RUSSIA

Storia

Fra I più antichi popoli che abitarono la Russia europea ci furono senza alcun dubbio gli Sciti, antiche tribù dell’Asia del nord, che ad un certo punto della loro storia migrarono verso ovest. Notizia certa è che essi furono i più accaniti ed appassionati cacciatori del loro tempo.

Poi, nei primi secoli dopo Cristo altri popoli dell’Asia centrale occuparono la Russia, e furono gli Unni, i Bulgari, gli Avari, i Magiari, i Cazari, i Lituani ed i Finni. E fino al VI secolo continuarono queste invasioni e di conseguenza il territorio fu teatro di lotte di conquista. Proprio intorno a questo secolo fecero la loro apparizione gli Slavi, da cui certamente discesero i russi attuali.
Il primo stato russo fu fondato nell’862 dal principe Rjurik, capo del popolo normanno dei Variaghi, il quale accettò l’invito di alcune tribù slave a stabilirsi presso di loro, ne divenne il capo e si insediò a Novgorod.

I suoi successori, principi di origine slava, contribuirono a potenziare questo stato. Uno dei più abili, Vladimiro il Grande, che regnò dal 980 al 1015, combattè contro l’impero di Bisanzio e lo sconfisse. Poi nel 988  si convertì al cristianesimo, seguito dalla maggior parte del suo popolo.

Esistevano, però, altri principati in Russia e tutti riconoscevano la supremazia di quello di Vladimiro il Grande, la cui capitale Kiev era considerata allora la capitale di tutti.

E proprio mentre la salda unione di tutti i principati stava per compiersi, accadde uno degli avvenimenti più calamitosi della storia del paese: la calata dei mongoli.

Nessun principe fu in grado di opporsi alle orde di questi guerrieri che apparvero improvvisamente nel 1236. Essi distrussero tutti gli eserciti e tutte le città. Il 4 marzo 1238 Baty, nipote del Gran Khan, e Subatai, comandante supremo dell’esercito mongolo, conseguirono l’ultima vittoria ed uccisero Jurij II, granduca di Vladimir (città che aveva sostituito Kiev come capitale).

I mongoli, che già erano padroni della Cina e del Turkestan, occuparono quindi la Russia ma il loro dominio non fu oppressivo e sanguinoso, come si era temuto. I russi erano costretti sì a pagare i tributi ma poterono mantenere una certa indipendenza e così, con una certa tranquillità, passarono più di due secoli. Durante tutto questo tempo i principi di Mosca mantennero buoni rapporti con i Khan dell’impero mongolo, chiamato anche “Orda d’oro”;  furono anche liberi di combattere i principi confinanti, allo scopo di ingrandire i loro possedimenti. Ma così facendo il Principato di Mosca  divenne talmente potente che fu in grado di ribellarsi al dominio dei mongoli e scacciarli da tutta la Russia nel 1480 al comando di Ivan III.

Anche le terre mongole dell’Asia man mano si erano indebolite ed il Gran Khan non potè più contare su un potente esercito. Così l’Orda d’Oro perse la sua grande provincia: la Russia.

Nel 1530 il Principato di Mosca era divenuto un vero e proprio stato per la sua grandezza e per la sua potenza, quando nacque Ivan IV, figlio di Basilio III, che a soli tre anni ne divenne il capo. Ivan IV Vasilevic, detto il “Terribile”, fu uno dei più grandi sovrani della Russia. Visse fino al 1584; fu intelligente, colto, religioso ma violento e crudelissimo. Il 16 gennaio del 1547, a soli 17 anni, si fece solennemente incoronare nella Cattedrale dell’Assunzione a Mosca, ma non assunse il titolo di Granduca; volle essere chiamato “Zar”, nome che deriva dal latino “Caesar” ma che, comunque, nella lingua russa indicava i sovrani dei grandi stati antichi.

Il suo temperamento violento fu attribuito alla cattiva educazione ricevuta dai suoi tutori, i “Boiari”, che erano dei grandi proprietari terrieri, potentissimi, sempre in guerra fra di loro. Essi poi erano divisi in due partiti, eternamente belligeranti, e dediti soprattutto a perpetrare vendette oltre che a sperperare le ricchezze dello stato. Il decennio 1538/1548 vide continue stragi a Mosca ed episodi di violenza inaudita. E lo zar cresceva in mezzo a tali violenze tanto da non potersi esimere lui stesso dal compierne.

Poi un avvenimento sconvolse la città di Mosca, allorchè precipitò la grande Campana del Cremlino. Si disse che il fatto sarebbe stato foriero di sventure ed, infatti, il giorno dopo a Mosca scoppiò un violento incendio che distrusse completamente il Cremlino e fece contare 1700 vittime.

Ivan, che da sempre odiava i Boiari, approfittò dell’occasione per incolparli della disgrazia e ne fece massacrare moltissimi. I Boiari, però, continuarono a spadroneggiare e per qualche anno ancora Ivan dovette sottostare al loro dominio. Ma nel 1550, ormai esasperato da tutto ciò, convocò a Mosca una assemblea popolare davanti alla quale denunciò tutti i loro crimini; fondò un partito chiamato “Opritchnina”, che iniziò le persecuzioni contro di loro e dopo otto anni risultarono uccisi 4000 Boiari e tanti altri furono esiliati.

