TUNISIA

Storia

Per la posizione strategica che occupa nel Mediterraneo, la Tunisia fu contesa fin dai tempi antichi da popoli diversi.  Nel III e II secolo avanti Cristo era già abitata dai Fenici che vi avevano fondata la loro maggiore colonia: Cartagine.

A quei tempi si svolsero eventi storici importanti come le famose “guerre puniche”, che avrebbero poi deciso se il centro del più grande impero della storia sarebbe stata la Penisola Italiana o la Tunisia, se la civiltà futura sarebbe stata latina o afro-asiatica. Il colossale duello si concluse con la radicale distruzione di Cartagine e così  la regione tunisina fu assoggettata alla sovranità di Roma. I cartaginesi, discendenti di quegli abili mercanti e navigatori che furono i Fenici, conobbero allora quelli che furono  i migliori colonizzatori che siano mai esistiti. I Romani, infatti, diedero alla Tunisia un periodo di prosperità e di pace, ma tutto ciò crollò con la caduta dell’impero romano.

Prima i Vandali, barbari germanici giunti nel nord-Africa dopo aver percorso e devastato la penisola italiana, e poi i Bizantini, posero fine al periodo più felice della storia tunisina. I Vandali rimasero in Tunisia fin verso la metà del VI secolo dopo Cristo; i Bizantini li sostituirono e dominarono la regione per un altro secolo, fin quando furono scacciati dagli Arabi.

I musulmani riunirono sotto la propria dominazione un territorio comprendente l’Algeria, la Tunisia e la Tripolitania. La popolazione indigena, composta principalmente da berberi, fu rapidamente convertita alla religione musulmana, ma il dominio politico degli arabi non fu bene accetto. I berberi organizzarono continue rivolte contro gli arabi;  la più famosa di queste guerriglie fu diretta da una donna, la regina Khaina, che alla fine fu catturata ed uccisa. Nonostante queste difficoltà gli arabi tennero il dominio della regione, che affidarono alle cure di governatori.

Un periodo di maggiore prosperità si verificò invece durante la dominazione marocchina. Verso il 1160, infatti, i sovrani del Marocco scacciarono gli arabi dalla Tunisia e vi stabilirono un proprio vicerè. Tunisi divenne in questo periodo la più grande città dell’Africa settentrionale, dopo il Cairo. Vi erano, come ancora oggi, molte animatissime vie coperte da tendaggi, per ripararle dal sole, i “Suks”, in ognuna delle quali esercitavano il loro mestiere determinati artigiani: profumieri, pellai, librai, orefici. La dominazione marocchina durò più di tre secoli.

Verso il secolo XI la vita nelle città marittime della Tunisia fu turbata dalla presenza di flotte dei corsari turchi; essi occupavano questi porti per farne delle basi da cui partivano per compiere incursioni sulle coste europee. Naturalmente le potenze europee reagirono a questo stato di cose e così si videro le flotte dell’imperatore  Carlo V, capitanate dal genovese Andrea Doria, scontrarsi coi pirati davanti ai porti tunisini. Lo stesso califfo tunisino si rivolse all’imperatore per ottenere protezione contro i  corsari, che erano  sostenuti dalla potenza turca. Ma fu una mossa sbagliata: indignato a vedere il proprio califfo quasi sottomesso ad un  sovrano cristiano, il popolo si sollevò in rivolta destituendolo. Di tutto questo approfittarono i turchi per occupare la Tunisia, portandovi il loro dominio (1574).

Con la venuta dei turchi il governo della Tunisia rimase affidato ad una autorità chiamata “bey” o “pascià”, che dipendeva solo formalmente dal sultano di Costantinopoli. Il regime del “bey” durò praticamente fino ai giorni  nostri.

Durante il XVI e XVII secolo  la vita della Tunisia trascorse a volte pacifica, a volte turbolenta, a seconda se al governo vi era un bey tiranno o uno benigno. Nel XIX secolo le potenze europee cominciarono ad interessarsi sempre più attivamente della Tunisia, dove molte industrie e banche europee avevano trasferito ingenti interessi.

