarono i loro tentativi di ribellione, finché infranto il loro spirito di razza, caddero anch'essi in quell’irriducibile apatia fatalistica, che ancora oggi è la caratteristica dei pochi indiani peruviani superstiti.
Nuove città sorsero al posto di quelle vecchie distrutte e la vita economica del paese subì una profonda variazione. Si introdussero, infatti, nuove colture, come ad esempio quella del caffè, ma nello stesso tempo cominciarono a diffondersi anche i pericoli del latifondo e del parassitismo. La stessa base etnica della regione andina era radicalmente mutata perché gli spagnoli avevano importato mano d’opera negra. Così il popolo si trovò ad essere una mescolanza di spagnolo, indio e negro. Ma anche taluni vecchi modi di vivere ed alcune vecchie credenze si mescolarono alla nuova fede, alla nuova religione, alla nuova lingua, nuovi usi e costumi creando un ambiente piuttosto bizzarro.
Nel 1571 fu soffocata una ribellione di un discendente dei re Inca, col solito sistema della decapitazione, e la vita del Vicereame per due secoli non ebbe altre scosse.
Fu grandemente sviluppata l’industria mineraria, che divenne la principale
attività economica del paese; furono scoperti e sfruttati intensamente
grandi giacimenti di oro e di argento.
Le missioni di Gesuiti e Domenicani, nel frattempo, si spinsero sempre
più verso l’interno per svolgere una benefica opera di assistenza
verso gli “indios” che erano sempre stati una massa avvilita e misera.
Nel 1739 dal Perù fu staccato il Vicereame di Nuova Granada, poi Colombia, con capitale Bogotà e nel 1776 il re Carlo III staccò la “Real Audiencia de Charca”, oggi Bolivia.
Nel Vicereame del Perù, come del resto nelle altre colonie spagnole, alcuni gruppi di persone cominciarono a diffondere l’idea dell’autonomia e dell’indipendenza dalla Spagna. Il primo tentativo di ribellione si ebbe nel 1806, ma fallì ed i due principali responsabili furono giustiziati. Per evitare il ripetersi di rivolte, la Spagna rafforzò il suo dominio ma, sia i “Creoli” che i "Meticci", fortemente ostili ai “Peninsulares”, cioè agli spagnoli, incoraggiati dalle notizie della Rivoluzione francese, ma soprattutto dal colpo di grazia che Napoleone aveva dato alla Spagna (l808), tentarono con ogni mezzo di conquistare l'indipendenza. Tuttavia, la struttura sociale di questi territori, da una parte ricchi proprietari terrieri indifferenti ad ogni altra prospettiva, dall’altra la massa incalcolabile di poveri contadini, finì per impedire la formazione di una solida classe borghese lasciando il paese così come fino ad allora era stato.
Finchè, nel 1820, venne il momento del Perù: nell’estate di quell’anno il generale San Martin, eroe dell’indipendenza cilena, sbarcò sulle coste peruviane con un esercito formato da argentini e cileni e attaccò la roccaforte spagnola di Lima. Il 28 luglio 1821 il cosiddetto “Esercito delle Ande”, occupò la capitale e proclamò l’indipendenza del Perù.
Poiché, però, gli spagnoli occupavano ancora buona parte del paese e delle coste, i patrioti peruviani chiesero aiuto a Simon Bolivar, il liberatore della Colombia, il quale entrò nel paese con un piccolo esercito colombiano, riorganizzò con un duro e lungo lavoro le forze peruviane ed il 6 agosto 1824 attaccò gli spagnoli a Junin, 150 km. a nord-est della capitale e sbaragliò l'esercito spagnolo.
Il 9 dicembre 1824 il generale Antonio Josè de Sucre, luogotenente
di Bolivar, sconfisse un secondo esercito spagnolo e con questa vittoria
ebbe fine la dominazione spagnola sul Perù, che divenne Repubblica.