Dopo di che, lo zar diede il via ad importanti riforme relative alle leggi  dello stato, all’ordinamento militare, all’organizzazione della Chiesa ortodossa ed all’amministrazione locale. Tutte queste riforme migliorarono moltissimo le condizioni di vita del popolo russo. Poi lo zar si propose di ingrandire i propri domini ed a tale scopo dichiarò guerra ai Tartari. Questa finì nel 1552 con la conquista di Kazan, ad est di Mosca. Due anni dopo diede l’avvìo ad un’altra guerra, conclusasi nel 1556 con la conquista di Astrakan sul Mar Caspio.

Così ebbe inizio la politica di espansione della Russia verso l’Asia settentrionale. Ivan morì il 18 marzo 1584 dopo circa mezzo secolo di regno. E per circa un secolo la Russia si ritrovò in un clima di grandi incertezze ed in mezzo a continue lotte intestine.
Fortunatamente, però, lo stato era piuttosto solido così resse fino a che sul trono salì un altro grande uomo: Pietro il Grande.
Ma prima, durante tutto il periodo delle lotte, il popolo russo si trovò nella miseria, servo della gleba, a condurre una esistenza miserabile in capanne disperse in quell’immenso paese, con l’obbligo di coltivare le terre, tenere per sé esclusivamente lo stretto necessario per sopravvivere e dare, quindi, il resto della produzione ai nobili padroni.

E così, divisa fra un popolo miserabile ed una nobiltà corrotta, la Russia rimase più arretrata di ogni altro paese europeo sulla via del progresso e delle riforme sociali.

Pietro il Grande fu il primo zar che cercò di europeizzare la Russia. Egli aveva fatto un viaggio di studi in Europa visitando, sotto falso nome, l’Inghilterra, la Prussia, l’Austria e l’Olanda; in quest’ultimo paese lavorò addirittura come carpentiere, tanto desideroso fu di imparare i mestieri e le cose più interessanti da poter poi applicare nella sua terra ed elevarla allo stesso rango  degli altri stati.

Tornato in patria mise subito in pratica alcune riforme che consentirono al popolo  di cambiare anche l’aspetto fisico col taglio delle lunghe barbe per gli uomini e l’indossare, per tutti, abiti alla foggia occidentale, senza più gli indumenti tradizionali russi. Fu chiamato il “Grande” soprattutto per la sua politica estera. Pur non possedendo grandi doti di diplomatico e di militare, sconfisse i turchi per conquistare uno sbocco sul  Mar d’Azov (1700) e gli svedesi per uno sbocco sul Mar Baltico (1709).

Nel 1703 fondò la città di Pietroburgo sulle rive della Neva, vicino ai confini occidentali, proprio per ribadire la sua volontà di europeizzazione, ed infatti la città fu la sua capitale e fu chiamata “la finestra verso l’Europa”.

All’età di 17 anni lo zar Pietro era stato costretto a sposare una damigella della zarina, certa Eudossia. Nel 1711 egli ripudiò questa moglie per sposare una volgare serva, Marta Skavronskaia, che prese poi il nome di Caterina. Da questa ebbe due figlie, Caterina ed Elisabetta, mentre dalla prima moglie aveva avuto un maschio,, Alessio, che avendo sempre odiato il padre, ordì congiure contro di lui. Quando lo zar lo seppe, ordinò personalmente per suo figlio torture di morte. Pietro il Grande morì nel 1725, a soli 53anni, lasciando una Russia grande e potente.

Ancora più illuminato fu il regno di Caterina, durato 34 anni. Ella fu chiamata “Caterina Il Grande”, dal grande Voltaire, perché tale si dimostrò allorchè, nei primi anni, distribuì le terre ai contadini, fece costruire numerose scuole, incoraggiò il commercio, l’industria, le arti e le scienze. Lavorò senza tregua, si occupò personalmente di tutta la corrispondenza diplomatica e volle essere sempre al corrente su tutte le riforme che a quei tempi venivano praticate in Europa, per poterle applicare anche nella sua terra.

Ci fu anche l’espansione dell’impero con la conquista della Crimea, buona parte della Polonia ed immensi territori meridionali occupati dai turchi, che ella chiamò “Nuova Russia”.

Caterina morì nel novembre 1796. Alla fine del XVIII secolo, allo scoppio della Rivoluzione Francese,  in tutto il mondo cominciarono a fluttuare idee di libertà, uguaglianza e fratellanza, ed anche in Russia ebbe inizio un periodo di manifestazioni e congiure contro lo zar, ad opera di pochi individui, per lo più studenti e letterati.

