Storia
Un tempo chiamata Dacia. Nel 101 dopo Cristo un grande esercito, comandato dal valoroso generale Traiano, si mise in marcia per compiere l’”Operazione Dacia”, cioè la conquista. E questa conquista fu più un’operazione politica che militare, poiché la Dacia, essendo una regione di frontiera, serviva a Roma per stabilirvi un punto di forza che impedisse le invasioni dei barbari.
Per l’operazione furono previsti due tempi, come del resto avveniva in tutte le guerre portate a termine da Roma. Il primo era quello della conquista della regione con conseguente sottomissione dei barbari; il secondo quello dell’invio di numerosi coloni romani nella zona.E dopo 5 anni di guerra la Dacia fu un’altra provincia romana.
Subito i rapporti fra i daci ed i romani furono buoni e la regione fu chiamata “Dacia felix”. Dopo 150 anni di tranquillità, però, arrivarono i barbari, in quantità enormi; essi affluivano senza sosta e nel 274 l’esercito romano abbandonò la Dacia e si attestò fuori della sua frontiera. E per centinaia di anni Goti, Gepidi, Unni e Avari spadroneggiarono in quella che era stata una terra felice, distruggendo e depredando.
Ma l’impronta che Roma aveva dato non poteva essere del tutto cancellata ed anche nella lingua rimasero espressioni latine che ancora oggi fanno parte dell’idioma della Romania.
Nel VI secolo dopo Cristo numerose tribù di Slavi occuparono due zone della Dacia: la Transilvania e la Valacchia. Gli slavi si fusero con la popolazione dacio-romana, dando origine all’attuale popolazione.
Passarono dei secoli ma la Dacia, data la sua posizione di ponte fra occidente ed oriente, non potè costituirsi stato indipendente e continuamente orde di barbari passarono attraverso questa terra distruggendo e saccheggiando. Poi, però, piano piano i daci cominciarono ad allearsi fra loro e ad opporre resistenza agli invasori, comandati da un “Voivoda”, ossia un principe. E, finalmente, nel 1200 si costituirono due importanti principati: la Valacchia e la Moldavia, che restituirono ai daci i loro territori e la pace. Ma non durò a lungo poiché arrivarono i turchi.
I “voivoda” combatterono valorosamente contro gli eserciti dei sultani ma tutto fu inutile; una grande figura di condottiero emerse nella battaglia di Racova del 10 gennaio 1475, quella del principe Stefano il Grande, che con soli 40.000 uomini sgominò il poderoso esercito turco composto da 100.000 soldati.
I turchi occuparono la regione fino alla fine del 1600. Durante questi oscuri anni i daci cominciarono a chiamare la loro terra “Romania”, non più Dacia, ossia “Terra dei Romani” e questo anche per confermare la loro fedeltà all’occidente contro l’oppressore turco.
All’inizio del 1700 l’impero ottomano cominciò a scricchiolare sotto i colpi inferti da un’altra emergente potenza: l’Austria, alla quale i turchi, con il trattato di Passarovitz del 1718, dovettero cedere alcune regioni romene.
Poi arrivarono i russi e così i romeni si trovarono divisi in tre padroni. Dal 1821 al 1848 numerose rivolte di popolo si verificarono ma tutto senza alcun risultato. Finchè nel 1856 al Congresso di Parigi, Napoleone III, imperatore dei francesi, ed il grande statista italiano Camillo Benso conte di Cavour, avanzarono la proposta di ricostruire uno stato romeno indipendente. Ed infatti nel 1858 le grandi potenze rifondarono i due principati di Valacchia e Moldavia.
I romeni nel 1859 elessero unico principe di Valacchia e Moldavia Alessandro Cuza e dopo due anni i principati si riunirono nel “Regno di Romania”, e Alessandro Cuza ne fu il re.
Nella prima guerra mondiale la Romania affiancò gli Alleati e, con il raggiungimento della vittoria, al regno si unirono anche la Transilvania, tolta all’Ungheria, e la Bucovina, tolta alla Russia.