La nuova Repubblica peruviana non ebbe vita facile. Fino al 1845 vi
fu un periodo di lotte interne fra i vari capi ed alcuni tentativi di costituire
una grande Confederazione Peruviano-Boliviana. In quell’anno salì
al potere il generale Ramon Castilla, che diede al paese il suo primo ordinamento
statale ed un vero progresso economico.
Nel 1862 il Perù respinse un tentativo della Spagna di recuperare
le colonie perdute e da allora, salvo una disastrosa guerra contro il Cile
nel 1879, il Perù non vide accadere altri avvenimenti.
Per decenni capi e presidenti si susseguirono al potere rovesciando
i predecessori e venendo a loro volta scacciati o assassinati.
Dopo continui disordini interni, il Perù ebbe nel Presidente
Augusto Leguia (1919-1930) un capo abile ed intelligente, che diede al
paese ordine e benessere e nel dicembre 1927 il Perù definì
i confini con la Colombia, nel 1929 quelli col Cile per i territori di
Tacna e Arica.
Il governo di Leguia fu rovesciato nel 1930; seguirono anni torbidi
caratterizzati dalla contrastata dittatura di Oscar Bonavides (1933) e
da conflitti con l’Ecuador, sempre per questioni di frontiera che portarono
il 12 marzo 1936 alla firma di una convenzione tra i due governi, per la
nomina di una commissione incaricata di elaborare i precisi confini nella
regione di Zarumilla.
Con la Bolivia si stipulò il 9 novembre 1936 un patto di amicizia
e non aggressione. Sempre in quell’anno fu prorogato di 3 anni il potere
presidenziale al generale Bonavides che continuò, anche dopo un
complotto rivoluzionario, scoperto e represso, a sostenere il progresso
economico-sociale del paese.
E mentre con tutti gli stati limitrofi si erano consolidati patti e
trattati, con l’Ecuador rimase sempre in piedi il conflitto di frontiera,
finché nel 1938 si interruppero completamente le relazioni. Alla
fine di quell’anno a Lima si riunì l’Ottava Conferenza Panamericana.
Con lo scoppio della guerra in Europa il Perù si dichiarò
neutrale. All’interno del paese Bonavides si trovò costretto a governare
con metodi piuttosto rigidi ma perseguì la sua opera tesa al riordinamento
finanziario, ed al compimento di un vasto progetto di opere pubbliche e
di legislazione sociale. Favorì la produzione del grano anche se
l’alimento principale era il riso; istituì il Ministero della Pubblica
Istruzione; riaprì le Università autonome che erano state
chiuse per le agitazioni studentesche; preparò il censimento e nel
1939 indisse alcuni referendum per avviare riforme costituzionali ed indisse
nuove elezioni.
L’8 dicembre 1939 entrava in carica il conservatore Manuel Prado Ugarteche,
che mantenne l’ordine interno con metodi più morbidi, continuò
le opere pubbliche e dette notevole impulso alla colonizzazione. Nel gennaio
1942 portò a compimento il decennale conflitto di frontiera con
l’Ecuador e ruppe le relazioni diplomatiche con l’Asse, inserendosi nel
sistema difensivo occidentale diretto dagli Stati Uniti. Sospese i voli
intercontinentali della “Lufthansa”; nel porto di Callao, i piroscafi tedeschi,
piuttosto che arrendersi, si autoaffondarono; molti giapponesi e tedeschi,
sospettati di spionaggio, furono deportati mentre gli italiani non subirono
alcun disturbo.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, aiutarono in tutti i modi il paese;
concessero prestiti per l’acquisto di materie prime, fornirono armi, tecnici
e strumenti. E così nonostante i rallentamenti del commercio e della
produzione alimentare, il Perù conobbe un periodo di prosperità,
per cui si poté in parte riparare agli ingenti danni causati nel
1940 dal terremoto che distrusse interi quartieri di Lima e di Callao.
In campo internazionale piena fu l’attività del presidente: il 12 febbraio del 1945 dichiarò guerra alla Germania ed al Giappone; due giorni dopo firmò la dichiarazione delle Nazioni Unite; il 17 luglio fu stabilito definitivamente il confine con l’Ecuador.