Nel 1801 salì al trono di Russia lo zar Alessandro I, nipote della grande Caterina. Il suo atteggiamento verso la Rivoluzione Francese fu ostile cosicchè quando in Francia prese il potere Napoleone Bonaparte, egli si trovò a far parte della schiera dei suoi nemici, e con quello austriaco anche il suo esercito fu sconfitto nella battaglia di Austerlitz del 2 dicembre 1805. Poi il 9 luglio 1807 a Tilsit lo zar fu costretto a chiedere la pace al geniale Napoleone. Più tardi, nel 1812, Russia e Francia si trovarono ancora sul piede di guerra per il possesso della Polonia.

Napoleone allora decise di invadere il territorio russo ed ebbe inizio la disastrosa impresa che concluse il periodo napoleonico. Alessandro I ebbe alcune terre polacche e poi, consigliato dall’astutissimo cancelliere austriaco Metternich, fondò la “Santa Alleanza”, un trattato che metteva d’accordo tutti i sovrani assoluti europei nel contrastare e combattere ogni anelito di libertà dei popoli.

Alla morte di Alessandro I, avvenuta nel 1825, la Russia conobbe l’anarchia, in quanto sette e società segrete si svilupparono tutte insieme per combattere lo strapotere degli zar. E si tentò una insurrezione.

Nel dicembre 1825, in occasione del giuramento di fedeltà che i reggimenti facevano al nuovo zar Nicola I, uno di questi reggimenti si rifiutò di giurare. Immediatamente, lì nella stessa Piazza del Senato di Mosca, lo zar ordinò all’artiglieria di aprire il fuoco. Quasi tutti morirono, pochi si salvarono dalla morte ma non dalla prigione a vita. Il reggimento ribelle fu poi chiamato “reggimento dei decabristi”. Così ebbe inizio il regno di Nicola I, che durò fiuno al 1855 e che continuò con repressioni popolari fino alla fine del secolo XIX.

Ma ormai le restrizioni alla libertà avevano creato tanta ostilità nel popolo. Gruppi clandestini operavano, ognuno per conto proprio, per sovvertire questo stato di cose. Nacque il movimento “marxista” ispirato agli insegnamenti che il filosofo-economista tedesco Carlo Marx  andava elargendo allo scopo di provocare la rivoluzione generale del popolo.

Le massi popolari marxiste divennero in breve tempo assai numerose e motivate e ben organizzate. Si aspettava solo un’occasione per  agire. E questa giunse nel 1905 quando in una guerra contro il Giappone la Russia venne sconfitta. L’allora zar Nicola II, un poco reprimendo ed un poco promettendo riforme, riuscì a barcamenarsi ancora per qualche tempo. Fra i rivoltosi iniziarono a venir fuori anche le bandiere dei cosidetti “bolscevichi”, cioè gli estremisti del movimento marxista.

Nel 1907 alla corte di Russia apparve uno strano personaggio, un misterioso monaco di nome Rasoutin, che ebbe un effetto alquanto deleterio sulla zarina Alessandra Fedorovna. La famiglia imperiale divenne succube di questo monaco (che poi nel 1916 fu ucciso).

Allo scoppio della prima guerra mondiale la Russia stava già sull’orlo della rivoluzione e la situazione precipitò alle prime sconfitte dell’esercito ad opera della Germania e dell’Austria.

Nel marzo 1917 a Pietroburgo scoppiò una sommossa di soldati ai quali si unì subito la popolazione e fu la rivoluzione generale. Lo zar non fu in grado di controllare la situazione ed abdicò il 15 marzo 1917.

Fu formato subito un governo provvisorio capeggiato dal democratico moderato Kerenski, ma chi in effetti fu il vero arbitro fu il partito bolscevico, guidato da Vladimir Ilich Lenin e dal suo luogotenente Leone Trotzky. A loro si unì un georgiano energico e volitivo, di nome Joseph Stalin, che divenne in breve il discepolo preferito di Lenin.

Nacquero i Soviet, cioè Consigli  di operai e soldati e questi, d’accordo con i bolscevichi, e non contenti delle promesse di riforme enunciate da Kerenski, decisero di dare una impronta nettamente comunista al governo. Perciò il 7 novembre 1917 gli uomini di Lenin occuparono il Palazzo del Governo di Pietrogrado,sede del governo provvisorio, istituzionalizzando la nascita del primo Stato Comunista nel mondo.

Il nuovo governo si trovò subito a dover affrontare la difficile situazione. Ovunque c’erano rovina e miseria. Il 3 marzo 1918, dopo l’annientamento della famiglia dello zar, fu firmata una pace con la Germania e con l’Austria che, nel frattempo, avevano continuato la penetrazione in territorio russo.

All’interno, furono tolte le terre ai proprietari nobili ed insieme alle industrie ed ai beni privati, fu tutto sottoposto alla proprietà dello stato. Dopo qualche anno le cose si normalizzarono e la Russia, nel 1923, si chiamò “Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche”. Nel 1924, alla morte di Lenin, scoppiò la lotta per la successione fra Stalin e Trotzky. Quest’ultimo fu sconfitto e costretto a fuggire. Riparò in Messico dove fu ucciso nel 1940.

