Storia
Nella seconda metà del ‘500 iniziò la colonizzazione dell'America
Settentrionale.
I primi a sbarcare furono gli spagnoli
e i francesi che conquistarono subito vastissimi territori. Di seguito
arrivarono gli olandesi che fondarono la città Nuova Amsterdam (poi
New York), in una baia dell’Oceano Atlantico. Per ultimi arrivarono gli
inglesi che fondarono molte colonie lungo tutta la costa atlantica. I primi
fra loro furono 89 uomini e 17 donne che si stabilirono in Virginia nel
1585.
Negli anni seguenti ci furono altre isolate spedizioni ma solo dopo il 1600 l’afflusso fu molto più nutrito in quanto molti cittadini, perseguitati religiosi, abbandonarono l’Inghilterra; fra questi i famosi protestanti “Padri Pellegrini”, nel 1620, fondarono la colonia del Massachussetts. Avevano affrontato un viaggio assai periglioso, sbattuti continuamente dalle onde, su un vecchio veliero, il “Mayflower”.
Nel 1632 un gruppo di cattolici fondò la colonia del Maryland e nel 1681 un gruppo di protestanti quaccheri fondarono quella della Pennsylvania.
Negli anni seguenti i discendenti di questi pionieri occuparono gli altri territori: il Connecticut, il New Hampshire, il Rhode Island fino ad arrivare al numero di tredici colonie. Queste furono sotto il diretto dominio del re d’Inghilterra che provvedeva alla nomina dei vari governatori ed all’invio di truppe per i presidi.
Nel 1664 gli inglesi strapparono agli olandesi la città di Nuova
Amsterdam e la chiamarono New York.
I rapporti fra le colonie e la madre patria si mantennero buoni fino
al 1763 quando con la pace di Parigi la Francia cedette tutti i suoi possedimenti
americani all’Inghilterra. Ebbe così inizio il malcontento che divenne
rivolta aperta quando l’Inghilterra, per rifarsi delle spese di guerra
sostenute, impose dure tasse ai coloni d’America.
Nella notte del 16 dicembre 1773 alcuni uomini travestiti da indiani
salirono a bordo di tre navi inglesi ancorate nel porto di Boston. Dopo
aver immobilizzato gli equipaggi, cominciarono a buttare a mare tutte le
casse ammucchiate sulle tolde. Erano piene di tè. L’operazione continuò
finché tutte le casse non si trovarono in mare.
Questa spedizione punitiva, organizzata da alcuni giovani di Boston,
era una protesta contro l’Inghilterra che aveva imposto alle sue colonie
d’America una nuova tassa sul tè. Ma questa non fu la sola rivolta;
in quegli anni tante altre se ne verificarono.
Intanto l’Inghilterra, per punire i coloni ribelli, aveva inviato numerosi soldati. I delegati dei 13 stati, riunitisi a Filadelfia nel 1774, decisero di formare un loro esercito e ne affidarono il comando a George Washington. E mentre l’esercito combatteva, i delegati si riunirono ancora a Filadelfia, il 4 luglio 1776, e votarono la “Dichiarazione d‘Indipendenza”.
Le colonie assunsero il nome di “Stati Uniti d’America" e adottarono
una bandiera formata da 13 strisce bianche e rosse e tredici stelle bianche
su fondo azzurro. Ogni stella e ogni striscia rappresentava una colonia.
La capitale fu Filadelfia. I tredici stati originari furono:
- New Hampshire
- Massachusetts
- Rhode Island
- Connecticut
- New York
- New Jersey
- Pennsylvania
- Delaware
- Maryland
- Virginia
- North Carolina
- South Carolina
- Georgia
E mentre il generale Washington conduceva vittoriosamente la guerra, un altro grande americano, Benjamin Franklin chiedeva ed otteneva aiuti in tutta l’Europa.
Due furono le più brillanti e decisive vittorie americane: quella
di Saratoga del 1777 e quella di Yorktown del 1781.
Nel 1783 l’Inghilterra riconobbe l’indipendenza delle colonie e gli
americani elaborarono la loro Costituzione che si rese operante nel 1790.
Il primo presidente fu George Washington.