Nel 1940 la Germania, guidata dal dittatore A. Hitler, fece le sue conquiste
nel cuore dell’Europa coinvolgendo anche la Romania. Quando questa, durante
la seconda guerra mondiale, si dichiarò neutrale, fu costretta a
restituire:
- la Bessarabia e parte della Bucovina alkla Russia;
- la Dobrugia meridionale alla Bulgaria;
- parte della Transilvania all’Ungheria.
Questi avvenimenti provocarono gravi disordini all’interno del paese. Se ne approfittò il generale Antonescu, capo del movimento filo-nazista delle “Guardie di Ferro”, per impadronirsi del potere. Egli ruppe la neutralità ed affiancò Hitler nella guerra. Ma con la sconfitta fu costretto a chiedere la pace alla Russia il 23 agosto 1944. Dopo un periodo di occupazione militare sovietica, la Romania si trasformò in una Repubblica Popolare, retta da un governo di ideologia comunista.
Capo del governo comunista fu Petre Groza, sostenuto da Mosca. E questo non era stato pattuito nel trattato di Yalta del 12 febbraio 1945, avvenuto fra i capi delle tre grandi potenze alleate. In quella occasione gli accordi prevedevano per la Bulgaria e la Romania la formazione di governi democratici.
La questione fu dibattuta in una conferenza anglo-russo-americana a Mosca nel dicembre 1945, finchè si giunse ad un compromesso nel successivo gennaio 1946, che decretava nel governo di Groza anche la presenza di una rappresentanza di nazional-contadini e di liberali.
Ma a risolvere definitivamente il problema furono le elezioni del 19 novembre 1946 poiché la popolazione votò compatta per il blocco governativo comunista.
Il 10 febbraio 1947 a Parigi il trattato di pace fu firmato anche dalla Romania alla quale tornava definitivamente la Transilvania settentrionale.
Contemporaneamente cessò la sua attività la Commissione
di Controllo Interalleata ed allora la Romania divenne un vero e proprio
stato satellite sovietico. Si firmarono, con i sovietici, accordi che piano
piano assorbirono tutta l’economia romena.
Inoltre, le condizioni di pace prevedevano la presenza di truppe sovietiche
in territorio romeno, fino alla conclusione del trattato con l’Austria
per le vie di comunicazione, il che non si era ancora verificato.
Piano piano la Romania si trovò naturalmente inclusa nel blocco europeo orientale, che poi divenne più saldo con gli accordi ventennali di mutua assistenza, firmati nel 1948 con la Bulgaria, l’Ungheria e l’Unione Sovietica.
Il regime interno divenne completamente sovietizzato, tanto che nel marzo 1948 le elezioni furono a lista unica governativa con l’adozione di una Costituzione del tipo popolare già vigente negli altri paesi del blocco, compresa la Jugoslavia. Seguirono stretti accordi economici e tutta l’economia del paese piano piano fu nazionalizzata. Dittatore di questo stato fu Anna Pauker.
Quando nell’anno stesso (1948) scoppiò la crisi fra la Jugoslavia e l’Unione Sovietica, la Romania fu quella che subì le maggiori conseguenze. Infatti, maggiori controlli di regime portarono alle epurazioni e, poi, a seguito di incidenti di frontiera del 1951, si giunse alla rottura dei rapporti diplomatici con Tito.
Nel 1952, con sopraggiunte difficoltà di ordine economico, furono avviate altre epurazioni. Vittima illustre fu Anna Pauker, insieme ai suoi collaboratori, mentre il potere giungeva nelle mani di G. Gheorghiu-Dej, la cui posizione centrista nel governo si rafforzò, specialmente dopo la morte di Stalin. Nel 1955 la Romania firmò il Patto di Varsavia ed entrò a far parte delle Nazioni Unite.
Nel 1957 si appianarono le difficoltà con la Jugoslavia e lo stesso capo sovietico Kruscev si incontrò con Tito, col quale la Romania stabilì gli accordi per la navigazione sul Danubio, che in precedenza erano rimasti insoluti.