Intanto i bey per togliere agli europei ogni pretesto di intervento, facevano il possibile per adeguare il loro paese alla moderna civiltà: venne abolita la schiavitù  ed instaurata una forma di governo costituzionale; si fecero anche delle grandiose opere pubbliche, come strade ed acquedotti, ma lo sperpero eccessivo del denaro dello stato portò la Tunisia sull’orlo della rovina economica. Ecco il pretesto che le potenze europee attendevano: anche l’Italia era interessata alle sorti della Tunisia, ma la Francia fu più pronta ad intervenire e, nel 1883, potè stabilire il proprio protettorato su questo paese.

La Francia lasciò nominalmente il governo al bey ma praticamente  aveva in Tunisia tutti i poteri.  Sotto l’amministrazione francese il paese fece grandi progressi; anche circa 100.000  emigrati italiani collaborarono a questa opera di civilizzazione (anche perché il canale di Sicilia separa l’Italia da questo paese africano con soli 140  chilometri).

Fermenti nazionalistici si erano destati nel paese fin dalla prima guerra mondiale, ma il Movimento di liberazione nazionale prese forma organizzata nel 1920 con la fondazione del “Partito del Destur” (la Costituzione) che si arenò in sterili tentativi di ottenere dalla Francia riforme e concessioni parziali. Un movimento meno incline al compromesso, il “Neo Destur” venne fondato nel 1934 da Habib Burghiba, e promosse subito agitazioni e scioperi. Le aspirazioni dei nazionalisti all’inizio furono volte soprattutto ad ottenere un governo franco-tunisino, con una  propria Costituzione.

Poi sopraggiunse la seconda guerra mondiale; il nord-Africa fu occupato dai tedeschi i quali, nell’intento di staccare definitivamente la Tunisia dalla Francia, elargirono grandi libertà d’azione al Neo Destur che, quindi, continuò la sua lotta di  liberazione. Ma quando il territorio fu riconquistato dagli Alleati, le speranze neodesturiane si spensero ed il capo Burghiba dovette riparare al Cairo.

Ma intanto il partito del Destur, pur essendo stato proibito, continuò a raccogliere proseliti, fra i quali molti intellettuali, tra l’interesse di tutta la popolazione.

Tra i problemi più gravi che la Tunisia nel dopoguerra dovette affrontare, il prioritario fu certamente quello economico in quanto, pur non potendo contare su grandi risorse, durante il periodo bellico era stata la regione più bersagliata del Nordafrica. E con i problemi economici ci furono quelli sociali: disoccupazione, bassi salari, sfruttamento della mano d’opera indigena, deficienza di energia elettrica, accrescimento demografico non seguito da un aumento della produttività agricola, né dallo sviluppo industriale.

Questi furono i maggiori motivi per cui la Tunisia dovette rimanere ancora nell’ambito dell’Unione francese. La soluzione dei problemi tunisini fu demandata alle Nazioni Unite nell’agosto 1946, ma senza esito, come fu anche delle speranze riposte in un appoggio degli  Stati Uniti. Anche la situazione degli italiani in Tunisia, sia durante che dopo la guerra, fu assai precaria. Alla caduta di Tunisi 1600 capi di famiglia italiani furono internati e costretti a vendere le loro proprietà terriere a condizioni  svantaggiose. Dopo furono espulsi e la Francia, tornata in buoni rapporti con la Tunisia, chiese all’Italia, come contropartita, la rinuncia a tutti gli accordi  già stipulati con la Convenzione del 1896.

Il problema dell’indipendenza tunisina trovò sbocco nell’estate del 1955 quando Mendes France, avuto il coraggio di prendere atto della irresistibile volontà di quel popolo, avviò trattative culminate nella dichiarazione del 20 marzo 1956 con cui   si poneva fine al protettorato. Nel luglio 1957 la Tunisia decretò ufficialmente decaduto lo stato del bey, proclamò la Repubblica e con un plebiscito popolare fu nominato primo presidente Burghiba.