Ormai indipendenti, gli Stati Uniti iniziarono la loro espansione interna. Nel l803 acquistarono da Napoleone la Louisiana, dal Messico il Texas e dalla Spagna la Florida. Quindi continuarono la loro marcia verso il “Far West”, ossia il lontano occidente, strappando agli indiani via via le terre che invadevano, finché raggiunsero e occuparono la California. Ogni volta che un nuovo territorio veniva annesso, sulla bandiera si aggiungeva una stella.
Si giunse così, di conquista in conquista, al 1861 quando alcuni stati del sud si ribellarono alla Unione provocando una guerra civile che durò fino al 1865.
Già nel 1857, però, c’erano state le prime avvisaglie di malcontento nel sud perché troppo vasta era la supremazia del nord in tutti i settori dell’economia.
Poi nel dicembre l860 la Carolina del Sud si era ribellata al governo centrale dell’Unione dichiarandosi indipendente. Nel gennaio 1861 la seguirono la Louisiana, il Mississippi, la Florida, l’Alabama, la Georgia ed il Texas. Essi fondarono la Confederazione degli Stati del Sud con un proprio presidente. Varie, comunque, furono le cause che decretarono questo nuovo stato di cose; certamente la diversa ricchezza del nord che da sola era sufficiente a creare rivalità fra le due popolazioni. Il nord era fortemente industrializzato mentre il sud viveva quasi esclusivamente sulle sue piantagioni di cotone. Il nord, per estendere le sue piantagioni, si era spinto notevolmente al sud ma l’introito che derivava dalle colture andava completamente al nord. Qui, infatti, c’erano le ferrovie, i porti di imbarco per le merci, le banche che comperavano a basso prezzo interi raccolti e le industrie che lavoravano la materia prima. Inoltre gli Stati del Sud, che erano quasi completamente agricoli, erano costretti a comprare al nord tutti i prodotti industriali, portando lì sempre maggiore ricchezza.
A questo stato di cose si dovette aggiungere, proprio in quegli anni, l’abolizione della schiavitù. Gli schiavi negri nel sud rappresentavano la totalità della mano d’opera perché nessun bianco poteva resistere al caldo tropicale ed alle fatiche immense delle piantagioni di cotone. I piantatori del sud erano costretti a comprare schiavi negri per la loro produzione e questi nel sud erano ormai quasi 4 milioni mentre al nord se ne contavano pochissimi.
Quando il neo presidente eletto Abramo Lincoln decretò la abolizione della schiavitù, gli Stati del Sud, sentendosi minacciati nella loro unica risorsa per vivere, si ribellarono e dichiarando la loro indipendenza, diedero il via alla Guerra di Secessione.
I Confederati ammainarono la bandiera dell’Unione e la stessa cosa fu ordinata a tutte le caserme e a tutti i presidi militari. E tutti ubbidirono meno uno: la guarnigione di Fort Sumter non obbedì. Le truppe della Confederazione assediarono il Forte col convincimento che in breve ci sarebbe stata la sua capitolazione. Invece il Fort Sumter resistette ed allora le truppe confederate lo bombardarono con l’artiglieria da campagna. Questo fatto innescò la guerra.
Gli Stati Uniti d’America si divisero in due grandi fazioni contrapposte:
da una parte tutti gli Stati del Nord, presidente
A. Lincoln, ed alcuni del sud rimasti fedeli all’Unione. Un totale
di 23 stati con una popolazione di circa 22 milioni di abitanti. Dall’altra
parte i primi Stati del Sud, presidente Jefferson Davis, capitale Richmond,
ai quali poi si unirono anche la Virginia, l’Arkansas, la North Carolina
ed il Tennessee, per un totale di 11 stati con 9 milioni di abitanti.
Quindi il nord aveva la preponderanza del numero degli uomini, comandati dai generali Ulisses Grant e William Sherman, oltre che la ricchezza dei mezzi di ogni tipo, mentre il sud aveva un esercito ben addestrato al comando di un valorosissimo capo supremo: il generale Robert E. Lee.
Questa guerra si svolse soprattutto negli stati della costa orientale,
sul mare e nella vallata del Mississippi.
Gli Stati dell’Unione ebbero una netta prevalenza poiché disponevano
di una attrezzatissima flotta con la quale presidiavano tutti i porti,
chiudendo così il passaggio alle navi provenienti dall’Europa cariche
di armi e di aiuti ed impedendo ai carichi di cotone di partire per altri
mercati.