Quando in Ungheria scoppiò la rivoluzione, se ne sentirono i contraccolpi anche in Transilvania, residenza di minoranze magiare. A seguito di questa vicenda Kruscev ordinò l’evacuazione di quello stato nel 1958 e poi dichiarò ufficialmente che entro il 1960 le truppe sovietiche avrebbero lasciato anche la Romania.
Appena iniziato questo periodo di distensione, la Romania cercò contatti amichevoli anche con altri paesi fra cui Grecia e Turchia, con i quali propose un patto di non aggressione e di denuclearizzazione delle loro regioni.
E così, negli anni seguenti,via via andò sviluppandosi sempre più il desiderio di indipendenza del popolo e dei suoi dirigenti. Si parlò di “patriottismo socialista” e si allacciarono rapporti sempre più stretti con l’occidente, per esempio con l’Italia e gli Stati Uniti, con i paesi comunisti “eretici”, tipo la Cina e la Jugoslavia ed infine con quelli del cosidetto Terzo Mondo, come l’India e l’Indonesia.
La politica indipendentista della Romania continuò pure dopo la morte di Gheorghiu-Dej e con l’avvento di Ceausescu che cercò sempre di rinsaldare l’autonomia del paese.
E nel 1964 fu dichiarata l’indipendenza. La nuova Repubblica Socialista di Romania ebbe una nuova Costituzione. Il partito comunista venne ristrutturato e potenziato. Nacquero: un Comitato Nazionale per le ricerche scientifiche, l’Unione Generale dei Sindacati, l’Accademia delle Scienze Socio-politiche “Stefan Gheorghiu”, l’Automobil Club romeno ed infine furono regolamentate le leggi sull’aborto, sul divorzio e sulle pensioni.
Gli anni 1966/67 furono i più interessati ai miglioramenti dei rapporti diplomatici con la Cina, la Germania Federale e la Russia. Nel 1968 furono completate le disposizioni governative per l’insegnamento, l’istituzione della Banca Romena per il Commercio con l’Estero e l’adozione di un nuovo Codice Penale. In più la Romania sviluppò accordi amichevoli con la Francia e la Cecoslovacchia di Dubcek.
Ed a seguito dell’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche, Ceausescu dichiarò ufficialmente, nella Grande Assenblea Nazionale del 22 agosto 1968, non solo la sovranità della Romania, ma la decisione di applicare la guerra di popolo per l’autodifesa contro qualsiasi nemico. E per questo furono create delle istituzioni come la Guardia Patriottica ed un Consiglio della Difesa.
In quell’anno si proseguì con la riabilitazione di molte vittime dello stalinismo; furono fatte varie concessioni alle minoranze magiara e tedesca; fu concessa una certa libertà agli intellettuali; fu creato un Fronte di Unità Socialista ed alcuni Consigli Operai per le minoranze etniche.
Ceausescu continuò questa politica di rivisitazione del comunismo, in accordo con altri partiti comunisti occidentali, come gli italiani, francesi e spagnoli, nella convinzione che in ogni paese l’ideologia politica dovesse essere conforme al carattere, alle diverse condizioni storico-nazionali-sociali di ogni popolazione.
La Romania cercò rapporti sempre più stretti con i paesi balcanici non comunisti, come la Grecia. Nel 1973 fu costruita una centrale idroelettrica proprio in vicinanza dei confini con la Jugoslavia.
Nel 1977 si verificarono due grandi avvenimenti: il primo fu un immane
disastro di vittime e danni, causato nel marzo da un gran terremoto. Il
secondo fu uno sciopero gigantesco avviato dai minatori di Petrosani, nella
valle del Jiu, i quali poi ottennero non solo gli aumenti salariali richiesti
ma anche l’allontanamento di taluni dirigenti intransigenti, ritenuti responsabili
della situazione.
E proprio durante il periodo della ricostruzione dopoterremoto, il
governo romeno potè constatare quanto scarsa fosse la produttività
del paese e quanto esteso invece fosse l’assenteismo. E tutto ciò
in netto contrasto con quello che era l’ambizioso programma di sviluppo
che il governo aveva in mente di perseguire.