Nel maggio 1946 accordi furono presi con la Bolivia per la istruzione
degli indigeni; istituì nuove linee aeree con gli Stati Uniti; il
1° agosto 1948 fece uscire il Perù dall’obbligo di pagamenti
economici in sterline col Regno Unito abbandonando l’”America Account Area”,
ed infine furono ristabilite le relazioni diplomatiche con la Spagna.
Le elezioni del 1948 portarono alla presidenza il generale Manuel Odria
che instaurò una dittatura durata otto anni.
A seguito di gravi episodi rivoluzionari verificatisi a Callao nell’ottobre, venne disciolta l’Apra “Alianza Popular Rivolucionaria Americana” che li aveva provocati. Cosicché il capo del partito aprista, Raul Haya de la Torre, il 3 gennaio 1949, fu costretto a rifugiarsi presso l’Ambasciata di Colombia a Lima. E lì rimase, fino al 1954, quando le controversie sorte fra i due stati a proposito del diritto di asilo, furono risolte.
Nel febbraio 1956, alla vigilia delle nuove elezioni, cui parteciparono
pure le donne, scoppiò una rivoluzione militare subito sedata.
Le elezioni riportarono alla presidenza Manuel Prado Ugarteche, che
aveva beneficiato del voto degli apristi, i quali nel frattempo erano stati
reintegrati nella legalità.
Egli mirò a facilitare lo sviluppo generale del paese ma la
situazione indigente del popolo sortì agitazioni e scioperi i cui
fautori furono senz’altro i comunisti i quali, naturalmente furono arrestati.
Il 20 luglio 1959 fu eletto Primo Ministro Pedro G. Beltran. Iniziò
subito, con un sistema di austerità, il risanamento delle finanze
dello stato; incentivò l’industria petrolifera e quella della pesca,
tanto da portare il Perù dal 25° al 5° posto nel mondo.
Nel novembre dello stesso anno promulgò una legge speciale per lo
sviluppo industriale e nel 1960 fondò l’Istituto per la Riforma
Agraria che si occupò di aumentare la produzione agricola, soprattutto
nel sud del paese.
Questa sua politica economica rese Beltran alquanto impopolare fra i cittadini che, come al solito, subirono i più duri sacrifici; ma i risultati ottenuti gli portarono tantissima stima e prestigio da parte sia degli altri stati, particolarmente degli Stati Uniti, e tanta fiducia dal presidente Prado, per la risoluzione dei gravi problemi del paese.
Il Perù mantenne sempre ottimi rapporti con tutti i paesi del
continente; nel febbraio 1960 firmò il Trattato di Montevideo per
la creazione di una zona di libero scambio latino-americana.
Per poter rafforzare i legami del Perù con l’Europa, il presidente
Prado, nei primi mesi dei 1960, intraprese un viaggio: visitò la
Francia, l’Italia, la Gran Bretagna, la Svizzera, la Germania ed i Paesi
Bassi. Il 13 luglio il Perù chiese che si riunissero tutti i Ministri
degli Esteri dei paesi americani perché preoccupato dalla rafforzata
amicizia fra URSS e Castro, e ruppe le relazioni con Cuba.
Il 7 aprile 1961 il Perù ricevette la visita di Giovanni Gronchi,
presidente della Repubblica Italiana.
Dal 1959 al 1962 chi effettivamente governò il Perù fu senz'altro il premier Beltran, anche Ministro delle Finanze. Le elezioni del 1962 diedero la vittoria a Haya de la Torre, ex capo dell’Apra, ma ciò non ebbe l’approvazione dei militari che si impossessarono del potere ed arrestarono Odria, il cui mandato non era ancora scaduto. Una giunta militare, capeggiata dal generale R. Perez Godoy, assunse il potere, sciolse il Congresso, abolì tutte le garanzie costituzionali e adoperò il sistema forte con gli oppositori. La giunta stessa, non soddisfatta di questi sistemi lo rovesciò e lo sostituì con un altro generale N. Lindley Lopez, poi, mantenendo la promessa fatta al popolo, indisse nel giugno 1963 nuove elezioni che videro al potere F. Belaunde Terry capo della “Accion Popular” sostenuto sia dai democristiani che dalla sinistra.