Era il 1929 quando Stalin prese il potere.  Governò come un dittatore assoluto, non si preoccupò minimamente del benessere del popolo né delle sue aspirazioni alla libertà. Proprio per questo riuscì a trasformare la Russia da paese povero ed arretrato in uno stato moderno ed industrializzato.

La conferma della potenza industriale e militare della Russia si ebbe nel 1941 quando, alleata degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nella seconda guerra mondiale, venne invasa dalla Germania nazista.

Nonostante la potenza dell’esercito di Hitler, la Russia riuscì a riportare sul proprio fronte completa vittoria contro la Germania, nel 1945. Fra le grandi battaglie sul fronte russo ci fu quella di Stalingrado, vinta dai russi nell’inverno 1942/43.

Morto Stalin nel 1953  si ebbero di nuovo numerose lotte fra i capi del partito per la conquista del potere. Dopo la sua morte alcune personalità del suo governo furono boicottate e scomparvero dalla scena politica per far posto a Nikita Kruscev, il quale non lesinò a quel grande dittatore accuse gravi sia sulla conduzione dell’economia che sul piano militare. Veniva ripudiata la guerra fredda ed al suo posto il disgelo portava una politica di coesistenza pacifica.

Ma nel 1956, dopo il sanguinoso intervento delle truppe sovietiche in Ungheria, sembrò che si tornasse al punto di prima. Ed anche le imposizioni fatte in Polonia al locale riformatore partito comunista avvalorarono questa tesi.

Nel 1957 molti dirigenti sovietici, ritenuti ostili a Kruscev, venivano allontanati dal potere. Ed intanto l’Unione Sovietica mieteva successi nel campo della navigazione spaziale. Infatti il 4 ottobre 1957 fu lanciato nello spazio il primo satellite artificiale di fabbricazione sovietica.

Kruscev, detenendo le cariche sia di primo ministro che di primo segretario del partito, era giunto nel 1958 ad unificare nella sua persona, i poteri fondamentali del paese con notevole aumento del suo prestigio nonché del suo potere. Fu così che decise qualche giro di vite tanto che si parlò di un parziale ritorno allo stalinismo. L’episodio polemico contro Boris Pasternak, autore del romanzo “Il Dottor Zivago”, proibito in patria ma pubblicato all’estero, ne fu una prova. Poi diede vita ad una polemica con l’Occidente quando chiese alle truppe alleate di lasciare Berlino che, per lui, sarebbe stata dichiarata “città libera”.

Per cercare di mediare la tanto critica situazione creatasi, specialmente con gli Stati Uniti, il primo ministro inglese MacMillan offrì i suoi servigi andando a Mosca per una visita ufficiale. Ed una parziale piccola attenuazione della tensione si ebbe.

Nel 1959, l’allora presidente statunitense Nixon fece un viaggio a Mosca in occasione di una mostra americana mentre negli Stati Uniti se ne inaugurava una sovietica. Quell’anno sembrò foriero di altri incontri e di distensione ed anche per il 1960 venivano proposti impegnativi incontri per sistemare i molteplici problemi esistenti fra i due blocchi.

Inoltre la società si stava evolvendo migliorandosi in tutti i settori, compreso quello religioso che registrava un certo aumentato interesse, specialmente fra i giovani, desiderosi anche di conoscere altri popoli ed altri paesi. L’Unione Sovietica nel 1960 concluse vari accordi culturali con i paesi del Patto Atlantico; molte mostre sovietiche si erano aperte nei paesi anglosassoni.

Kruscev in marzo fece una visita in Francia. E proprio allora si verificò un grave incidente fra Unione Sovietica e Stati Uniti. Un aereo di ricognizione, del tipo U-2, fu abbattuto in territorio sovietico ed il pilota, Powers, fu fatto prigioniero. Ciò provocò l’annullamento di quella Conferenza al vertice che era stata indetta a Parigi per il maggio 1960, e Kruscev indirizzò aspre polemiche all’indirizzo del presidente statunitense Eisenhower. Ed anche altre diatribe internazionali, come i fatti del Congo, quelli del Laos e le polemiche sulla Germania, ed in particolare su Berlino, riportarono fra oriente ed occidente un particolare stato di tensione: era tornata la guerra fredda.

Un clamoroso successo della tecnica spaziale sovietica si ebbe il 12 aprile 1961 quando si svolse il volo spaziale di J. A. Gagarin, primo uomo nello spazio, mentre Kennedy diveniva il nuovo presidente, democratico, degli Stati Uniti. I due avvenimenti furono interpretati di buon augurio per una nuova distensione.