Egli si rivelò subito uomo intelligente ed equilibrato ed espresse una sincera volontà di collaborazione con la  Francia e con tutto il mondo occidentale. Nel giugno 1958 ottenne il totale sgombero delle truppe francesi, meno la base di Biserta, concessa alla NATO tramite la Francia. Ma proprio a causa di Biserta, a lungo andare, i rapporti con la Francia subirono un peggioramento tanto che Burghiba, il 17 luglio 1961, in un discorso all’Assemblea Nazionale, dichiarò che in breve avrebbe accelerato il processo di decolonizzazione della Tunisia con il definitivo recupero di Biserta e la definizione del confine  al sud del paese. Il giorno dopo le truppe tunisine attaccarono quelle francesi, asserragliate nella base, ma furono respinte dopo tre giorni ed i francesi occuparono tutta la città. Il 29 settembre, grazie ad una mediazione degli Stati Uniti, si arrivò ad un accordo col quale si intimava ai francesi di lasciare  Biserta e di ritornare nella base aerea. E mentre la Tunisia mantenne sempre buoni rapporti con gli altri paesi arabi dell’occidente, il Marocco e la Libia, con l’Egitto invece ebbe vari dissidi in quanto Burghiba fu accusato di defezione alla causa araba.

Nel giugno 1962 la base di Biserta fu restituita alla Tunisia e per un po’ di tempo le cose andarono abbastanza bene. Ma poi dissidi ritornarono quando nel maggio 1963, dopo una deliberazione di restituzione di parte delle terre tunisine ancora in mano ai francesi, l’Assemblea Nazionale invece stabilì l’esproprio di tutti i possedimenti stranieri. L’Assemblea intese così introdurre in campo agricolo quel sistema che si chiamò “socialismo tunisino”, cambiò il nome al partito unico che divenne il “Partito Socialista Desturiano” ed istituì un socialismo di stato, però prudente, per non scoraggiare l’impresa privata.

Burghiba continuò ad applicare una politica moderata e ciò sollecitò gli investimenti stranieri,  particolarmente occidentali, ed anche con l’oriente furono possibili contatti tanto che nel 1964 furono fissate le relazioni diplomatiche con la Cina popolare.

Questo atteggiamento però creò molti dissidi con gli altri paesi arabi, specialmente con l’Egitto, in seguito alla decisione della Lega Araba di rompere le relazioni con la Repubblica Federale  di Germania; decisione non condivisa. I rapporti con l’Egitto poi si allentarono allo scoppio della guerra arabo-israeliana del 1967. L’anno dopo invece ebbe una dura polemica con la Siria e qualche attrito con l’Algeria  per reciproche accuse di ingerenza negli affari interni. Ma in linea di massima la Tunisia espresse sempre la sua solidarietà a tutti i paesi arabi.

All’interno le cose non andavano come desiderato e gli esperimenti di collettivizzazione in campo agricolo fallirono tutti, cosicchè nel settembre 1969 il Ministro delle Finanze e della  Pianificazione, Ahmad Ben  Salah, fu esautorato,  ma passò al  Ministero dell’Istruzione. Da qui pure fu estromesso nel novembre dello stesso anno, processato e condannato ai lavori forzati (nel febbraio 1973 riuscì a fuggire ed a rifugiarsi in Europa).

Nel frattempo sorse un altro problema, quello della successione di Burghiba, seriamente ammalato, e dopo diverse discussioni si finì per riconoscere valido un progetto presentato dallo stesso  Burghiba, e cioè quello di poter eleggere lui stesso il suo successore. Nel 1974 l’Assemblea Nazionale, apportando una modifica alla Costituzione, consentì la nomina a Presidente a Vita a Burghiba.