Le principali iniziative di questo governo furono: la lotta all’analfabetismo, la costruzione di case per i poveri, lo sviluppo economico e sociale dell’interno del paese, cui parteciparono attivamente gli studenti, ed infine la legge sulla riforma agraria che, in preparazione già da tempo, non era stata mai varata. La Chiesa, a questo proposito, volle dare il suo contributo e monsignor C. Jurgens, Vescovo di Cuzco, offrì tredicimila ettari di terre da distribuire ai poveri.
Nonostante tutti i suoi sforzi, però, Belaunde fu osteggiato da tutti: da una parte i proprietari terrieri non vedevano di buon occhio per niente le programmate espropriazioni; dall’altra i nazionalisti che chiedevano la nazionalizzazione dell’International Petroleum Company, associata alla Standard Oil. Naturalmente con questo si mettevano in crisi i rapporti con gli Stati Uniti. In seguito questi rapporti furono proprio tesi poichè il governo peruviano acquistò aerei-jet militari francesi anziché nordamericani.
Con questa precaria situazione il 3 ottobre 1968 si verificò un colpo di stato che estromise Belaunde un anno prima della scadenza del suo mandato.
Prese il potere una giunta capeggiata dal generale J. Velasco Alvarado che sciolse il Parlamento, nazionalizzò la Standard Oil e decretò una nuova riforma agraria.
Nel febbraio 1969 si ristabilirono i rapporti con l’URSS mentre si deteriorarono
ancora di più quelli con gli Stati Uniti perché, dopo aver
dichiarato il limite di 200 miglia delle acque territoriali, erano stati
sequestrati alcuni pescherecci nordamericani, ritenuti contravventori delle
nuove regole.
Quando gli Stati Uniti sospesero le forniture belliche al Perù,
il Perù allontanò le Missioni Militari Statunitensi ed infine
negò il visto d’entrata a Nelson Rockfeller (23 maggio 1969), inviato
diplomatico di Nixon.
Il generale Alvarado volle comunque rassicurare tutti gli stati che
la sua non era politica marxista, ma soltanto tesa a migliorare la situazione
socio-economica del suo paese.
Nel maggio 1970 il Perù fa investito da uno spaventoso terremoto che, però, non bloccò l’alacre riformismo dei militari e nel luglio stesso anno fu proclamata la “Legge Generale sulle Industrie” che prevedeva la partecipazione operaia alla gestione delle imprese. Non si tollerava l’opposizione, tanto che l’ex-presidente Belaunde, per aver criticato il regime, fu espulso dal paese nel 1971 e sempre in quest’anno si creò il "Sinamos", "Sistema Nazionale per la Mobilitazione Sociale".
Nell’ottobre 1973 si mise a punto un programma per la ridistribuzione della ricchezza e nei primi giorni del 1974 fu nazionalizzata la statunitense “Cerro de Pasco Corporation”, che era la più importante impresa mineraria e siderurgica del Perù. Ciò, però, non peggiorò i rapporti con gli Stati Uniti.
Ma la situazione economica andò peggiorando per una crisi mondiale; ne nacquero delle agitazioni. Il 10 luglio 1974 il governo mise fuori legge il “Partido de Accion Popular”, espropriò alcuni quotidiani di Lima e li assegnò ai lavoratori.
Nel febbraio 1975 ci furono violenti disordini; la guardia nazionale scioperò ed in tutto il paese si proclamò lo stato d’emergenza. L’Apra fu accusata di avere provocato i disordini.