Ma sempre più controverso fu il problema di Berlino che Kruscev voleva a tutti i costi “città libera”, mentre le potenze occidentali no. Un fatto clamoroso si verificò il 13 agosto 1961. Con un atto unilaterale la Germania orientale chiuse il confine con Berlino ed innalzò il tristemente famoso “muro” che tanti lutti e tanto dolore doveva procurare negli anni successivi.
Intanto nell’Unione Sovietica c’era stata una recrudescenza nei sistemi politici e giuridici e la pena di  morte era stata ripristinata per i reati contro la proprietà collettiva.  Poi Kruscev continuò con la condanna del culto della personalità ed a tale scopo fece rimuovere la salma di Stalin dal mausoleo dove era stata tumulata, accanto a quella di Lenin. Aveva deprecato l’immobilismo staliniano dell’Albania, aveva criticato la politica cinese ed il  deviazionismo jugoslavo ed inoltre aveva chiesto alla Finlandia di rivisitare i patti militari, necessari ai due paesi in caso di un possibile attacco dalla GermaniaPer l’economia, Kruscev aveva rivolto maggiori attenzioni all’agricoltura, ma tutte le aspettative andarono deluse. In parte a causa delle condizioni climatiche che non permettevano la coltura di certi cereali, ed in parte per la carenza di macchinari che riduceva molto le capacità tecniche di lavorazione. Ed inoltre nel 1963 una lunga siccità, unita alla carenza di scorte di grano, impose all’Unione Sovietica di importarne dal Canada, dall’Australia e dall’Argentina.

Insieme agli insuccessi nel campo agricolo si ebbero anche difficoltà in campo intellettuale e culturale. Kruscev, dopo aver usato metodi pressochè liberali, ritornò critico verso l’arte contemporanea ed astratta e ripristinò i sistemi precedenti; fu quasi una riabilitazione dello stalinismo.

E durante gli anni sessanta, a seguito di una grande perdita di popolarità da parte di Kruscev, anche in campo internazionale si registrò una crisi del comunismo. Vari episodi concorsero, come le questioni con la Cina e con Cuba, la debacle della Baia dei Porci, che imperdì all’Unione Sovietica  di arrivare a Fidel Castro. E quando nel 1964 il “Plenum” si riunì, fu concordato che il “periodo Kruscev” si poteva considerare concluso ed egli fu costretto a dimettersi.Lo seguirono anche i suoi più stretti collaboratori. Al vertice del partito fu eletto Leonida Breznev ed a capo del governo A. Rosygin. Nel 1965 A. Mikojan lasciò la carica di capo dello stato, che fu assunta da N. Podgornyj.

Negli anni settanta ci furono diversi rinnovamenti nella dottrina del partito e quindi  nuove sostituzioni. Il 7 ottobre 1977 andò in vigore una nuova Costituzione che, tra l’altro, insisteva sul carattere omogeneo della società sovietica. Il culto della personalità veniva sempre condannato con fermezza cosicchè non si potè rivalutare lo stalinismo.

I problemi agricoli intanto erano rimasti, per cui l’Unione Sovietica fu di continuo obbligata a ricorrere ai mercati esteri. Lo stato, comunque, preferì dare maggiore impulso all’industria pesante che, perciò, rimase il nucleo di base di tutta l’economia sovietica.

In campo internazionale l’Unione Sovietica fronteggiò gli Stati Uniti nella vicenda Vietnam; concluse il trattato della “non-proliferazione nucleare”; superò la crisi con la Cecoslovacchia e la Cina; riportò in discussione il problema tedesco. Poi, però, si ebbe una pausa in questo processo di apertura, in occasione della guerra arabo-israeliana del Kippur.

Ma l’impegno che l’Unione Sovietica aveva assunto nel Vietnam non impedì di continuare il dialogo con gli Stati Uniti, specialmente sulle questioni  nucleari. Con Nixon, in occasione di una sua visita a Mosca, furono stipulati accordi non solo per la limitazione delle armi strategiche, ma anche patti commerciali; cosicchè l’Unione Sovietica  potè accedere ai mercati americani per l’acquisto di cereali. Ma le relazioni con gli Stati Uniti e con la Cina vennero via via deteriorandosi quando l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan.

Nel 1980  la tensione era tale che Carter, l’allora presidente americano, non autorizzò la partecipazione degli atleti americani alle  Olimpiadi di Mosca (per contro l’Unione Sovietica  boicottò quelle del 1984 di Los Angeles).

All’inizio degli anni ottanta cominciò a delinearsi qualche sintomo di una crisi generale del sistema.  Le prime disgregazioni si ebbero nei rapporti con gli stati satelliti che via via, per conto loro, conducevano azioni di rivalsa sulle imposizioni sovietiche, non solo politiche ma anche di mercato. Poi le strutture stesse in seno all’Unione Sovietica cominciarono a scricchiolare man mano che si chiedeva di colmare il dislivello, troppo evidente, fra le classi più popolari e le burocrazie del partito e dello stato.
Nacquero la corruzione ed il mercato nero, ma anche aneliti di libertà e di autonomia, specialmente in quegli strati sociali dove era arrivato, anche se in forma limitata, un certo benessere economico. E con questo si giunse alla politica detta del “dissenso”, che all’inizio interessò solo la classe degli intellettuali.

Quando l’Unione Sovietica intervenne per applicare la “normalizzazione” negli stati satelliti, in particolare in Polonia, questa linea politica ebbe conseguenze negative soprattutto sulla economia sovietica.