Le difficoltà crebbero soprattutto a causa del notevole consumo di energia che aveva portato la Romania ad essere uno dei principali paesi importatori di petrolio dall’Iran. E quando lì si verificò la rivoluzione islamica del 1979, con conseguente crisi internazionale del petrolio, il paese vide crescere notevolmente i disagi e lo spropositato aumento del debito estero. E queste difficoltà economiche agirono negativamente sulla conduzione politica del paese dove Ceausescu, dopo aver operato diversi sfortunati rimpasti, assegnò le principali cariche governative ai membri della sua famiglia.
Cosicchè il figlio Nicu nel novembre 1979 entrò nel Comitato Centrale del Partito e nel 1980 sua moglie Elena, che già copriva alte cariche, divenne vice-presidente del Consiglio dei Ministri.
Le crisi, energetica ed agricola, aggravarono sempre più la situazione ed il popolo, quando nell’ottobre 1981 fu adottato il razionamento dei prodotti del grano, iniziò una serie di scioperi nell’area della valle del Jiu, che era stata in precedenza teatro di manifestazioni da parte dei minatori.
Gli anni dal 1983 al 1985 furono difficilissimi, a causa del protrarsi delle difficoltà, aggravate anche da una tragica siccità che ridusse notevolmente anche la produzione di energia elettrica.
Ceausescu continuò con la sua politica internazionale, ma nel corso degli anni ottanta la Romania aveva rivisitato tutti i suoi rapporti con l’Unione Sovietica per cui non si trovò d’accordo con la politica riformista di Gorbacev.
Nel novembre del 1989 Ceausescu, durante il 14° Congresso del Partito, fu riconfermato come guida della nazione: ma a Bucarest, dove egli stava svolgendo un comizio, fu aspramente contestato dalla folla che, poi, diede il via ad una vera e propria sommossa popolare, duramente repressa. La rivolta fu generale. Ceausescu e familiari tentarono di fuggire in elicottero ma vennero catturati, processati e giudicati colpevoli di genocidio, corruzione e distruzione dell’economia nazionale e, come tali, condannati a morte e giustiziati il 25 dicembre 1989.
Subito venne nominato “ad interim” presidente della repubblica I. Iliescu.
P. Roman, invece, un professore del Politecnico di Bucarest, ebbe il compito
di formare il governo. I primi decreti emanati da questo governo, all’inizio
di gennaio 1990, furono:
- cancellazione del ruolo guida del partito comunista e del programma
di “sistemazione rurale”;
- depenalizzazione dell’aborto;
- abolizione della pena di morte.
Lo stato si chiamò Repubblica di Romania. La Costituzione subì degli emendamenti, in base ai quali si istituiva il sistema del libero mercato e quello dei diritti e delle libertà delle minoranze. E le esportazioni di generi alimentari, tanto sostenute dal passato regime, furono immediatamente interrotte.
Vennero a formarsi vari partiti, di cui il principale fu il Partito Nazionale Democratico Cristiano-Contadino, e con questa situazione multipartitica si svolsero le elezioni politiche del 20 maggio 1990 dove Iliescu venne riconfermato, in un Parlamento bicamerale.
Il 20 giugno Roman formò un nuovo governo la cui maggiore iniziativa fu la privatizzazione. Poi concordò aumenti salariali e delle pensioni. Ma la situazione nel 1991 peggiorò, perché ultimate le scorte di energia; le industrie dovettero fermarsi.
Gravi disordini, anche di carattere sociale, come la xenofobia, intervennero ed obbligarono Roman a lasciare il governo. Il ministro delle finanze Th. Stolojan fu designato a formare il nuovo governo, che fu di coalizione.
L’8 dicembre 1991, dopo un referendum, fu approvata una nuova Costituzione. Nel 1992 la situazione economica risultò peggiorata e nel settembre ci furono nuove elezioni, vinte dal Fronte Democratico per la Sicurezza Nazionale. Il maggior partito di opposizione fu la Convenzione Democratica, alleata di centro-destra ed Iliescu fu confermato. Il nuovo governo di minoranza fu formato da N. Vacaroiu, economista indipendente, ex ministro delle finanze del governo Stolojan. Il 28 febbraio 1994 un vastissimo sciopero nazionale fu decretato per protestare contro la crescita della disoccupazione e l’aumento dei prezzi.