I combattimenti di terra ebbero fasi alterne: nei primi 2 anni la grande
perizia del generale Lee regalò ai sudisti non pochi successi.
Ma alla fine del 1862 anche i nordisti, magistralmente capeggiati dal
generale Grant, respinsero in più occasioni i sudisti.
Nel 1863 si verificarono le più importanti vittorie dei nordisti;
con le forze unite dei due generali, Grant e Sherman, ci furono episodi
importanti come l’occupazione del vitale nodo ferroviario di Vicksburg,
la vittoria di Chattanooga e la resa di Atlanta, la capitale della Georgia.
Per tutto il 1864 si combatté con alterne vicende ma con maggior
fortuna per i nordisti.
Agli inizi del l865 la Confederazione degli Stati del Sud era ridotta a tre soli stati: le due Caroline e la Virginia, in primavera i nordisti attaccarono la capitale della Confederazione, Richmond, che fu conquistata dal generale Grant il 3 aprile. Il generale .Lee ritiratosi con pochi superstiti in un villaggio presso Richmond oppose una ulteriore strenua resistenza ma, accerchiato da ogni lato, dovette arrendersi: era il 9 aprile 1865. La Guerra di Secessione Americana era finita.
Per quattro anni gli Stati Uniti furono devastati dai due eserciti: numerose furono le vittime umane ed ingenti i danni economici, provocati da questa guerra civile. Che ebbe in più un altro luttuoso epilogo. Pochi giorni dopo la fine della guerra, il 14 aprile 1865, durante una rappresentazione teatrale, Abramo Lincoln fu ucciso dall’artista fanatico sudista John Booth, che il 26 aprile fu fucilato. Lincoln fu uno degli uomini più popolari degli Stati Uniti; colui che aveva saputo portare alla vittoria gli Stati dell’unione e che aveva decretato l’abolizione della schiavitù in tutti gli stati americani, liberandoli da una delle peggiori vergogne dell’umanità.
Tornata la pace, gli Stati Uniti continuarono il loro progresso. Nei
vastissimi territori l’agricoltura dava prodotti abbondantissimi; si scoprirono
miniere e giacimenti di ogni specie; ovunque sorgevano fabbriche e stabilimenti
industriali.
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 milioni di Europei lasciarono
le loro terre per cercare fortuna in America, dove c’era lavoro per tutti.
Intanto altri territori venivano annessi all’Unione, aumentando così il numero delle stelle sulla bandiera: l’Alaska fu acquistata dalla Russia e poi si unirono alcune isole del Pacifico, le Hawaii, occupate nel 1892. Nel 1898, sconfitta la Spagna, gli S.U. ebbero Cuba alla quale riconobbero l’indipendenza nel 1902. Due anni dopo, nel 1904 gli S.U. presero possesso del Canale di Panama, pagando 200 milioni di dollari alla omonima società.
Nel 1914 veniva eletto presidente Tommaso Woodrow Wilson; ventottesimo ad assumere questo incarico, professore di diritto e rettore della Università di Princetown. Egli favorì l’intervento degli S.U. nella I^ Guerra Mondiale. Alla fine della guerra, la sua opera per il ristabilimento della pace non uscì dal limite ideologico, cioè dalla formulazione dei noti 14 punti della Costituzione (primi fra tutti: nazionalità, autodeterminazione dei popoli, libertà dei mari, sicurezza collettiva). Ideò la Società delle Nazioni. Si ritirò da Versailles prima che fosse firmato il 1° Trattato di Pace fra tutti gli alleati (meno gli S.U. d’America) e la Germania. Il Senato americano non volle sanzionare il Trattato di Versailles, né aderire alla Società delle Nazioni.
Nel 1914 gli S.U. avevano avuto un conflitto anche con gli Stati Uniti del Messico ed avevano occupato Vera Cruz. Nel 1916 il conflitto si concluse.
Ma per tornare alla I^ Guerra Mondiale, gli Stati Uniti avevano inviato materiali e uomini in tale quantità, da accelerare la sua fine. Tutto ciò anche sperando di godere poi i frutti della vittoria. Così non fu a causa di errori diplomatici che il presidente Wilson non era stato in grado di controllare. Da qui il suo abbandono del tavolo delle trattative. Poi gli Stati Uniti trattarono paci separate con la Germania e l’Ungheria ed altri stati europei. Non attribuirono neppure soverchia importanza alla Società delle Nazioni, anche se costituita da Wilson, e nel 1921, il neo eletto presidente W.G. Harding, ritrovò l’intesa con l’Europa e l'Asia convocando (1921-1922) la Conferenza per il Disarmo.