Dopo la morte di Breznev, avvenuta l’11 novembre 1982, assunse la carica di segretario generale del partito J. Andropov. Si respirò subito aria di cambiamenti e di riforme che, però, vennero applicate solo in campi  non così importanti per la società, quali ad esempio l’incremento della disciplina contro l’assenteismo, e questo anche perché Andropov era già gravemente malato ed infatti il 9 febbraio 1984 morì. E nel frattempo aspri disaccordi con gli Stati Uniti erano intervenuti, oltre al già applicato embargo economico da parte americana.

A succedere ad Andropov arrivò K. Cernenko, 73 anni, malato. Anch’egli l’anno dopo morì senza aver potuto restaurare il “breznevismo”, come annunciato. A quel punto la crisi era talmente grave che fu evidente la necessità per il partito di fare scelte nuove. Alla scomparsa di Cernenko fu eletto M. Gorbacev, l’uomo nuovo della situazione, che rese popolarissimi taluni vocaboli come la “glasnost” ossia la trasparenza, come inizio di una nuova democrazia, e la “perestroika”, cioè la ristrutturazione, la riforma radicale della gestione dello stato.

Dopo i primi tempi in cui venne ad applicarsi un sistema di moralizzazione nelle classi dirigenti, con la lotta alla corruzione ed alla mafia, non fu possibile notare alcun miglioramento nel sociale ed i pensionati furono quelli che subirono i peggioramenti. Ma poi, piano piano, sia all’interno che all’estero, le cose cambiarono e per primo atto furono avviati colloqui con gli Stati Uniti per una distensione che avrebbe garantito un futuro migliore per tutti. E così cessò la guerra fredda, si lavorò per arrivare al graduale ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, si fecero i primi passi per normalizzare le relazioni col Vaticano e con Israele,ed insomma si arrivò alla fine dell’era del “confronto”.

Gorbacev inserì alcuni uomini nuovi nei quadri ma la perestroika non riuscì a portare subito una riforma radicale. Intanto, però, in tutti gli stati satelliti si procedeva, sotto la spinta della perestroika, per uscire dal sistema sovietico. E ciò piano piano avvenne. Però nessuno prevedeva la scomparsa della Repubblica Democratica Tedesca in poco tempo, come invece avvenne.

Gorbacev stesso era convinto che il distacco dei vari stati dal sistema centrale sarebbe stato attuato allo scopo di poter ricostituire ognuno la propria sovranità territoriale, pur nel contesto di tutti quegli accordi economici, politici e militari che li aveva legati fino ad allora all’Unione Sovietica. Fu un grave errore di valutazione perché ogni stato dichiarò la propria indipendenza ed addirittura la Germania fu libera ed “una”, immediatamente dopo l’abbattimento del “muro”. Era il 1989; il sistema socialista  sovietico era crollato.

Del resto, nella stessa Unione Sovietica, nelle elezioni del 25 marzo 1989, i candidati comunisti furono clamorosamente battuti. Dopo si ebbero governi di coalizione e grandi masse di popolo attorniarono i candidati radicali, primo fra tutti Eltzin. Nel febbraio 1990 fu abolito quell’articolo della Costituzione che stabiliva il monopolio del partito unico.

E mentre Gorbacev nell’ottobre 1990 veniva insignito del Premio Nobel per la Pace, in patria veniva contestato. In occasione della Guerra del Golfo egli si schierò con gli Stati Uniti. Il 19 agosto 1991 subì un golpe ed insieme ai suoi familiari fu trattenuto con la forza in Crimea,finchè Eltzin, intervenuto, decretò il fallimento del colpo di stato. Quando Gorbacev  tornò a Mosca trovò una situazione totalmente cambiata con il potere tutto accentrato nelle mani di Eltzin, l’uomo forte.

L’8 dicembre 1991 tutti i rappresentanti della ripristinata Russia, cioè l’Ucraina, la Russia bianca e la Bielorussia, dichiararono ufficialmente finito il sistema unitario sovietico e Gorbacev fu costretto a lasciare il potere. Egli abbandonò il Cremlino  la sera del 25 dicembre 1991 mentre veniva ammainata la bandiera rossa e Mosca tornava ad essere semplicemente la capitale della Russia.

Finito lo stato unitario, bisognò occuparsi di tutti i problemi esistenti fra le varie repubbliche, ormai autonome; problemi di tipo territoriale ed economico. Toccò alla Russia occupare il seggio alle Nazioni Unite, garantire il mantenimento dei patti per il disarmo, ed infatti Eltzin firmò insieme a Bush, presidente americano, l’accordo per la riduzione delle testate nucleari, il 3 gennaio 1993. Poi, all’interno, intervennero le minoranze etniche a creare altri problemi ad Eltzin, che così dovette occuparsi della sistemazione dei tartari della Crimea e quelli della repubblica di tataria (che volevano l’indipendenza completa); poi dei tedeschi del Volga, degli Osseti del nord e gli Ingusci, dopo la rottura con la Cecenia, e vari altri gruppi etnici della Russia asiatica.