Tornata la calma, dal 25 al 30 agosto 1975 si riunirono tutti i Ministri degli Esteri dei Paesi “non allineati” di Algesiras, in una conferenza presieduta dal generale Alvarado. Ma proprio il 29 agosto un colpo di stato lo depose e lo sostituì col generale F. Morales Bermudez, ex Ministro della Difesa, il quale portò a termine la conferenza ribadendo gli ideali della rivoluzione del 1968; tuttavia rimaneggiò il governo militare con l’inclusione, per la prima volta dal 1968 di un civile.
Nei successivi due anni 1976/1977 molti furono i sovvertimenti politici; fu di nuovo necessario proclamare lo stato d’emergenza e nelle elezioni del 1978 l’Apra soppiantò il Partito Popolare Cristiano, raggiungendo la maggioranza dei voti.
Nel 1979 l’Assemblea redasse una nuova Costituzione per cui il presidente
eletto con la maggioranza richiesta durava in carica 5 anni e non poteva
essere subito rieletto. Nel caso in cui non si fosse ottenuta la maggioranza,
si doveva fare il ballottaggio fra i due candidati col maggior numero di
voti. Il potere legislativo spettava al Congresso formato dalle due camere:
il Senato con 60 membri e la Camera con 180; anch’essi in carica per cinque
anni.
Il 18 maggio 1980 si svolsero le elezioni in cui si impose F.
Belaunde Terry. Da quell’anno la stabilità dello stato fu costantemente
minacciata da “Sendero Luminoso”, formazione rivoluzionaria di stampo maoista,
guidata da un ex professore di filosofia: M. Abimael Guzman. Ben presto
a Sendero Luminoso si aggregò una sorta di guerriglia terroristica
urbana, altrettanto sanguinaria.
Nel gennaio 1981 il solito conflitto di frontiera con l’Ecuador degenerò in una vera e propria guerra che continuò, a fasi alterne, pure nel 1982 e 1983.
L’aggravarsi di questa situazione provocò la caduta dell’economia;
questa caduta e la continua violazione dei diritti umani da parte del governo
nella sua lotta al terrorismo, fecero sì che la guerriglia si estendesse,
oltre che alle campagne, alla stessa capitale dove, dal settembre 1984
in poi, si verificarono attentati dinamitardi promossi dal “Movimiento
Revolucionario Tupac Amaru (MRTA).
Nelle elezioni generali del 1985 si affermò il segretario generale
dell’Apra, A. Garcia Perez, e l’Apra divenne il partito dominante in tutti
e due i rami del Congresso.
Le elezioni municipali del 1989 furono sabotate da Sendero Luminoso
che impedì ai candidati di presentarsi, pena la morte.
Le elezioni generali del 1990 misero in evidenza, soprattutto, il calo
della sinistra. E nelle presidenziali emerse A. Fujimori, oscuro agronomo
di origine giapponese, che ottenne il consenso in particolare della popolazione
indiana e meticcia, con l’appoggio dell’Apra.
Egli varò immediatamente misure drastiche, aumentando la benzina,
rincarando i prezzi dei generi alimentari e dei trasporti pubblici; poi
iniziò la privatizzazione delle aziende statali.
Nel giugno 1991 chiese al Congresso, e li ottenne, maggiori poteri per
fornirli poi all’esercito nella lotta ai sovversivi; privatizzò
le scuole, eliminò il monopolio statale sulle telecomunicazioni,
i servizi postali e trasporti ferroviari ed infine smantellò il
sistema di sicurezza sociale.
Il 5 aprile 1992, con l’appoggio dei militari, Fujimori sciolse
il Congresso, sospese la Costituzione per poter sconfiggere la corruzione,
il terrorismo ed il narcotraffico; preannunciò la ristrutturazione
del sistema giudiziario e la redazione di una nuova Costituzione, ad opera
di un Congresso Costituente Democratico. Questo “golpe” presidenziale fu
accolto male negli ambienti internazionali; ma la posizione di Fujimori
si rafforzò quando a giugno dello stesso anno egli catturò
i capi del MRTA e a settembre quelli di Sendero Luminoso e nelle elezioni
del 22 novembre ebbe il 38% dei voti.
