Storia
E’ la Repubblica dei Tagiki, con capitale Dusanbe, costituitasi nel
1925 e facente parte sin dall’inizio dell’Unione Sovietica.
Prima della Rivoluzione Russa e di essere incorporata nell’Unione,
il Tagikistan era compreso quasi del tutto nel Khanato di Buchara; solo
una piccola frazione era inclusa della provincia del Syrdaria.
Paese prettamente montuoso, vi si trovano le catene come il Pamir, l’Aliciur ed il Vachan, che raggiungono altitudini notevoli fra i 5000 ed i 6000 metri. Per questo il clima è assai vario; freddo intenso e vento di grande violenza regnano dove maggiore è l’altitudine. Laddove è minore una certa umidità permette foreste molto rigogliose.
La popolazione, a grandissima maggioranza tagiki, ha una forte componente uzbeka. Caratteristiche principali di questo popolo sono la tranquillità, l’ospitalità e la tolleranza. I tagiki, a differenza degli uzbeki, sono semplici, amano la giustizia, sono attivi e molto abili negli affari e nei commerci. Sono in gran parte musulmani.
Due tipi di abitazioni sono le caratteristiche locali: case basse di mattoni, a causa dei frequenti terremoti, per i sedentari e tende smontabili per i nomadi.
Ancora fino a pochi anni fa l’istruzione era retaggio di appena il 5% della popolazione. Col tempo questa percentuale si è molto elevata ed anche in campo sanitario si sono fatti notevoli progressi.
Dopo la rivoluzione del 1917 molti abitanti emigrarono nell’Afghanistan
ed in Persia: la popolazione rimasta nel paese risultò assai scarsa
e prevalente nei piccoli villaggi o in dimore isolate, dato lo stato di
seminomadismo dei più
Quando nell’Unione Sovietica iniziò la politica di Gorbacev,
nel Tagikistan si registrò una rapida trasformazione del governo
locale e nel 1985 fu esonerato R. Nabiyev, segretario del Partito Comunista
già dal 1982. Emerse una certa libertà di espressione e fu
permessa l’introduzione di alcuni partiti politici di opposizione, mentre
nel popolo ritornava vivo l’amore per le proprie tradizioni, represse fino
ad allora dai sovietici. Nel 1989 la lingua tagika tornò ad essere
la lingua ufficiale dello stato; il 25 agosto 1990 fu dichiarata la sovranità
del paese ed il 9 settembre 1991 la sua indipendenza. E si chiamò
Repubblica del Tagikistan.
Il 21 dicembre dello stesso anno aderì alla Comunità degli Stati Indipendenti; il 2 marzo 1992 fu ammessa alle Nazioni Unite e dal 1993 divenne membro del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Nonostante che il nuovo stato fosse tollerante e liberale verso tutte le comunità etniche e religiose presenti nel paese, compresa quella islamica, nel corso del 1992/93 imperversò una furiosa guerra civile determinata da una parte, nelle regioni di Dusanbe e di Kurgan-Tjube, da una coalizione islamico-democratica, e dall’altra da una coalizione fedele al vecchio partito comunista nei distretti di Kuljab a sud e di Hodzand a nord.
A cominciare dal 1991 la situazione politica era divenuta sempre più critica per i contrasti fra il Partito Democratico del Tagikistan ed il movimento Rastohez, cioè il Partito della Rinascita Islamica. Questi partiti avevano una libertà d’azione molto limitata poiché il potere effettivo era rimasto nelle mani degli uomini del vecchio ordinamento. Quando si verificò un tentativo di mettere fuori legge il partito comunista, Nabiyev ritornò ai vertici dello stato e convocò elezioni presidenziali multipartitiche, che si svolsero nel novembre 1991 con la sua vittoria. Il governo che ne derivò fu misto perché fra i ministri figurarono anche elementi delle opposizioni.
Ma molti gruppi etnici procurarono gravi disordini sociali che giunsero ad una vera e propria guerra civile. I caratteri dominanti di questo conflitto furono religiosi, etnici e territoriali in quanto si fronteggiarono le zone del nord, industrializzate, a favore di Nabiyev, e quelle del sud, confinanti con l’Afghanistan, a favore dell’opposizione democratica ed islamica.
Al nord, nel Kuljab, si era formata una milizia di irregolari, chiamata Fronte del Popolo Tagiko, guidata da S. Safarov, un comandante di assai dubbia fama, con alle spalle un passato di 23 anni di carcere, che mostrò subito i segni dominanti della sua ferocia ordinando l’uccisione di molti esponenti del Partito Democratico e del movimento della comunità Pamiri.