Male andò anche per le ex repubbliche federate che sulla Russia non poterono più contare per il potenziamento delle loro industrie, essendo venuti a mancare i sostegni precedenti. E nel frattempo in tutti i paesi andarono costituendosi vari movimenti islamici appoggiati dall’Iran e dalla Turchia. Tutte le ex repubbliche sovietiche divennero repubbliche islamiche ed iniziarono fra loro anche delle conferenze, allo scopo di dare vita ad un “mercato comune” centro-asiatico. Nella conferenza del 4 gennaio 1993 si invitò ad intervenire anche la Russia.
 
Il mercato russo si aprì al sistema liberista, patrocinato anche dal Ministro delle Finanze, E. Gajdar, e sostenuto sia dal Fondo Monetario Internazionale sia dalla Banca Mondiale, certi che nel paese sarebbe stato portato a compimento il programma di riforme già iniziato.

Nonostante ciò, invece, la situazione subì un netto peggioramento¸diminuirono sia la produzione industriale che quella agricola; le cose che, per contro, aumentarono furono  l’inflazione e la formazione di gruppi mafiosi. Ma ebbero un notevole incremento anche le formazioni di nuove imprese, con conseguente nascita  di ceti sociali intermedi comprendenti anche un certo numero di nuovi ricchi.

Oltre a questo rinnovo del tessuto sociale russo, molte furono le richieste di distacco dal governo di Mosca da parte delle minoranze etniche residenti. Quando le 21 repubbliche, ormai autonome, furono invitate a confermare il loro legame con Mosca, firmando un trattato federale, tre di esse si rifiutarono di farlo: la Cecenia, il Tatarstan e Tuva.
Col trattato federale firmato, però, tutte le repubbliche confermarono la loro autonomia, ribadirono il possesso del proprio suolo, del sottosuolo, di tutte le ricchezze naturali ed inoltre rivendicarono anche l’autonomia politica, anche in campo estero e quella del commercio estero.

Ma la trasformazione del sistema politico russo non aveva marciato di pari passo con l’esperienza di vita democratica dei dirigenti che, continuando ad applicare ancora le norme della vecchia Costituzione, crearono non pochi conflitti politici e sociali molto gravi.

Uno di questi conflitti, nella primavera del 1993, aveva  portato Eltsin contro la maggioranza del Parlamento. Due fazioni politiche vennero a confronto fra loro e lo scontro fu durissimo. Da una parte Eltsin con le forze armate a lui fedelissime, e dall’altra sia il vice-presidente A. Ruckoj ed il  presidente del Parlamento R. Chasbulatov.
Eltsin ordinò un assalto armato contro i deputati, che furono costretti alla resa.

Nel dicembre 1993 in Russia, dopo le elezioni politiche, fu adottata una nuova Costituzione. Il paese divenne una Repubblica Presidenziale Federativa, dove il presidente poteva avvalersi di ampi poteri nei confronti del Parlamento, o Duma, che da lui fu eletto.

Eltsin, sin dall’inizio, aveva dimostrato di essere un politico accorto ed esperto. Cercò sempre di ricomporre i conflitti politici che via via si verificavano nel governo e la sua linea di condotta poté sempre contare anche sul sostegno degli Stati Uniti e, generalmente, degli altri stati occidentali. In campo economico fu sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale: concordò vari trattati con la Cina e con i paesi asiatici, ma difficili furono i rapporti col Giappone che rivendicava il possesso delle isole Curili, cosa non accettata da Mosca.

Intanto era giunto il dicembre 1995 con nuove elezioni politiche che videro l’avanzata del  partito comunista, capeggiato da Zjuganov e la sconfitta del partito del presidente. Sicuramente, si disse, un forte contributo a questo risultato era stato dato come espressione di disapprovazione verso quella guerra di Cecenia, iniziata già nel 1994, dopo che il generale ceceno Dz. Dudaev  ne aveva proclamato l’indipendenza.

Ma in realtà non erano le forze pacifiste che contrastavano Eltsin, bensì i nazionalisti che mal digerivano gli insuccessi mietuti dall’esercito russo, impegnato in quella guerra.

Poiché riteneva prossima una sconfitta anche alle presidenziali indette per il giugno del 1996, Eltsin operò delle sostituzioni ai vertici della politica e cercò in ogni modo di eliminare tutti i contrasti con la Duma. Poi, colpito da una ischemia al miocardio, dovette assentarsi per lunghi periodi dal Cremlino, e nello stato forzato di convalescente cominciò ad elaborare un piano di pacificazione con la Cecenia, anche dopo la morte di Dudaev, ucciso il 21 marzo del 1996 da un missile che aveva raggiunto la sua base militare. Questo piano fu bene accolto da tutti e maggiori consensi acquisì dall’occidente che, pur avendo sempre pensato al conflitto con la Cecenia come un problema prettamente russo, pure non aveva mai nascosto le sue preoccupazioni ed il suo profondo dissenso.