Dal  1976 al 1978 si registrarono peggioramenti nei rapporti con la Libia e con l’Algeria e nel paese si ebbe uno sciopero generale, indetto dalla “Union Generale des Travailleurs Tunisiens”, con grandi disordini, nel gennaio 1978, per arginare il quale fu proclamato lo stato d’assedio e furono imbastiti diversi processi ai sindacalisti che lo avevano decretato. Nel giugno 1978 gli oppositori di Burghiba fondarono un partito politico che si chiamò “Movimento dei Socialisti Democratici”. Nel 1980 fu eletto primo ministro Muhamad Al-Mzali che decise subito una politica di apertura consentendo il pluripartitismo. Il Partito Comunista Tunisino fu ufficialmente riconosciuto ed analoga cosa si promise per quei partiti che alle successive elezioni avessero superato il 5% dei voti. Nelle elezioni del novembre 1981 ebbe una schiacciante vittoria il Fronte Nazionale, coalizione del partito socialista desturiano con l’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini. Invece non raggiunsero il 5% il “Movimento dei Democratici Socialisti” ed il “Movimento di Unità Popolare” che vennero ufficialmente riconosciuti solo nel 1983.

Nel 1984  ricominciarono le sollevazioni popolari a causa di una forte crisi economica. Nell’intento di arginare il sempre crescente scontento popolare, nel governo si operarono dei rimpasti che videro nell’aprile del 1986 eletto a premier Rasid Sfar e ministro dell’interno Zayn al-Abidin Ben Alì.

Ma i principali oppositori di Burghiba furono i proseliti del  “Movimento della Tendenza Islamica”. Ciò causò un lungo periodo di difficili relazioni con l’Iran ritenuta responsabile di tutti gli eccessi operati da quel movimento.

Nel 1987 si registrò un cambio della guardia nelle alte sfere  governative poiché Burghiba depose il premier Sfar e lo sostituì con Ben Alì il quale, dopo un insanabile attrito col  vecchio presidente, decretò la sua deposizione.

Nel 1989, appena eletto presidente, Ben Alì  iniziò subito un vasto lavoro di riforme. Per prima cosa abolì l’elezione a vita del presidente della repubblica e portò a 5 anni la carica; all’insegna della tolleranza promosse amnistie e aperture verso gli oppositori liberando 5000 persone, imprigionate dal passato regime, alle quali restituì tutti i loro diritti. Alla fine di quello stesso anno respinse  la richiesta di ufficializzare il Movimento di Tendenza Islamica e ciò provocò una violenta protesta specialmente nelle Università, veri covi dei fondamentalisti islamici.

In politica estera Ben Alì mantenne buoni rapporti sia  con l’occidente che con gli stati arabi, coi quali avviò una stretta collaborazione, specialmente con la Libia.

In occasione dell’invasione del Kuwait nel 1990 condannò l’Iraq ma deplorò anche l’intervento della forza multinazionale guidata dagli  Stati Uniti. Poi approvò anche la delibera delle Nazioni Unite per l’imposizione dell’embargo economico all’Iraq. Tutto questo provocò disordini nel paese da parte degli islamici ed ancora di più l’anno dopo al momento della Guerra del Golfo.

Poi annunciò alcune modifiche alla legge elettorale allo scopo di garantire una più larga rappresentanza a tutti i partiti minori e, nel marzo 1994, le elezioni politiche che si svolsero insieme a quelle presidenziali, videro Ben Alì riconfermato nella carica di Presidente della Repubblica.
 
Egli, allo scopo di dare una impronta fortemente personalizzata al regime, si macchiò di continuo di violazione dei diritti umani. La sua polizia opprimeva  con i suoi controlli politici la popolazione inerme, arrestando e perseguitando intellettuali ed attivisti progressisti. Molte organizzazioni umanitarie internazionali, fra cui Amnesty, denunciarono fra il 1995 ed il 1997 questo stato di cose in Tunisia.

Conclusasi la Guerra del Golfo, Ben Alì, dopo avere ottenuto vari positivi risultati in campo economico e sociale, si dedicò alla diplomazia e volle incrementare i suoi rapporti con l’Unione Europea. Poi, quando si iniziò il processo di distensione nel Medio Oriente, ed il quartiere generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina si spostò da Tunisi a Gaza, Ben Alì potè dare inizio anche alla normalizzazione delle relazioni con lo stato di Israele.

Per la fine del 1999 furono indette nuove elezioni presidenziali e Ben  Alì per la terza volta fu presidente e le legislative furono  appannaggio del suo partito che ottenne una strepitosa maggioranza.