In questa situazione a Dusanbe scoppiò una sommossa che costrinse Nabiyev a fuggire. Si nominò come presidente “ad interim” A. Iskandarov e come premier del nuovo fragile governo A. Abdullojonov. Ma questo nuovo ordinamento non fu riconosciuto al di fuori della capitale poiché in tutti i distretti periferici i soli che dirigevano le operazioni erano i vari gruppi armati, in prevalenza quelli guidati da Safarov.
Nel novembre 1992 il debole governo cadde per l’incapacità di fronteggiare la situazione ed allora il Soviet Supremo abolì la carica di presidente ed il potere fu accentrato nelle mani di Rahmanov segretario.
Nel dicembre 1992 il governo riprese il possesso della capitale e nel marzo del 1993 il controllo sull’intero territorio fu ripristinato. A favorire la cessazione delle ostilità ed il ritorno al governò costituzionale fu il massiccio intervento delle truppe russe presenti nel paese, ma anche dell’Uzbekistan che, per timore che una simile situazione si verificasse entro i propri confini, aveva inviato proprie truppe in numero piuttosto consistente.
Il nuovo governo costituito, nel corso del 1993 iniziò un programma
di restrizioni cominciando a mettere fuori legge tutti i partiti oppositori.
Furono ammessi solo i partiti patrocinati da esponenti governativi. Nell’aprile
del 1994, con la mediazione delle Nazioni Unite, a Mosca si iniziarono
i colloqui fra i settori in conflitto. Nel novembre 1994 si svolsero nuove
elezioni, ma senza le opposizioni ancora costrette alla clandestinità
ed all’esilio.
Quando i colloqui di pace fra le parti in conflitto furono esauriti,si
firmò un accordo alla presenza di vari rappresentanti fra cui Eltsin,
il presidente tagiko Rahmonov, il capo dell’opposizione S. A. Nuri, il
Ministro degli Esteri iraniano Vaylati e D. Merrem, incaricato delle Nazioni
Unite.
La guerra civile del Tagikistan era finalmente cessata ed una buona
parte del mezzo milione di profughi potè rientrare in patria.
Con l’accordo era stata pattuita l’integrazione nelle forze armate
regolari di quelle dell’opposizione, nonché l’assegnazione del 30%
degli incarichi di governo.
Alcune fazioni però continuarono i loro attacchi terroristici e molti dirigenti dei paesi vicini adoperarono tutti i loro mezzi per convincere i riluttanti guerriglieri a deporre le armi.
Si prodigò in questo soprattutto la Russia, dalla quale il paese maggiormente dipendeva per la sicurezza e per lo sviluppo economico. E proprio per quest’ultimo, quando in Russia si verificò la grave crisi finanziaria dell’estate del 1998, anche il Tagikistan ne subì le conseguenze.
A marzo del 1998 era intanto rientrato in patria, dall’esilio iraniano,
K. A. Turajonzoda, capo dell’opposizione islamica, ed a lui fu affidato
l’incarico di vice-premier. Inoltre il governo aveva già decretato
la liberazione di 300 prigionieri oppositori.
Turajonzoda dichiarò che non avrebbe svolto nessuna opera per
imporre un regime islamico nel paese. Ma intanto proprio nella regione
di Kofernihan, sua patria, si verificavano nuovi scontri armati fra i governativi
e gli oppositori, tuttora contrari all’accordo di pace.
Il 21 luglio 1998 quattro rappresentanti delle Nazioni Unite furono uccisi dai ribelli in una località a circa 170 chilometri dalla capitale. Naturalmente le Nazioni Unite ritirarono tutti i loro osservatori, mentre nel paese la situazione andò via via peggiorando.
Per cercare di risolvere i gravi problemi di ogni tipo che affliggevano il debole governo di coalizione, Rahmonov chiese l’assistenza della Russia. Per questo fu firmato a Mosca nell’aprile del 1999 un trattato pluriennale che stabiliva intanto un ampio rafforzamento del contingente militare russo sul territorio. Poi, nel settembre 1999, Rahmonov portò una modifica alla Costituzione legalizzando i partiti islamici ed inoltre indisse le prime elezioni politiche dopo la guerra civile, e fu confermato presidente a novembre stesso anno.
Nel febbraio 2000 le nuove elezioni assegnarono la vittoria al Partito
Popolare Democratico, sempre più vicino al Presidente, ma anche
il partito comunista ottenne un discreto numero di voti ed il Partito della
Rinascita Islamica costituì la terza forza.