Intanto sul piano economico si erano verificati dei miglioramenti ed anche l’inflazione era diminuita. Da varie parti si sostenne che il tasso di inflazione ridotto era più una conseguenza logica del mancato pagamento di salari e stipendi ai lavoratori, e che per questo poi nacquero scioperi e dimostrazioni di più di 500.000 minatori.

Eltsin vinse le elezioni presidenziali del 1996 e poco tempo dopo dovette sottoporsi ad un difficile intervento chirurgico. Per non mettere in pericolo la stabilità di governo, nominò suo sostituto  il generale Lebed, personaggio di spicco, amato dal popolo, che perseguì subito scopi pacifisti ed, infatti, applicò, sin dai primi giorni del 1997, il graduale ritiro delle truppe russe dalla Cecenia.
Poi, clamorosamente Eltsin, uscito dalla convalescenza, ruppe improvvisamente i rapporti con Lebed, e la stabilità politica tornò  nuovamente ad essere  in primo piano.

Ma il 1997 si annunciava  all’insegna della tranquillità. Furono nominati due vice primi ministri, Cubais, responsabile delle Finanze, e B. Nemcov, l’allora governatore della zona di Novgorod, dove aveva appunto applicato delle riforme risultate vincenti. Molti successi arrivarono in economia, specialmente nel settore industriale. Ma ciò che si poté considerare senz’altro una vittoria di Eltsin, fu la firma del trattato di pace con la Cecenia; questa fu subito proclamata Repubblica Islamica e poté contare immediatamente su una completa autonomia, anche se alcune norme del trattato stabilivano che tutte le decisioni per definire i rapporti fra i due paesi sarebbero state raggiunte entro il 2001.

Nel 1998, però, con la crisi delle borse asiatiche, anche l’economia russa subì gravi contraccolpi. Eltsin operò ancora una sostituzione al vertice di governo, nominando S. Kirenko, riformista, molto abile, che dopo il  crollo della Borsa di Mosca, tentò di recuperare svalutando il rublo, il 17 agosto, e con ciò si giunse ad una grave crisi politica.

Il 23 agosto Kirenko fu destituito ed al suo posto tornò Cernomyrdin che tentò di formare un nuovo governo, capace di guadagnarsi la stima di tutta la Duma. Invece fu un insuccesso, e da più parti, specialmente dagli oppositori comunisti di Zjuganov, vennero chieste le dimissioni di Eltsin.

L’occidente, intanto, chiariva a Mosca che avrebbe potuto contare ancora sugli aiuti e sui crediti internazionali, solo se si fosse perseguita seriamente una politica di riforme. E quando venne affidato l’incarico di formare il nuovo governo al Ministro degli Esteri, Primakov, il 10 settembre 1998, la garanzia sembrò quella giusta. E lo fu anche per i comunisti dissidenti che, con la nomina a primo vice premier di Ju. Masljukov, della loro stessa estrazione, entrarono quindi a far parte del governo stesso.

Ma tutti i problemi economici, politici, finanziari, sociali, istituzionali, che avevano concorso a creare la profonda crisi del paese, nel 1999 vennero a galla. Esplosero anche degli scandali finanziari che coinvolsero anche lo stesso Eltsin ed i suoi familiari. La stessa Banca Centrale fu sottoposta a giudizio per avere utilizzato fondi provenienti dal Fondo Monetario Internazionale  ed aver inviato miliardi di dollari negli Stati Uniti, dove alcuni funzionari di istituti finanziari locali, li avevano gestiti, pur conoscendone l’origine. Ciò raffreddò alquanto i rapporti con gli Stati Uniti e con altri paesi dell’occidente che, invece, negli ultimi tempi  erano stati  conquistati dalla capacità di Eltsin di convincere Milosevic a ritirare le  truppe serbe dal Kosovo.

Si aggravarono anche le relazioni con la Cecenia al punto tale che si giunse alla seconda guerra fra i due paesi. Eltsin venne ancora una volta invitato a dimettersi.
Per contro, egli operò ancora una sostituzione al vertice della Duma, nominando primo ministro Putin.

Il  primo ottobre le truppe russe invasero nuovamente la Cecenia dando così inizio alla seconda guerra, che fu portata avanti con grande determinazione, essendo Putin intenzionato a riconquistare tutto il paese. Si volle così dare una impronta nazionalista al conflitto  che portò anche notevoli mutamenti nelle scelte degli elettori. Questi, infatti, nelle elezioni del dicembre assegnarono la vittoria al partito di Putin il quale, dopo il ritiro dalla scena politica da parte di Eltsin, fu da lui indicato come suo successore per le future presidenziali, indette per il 26 marzo del 2000.

Nonostante l’aumento della criminalità e della corruzione, la vita politica russa poté godere di una certa stabilità. Nel febbraio del 2000 le truppe russe riuscirono a rientrare a Groznyj, la tormentata  capitale cecena, ed il 26 marzo 2000 Putin vincendo le presidenziali assunse la massima carica dello stato.