In campo internazionale, con le varie tensioni con la Russia, furono
invece rafforzati i rapporti con tutti i paesi balcanici, ma anche con
quelli dell’Europa occidentale, dopo u accordo di associazione con la Comunità
Economica Europea del febbraio 1993.
In questi ultimi anni un forte rigurgito nazionalistico stava caratterizzando
la società romena ed infatti nel 1994 molti esponenti del Partito
dell’Unità Nazionale Romena, ultranazionalista, erano entrati a
far parte del governo di coalizione, insieme al Partito della Grande Romania,
al Partito Democratico Agrario ed al Partito Socialista dei Lavoratori.
L’alleanza fra questi partiti aveva portato non poche difficoltà
di carattere sociale, anche in relazione ai rapporti con altri stati.
Infatti, ad esempio, non si consentiva alle minoranze etniche di accedere
alla istruzione nella propria lingua madre, come fu per gli ungheresi
della Transilvania. Ed inoltre molti problemi erano sorti anche con gli
Stati Uniti, i quali erano dovuti intervenire più volte in difesa
degli ebrei residenti, in quanto soggetti ad angherie varie, specialmente
da parte dei nazionalisti.
Senza contare le difficoltà economiche in cui si dibatteva il governo che, per fare opera di risanamento, aveva decretato di collegare, nel settore del pubblico impiego, gli aumenti di stipendio alla maggiore produttività dei lavoratori. In più, la Corte Suprema aveva elaborato una proposta di legge che impedisse gli scioperi in quei settori considerati strategici per l’economia della nazione, come ad esempio quello energetico.
Cosicché nell’anno 1995 si ebbero manifestazioni e scioperi,
molto sostenuti, con l’adesione anche dei minatori e dei ferrovieri.
Fra l’autunno del 1995 e la primavera del 1996 tutti i partiti della
coalizione si ritirarono dal governo e questo cadde. Furono necessarie
nel giugno 1996 nuove elezioni legislative che, mentre registrarono sensibili
diminuzioni di consensi ai governativi, assegnarono il controllo di molte
grandi città, Bucarest compresa, alla Convenzione Democratica Romena
ed alla Unione Socialdemocratica, nata appena nel gennaio del 1996.
Quelle politiche, svoltesi nel novembre dello stesso anno furono appannaggio dell’opposizione di centro-destra ed un gran numero di seggi, sia alla Camera che al Senato, andò alla Convenzione Democratica Romena, il cui leader, E. Constantinescu, vinse le presidenziali col 54,4% dei voti.
Il governo fu formato e presieduto da V. Ciorbea, ex sindacalista ed esponente della Convenzione, e fu di coalizione.
Ciorbea stava ereditando una situazione quanto mai fallimentare.
Egli, sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale, nel febbraio del 1997
propose un programma in cui si chiedeva:
- l’applicazione di enormi sacrifici;
- l’annullamento delle sovvenzioni;
- la privatizzazione e lo sfoltimento dell’amministrazione statale.
Si ebbero subito: un aumento dell’inflazione, un fortissimo rincaro dei prezzi, persino dei generi alimentari, e molto molto malcontento.
Nel 1998, dopo le dimissioni di Ciorbea, divenne Premier R. Vasile che immediatamente volle realizzare un regime di libero mercato e chiese l’ingresso all’Unione Europea. E, ritenendo improduttive le miniere, ne decretò la chiusura affidando alla disoccupazione oltre 6000 minatori che, all’inizio del 1999, organizzarono subito uno sciopero. Dopo di che Vasile fu costretto a ritornare sui propri passi ed a procrastinare la chiusura delle miniere di altri 5 anni.
In politica estera la Romania rafforzò i rapporti con tutti i paesi occidentali e nel marzo 1999, come membro della NATO, dovette approvare i bombardamenti contro la Jugoslavia di Milosevic.
Poiché, però, a dicembre 1999 non aveva raggiunto il risanamento
economico annunciato, fu costretto a dimettersi e Premier divenne M. Isarescu.