Il 31 ottobre 1993 il popolo peruviano approvò a larga
maggioranza la nuova Costituzione che rafforzava i poteri del presidente,
il quale poteva personalmente eleggere gli ambasciatori ed elangire promozioni
ai militari; ed inoltre poteva ottenere anche una consecutiva rielezione.
Il Congresso Nazionale fu sostituito da una Assemblea Legislativa
monocamera e, per i reati connessi al terrorismo, fu istituita la pena
di morte.
Nel marzo 1994 alcuni attentati dinamitardi a Lima causarono l’annullamento
delle trattative in corso, tra il Presidente ed i capi delle organizzazioni
terroristiche, in vista della concessione di una amnistia in cambio della
definitiva cessazione della guerriglia.
Forte dei successi ottenuti dalla sua amministrazione, Fujimori
vinse le elezioni generali dell’aprile del 1995, così rimase Presidente
con una grande maggioranza di voti sul rivale candidato Javier Perez de
Cuellar, ex segretario delle Nazioni Unite.
E poiché aveva conquistato anche la maggioranza nell’Assemblea Nazionale, il suo potere risultò molto aumentato ed egli, promulgando via via nuove leggi e decreti, ampliò i suoi poteri a scapito di quelli del Parlamento, mentre la Magistratura passava agli ordini dell’esecutivo.
Nell’agosto 1996 Fujimori riuscì a far approvare ancora una legge che metteva in grado il Presidente di riproporsi anche per la terza volta consecutiva. E quando nel corso dell’anno 1997 alcuni membri della Corte Costituzionale cercarono di contrastarlo dichiarando illegale questo decreto, Fujimori li fece arrestare ed apportò sostanziali variazioni alla stessa Corte.
Avendo così ridotto di molto il potere dell’opposizione, egli ottenne anche che per concedere i referendum popolari richiesti fosse necessaria l’approvazione dell’Assemblea Nazionale. In base a ciò, nell’agosto del 1998 venne respinta la richiesta di un referendum per l’annullamento di quella legge.
Per l’economia, Fujimori continuò il suo programma, avvalendosi dell’aiuto del Fondo Monetario Internazionale. Ma l’aumento della disoccupazione, della povertà e del terrorismo di Tupac Amaru, che nel dicembre 1996 avevano invaso l’ambasciata giapponese prendendo 600 ostaggi, minarono alla base il potere del Presidente.
I terroristi, in realtà, avevano portato a termine questa operazione con l’intento di far emergere con chiarezza, per il mondo intero, la situazione di massima indigenza in cui versava il popolo peruviano, tanto che si prodigarono nella mediazione anche la Chiesa e la Croce Rossa, oltre che numerosi altri paesi.
Intanto, però, i guerriglieri, pur avendo liberato la maggior
parte degli ostaggi, erano rimasti all’interno dell’ambasciata. E lì
Fujimori indirizzò un fortissimo attacco della forza nazionale
che in poco tempo uccise tutti i guerriglieri, compreso un ostaggio.
Nel maggio 1998 Fujimori riuscì ad estendere il potere dei tribunali
militari a scapito di quelli civili con notevole riduzione del rispetto
dei diritti umani.
Tutto ciò però non era supportato dal perfetto funzionamento di tutte le cariche istituzionali, per cui furono operati molti rimpasti di governo, con conseguente indebolimento del medesimo.
Nell’ottobre del 1998 si poté finalmente raggiungere una pacifica soluzione dei problemi di confine con l’Ecuador, di cinquantennale memoria, anche attraverso la mediazione di Brasile, Argentina, Cile e Stati Uniti.
Ma la dittatoriale politica economica di Fujimori provocò, nell’aprile del 1999, un colossale sciopero generale, la cui adesione da parte di tutti i ceti sociali ebbe come risultato di far ritrovare alle opposizioni rinnovate basi politiche per affrontare, con possibili soddisfazioni, le future elezioni generali, previste per l’aprile dell’anno 2000.