In seguito però gli S.U. rinunciarono ad ogni diretta politica
di collaborazione europea.
Il 2 agosto 1923 morì improvvisamente Harding; fu eletto presidente
Calvino Coolidge il 4 marzo 1925; egli intensificò questo isolamento,
che venne poi mantenuto dal successivo presidente Herbert Hoover (39°)
in carica dal 1929 al 1933. Il 40° presidente Franklin Delano Roosvelt
invece, volle recuperare i mercati stranieri; iniziò quindi una
politica di rinascita dell’economia nazionale avviando la politica della
“Casa Bianca” nella stessa direzione di quella della Gran Bretagna, per
sviluppare gli interessi anglosassoni nel mondo, collegando ad essi l’influenza
statunitense.
Roosevelt ripropose per tre volte la sua candidatura: nel 1936, nel
1940 e nel 1944.
Nell’arco dell’anno 1937 egli tentò invano di ottenere alcune
riforme della Corte Suprema; favorì l’organizzazione dei sindacati
operai che progredirono in breve tempo fino a poter stipulare con
le principali società industriali i contratti collettivi sui notevoli
miglioramenti dei salari.
Per ciò che riguarda le questioni internazionali, riuscì a far modificare una legge da provvisoria a definitiva circa l’embargo di armi e materiali vari a paesi belligeranti. Ed infatti questa legge fu applicata subito in occasione della guerra civile in Spagna.
Per le relazioni con le altre potenze americane sviluppò sempre la politica di “buon vicinato”, mentre per quelle con gli stati europei, avendo manifestato in più di una occasione la sua ostilità verso i regimi dittatoriali, sotto la sua terza presidenza gli S. U. entrarono nella 2^ Guerra Mondiale contro il Tripartito, nonostante le leggi di neutralità allora vigenti.
A spingere gli S.U. verso la guerra fu l’attacco che i giapponesi portarono all’improvviso, il 7 dicembre 1941, a Pearl Harbor, e le immediate susseguenti dichiarazioni di guerra dalla Germania e dall’Italia.
Gli Stati Uniti ebbero moltissime vittime in quella guerra più di quelle francesi ed italiane messe insieme. E se il numero dei morti fu, anche se alto, abbastanza limitato, lo si ebbe per merito della penicillina, del plasma e di altri ritrovati della scienza medica.
La popolazione di tutti gli stati si trovò solidale col governo;
i giovani non contestarono il richiamo alle armi e le donne furono arruolate
in reparti ausiliari che tanto aiutarono pure nelle zone di operazione.
Gli americani subirono in silenzio le restrizioni necessarie, anche
se, per onore della verità, esse non furono così drastiche
come quelle europee.
Furono anni di lotte e dissidi interni fra isolazionisti nazionalisti ed i sostenitori di Roosevelt e quando questi morì improvvisamente nell’aprile del 1945, il governo passò ad Harry S. Truman, che ereditò quindi la crisi risolutiva della guerra. La capitolazione della Germania, avvenuta dopo quella italiana di molto tempo prima, non fu seguita da quella giapponese la cui resistenza poté essere spezzata solo con la bomba atomica.
Subito Truman fece portare a compimento numerosi piani per gli aiuti
all’Europa e moltissimi fondi furono stanziati per la ricostruzione dei
paesi liberati.
In politica estera, il concetto tanto diverso di democrazia fra i marxisti
e gli occidentali democratici, procurò molti conflitti fra S.U.
e URSS. Per impedire che i comunisti, dopo essersi imposti nei paesi dell’est
europeo, si allargassero fino alla Grecia ed alla Turchia, il generale
G.C. Marshall ispirò un piano, che da lui prese nome, atto a portare
congrui aiuti in quei due stati.
Le elezioni presidenziali del 2 novembre 1948 videro la conferma di
Harry Truman che continuò la politica intrapresa.
Il generale Marshall, da tempo malato, si dimise e fu sostituito da
Dean Acheson che portò avanti la struttura del “Piano”e condusse
con impegno anche le trattative per il Patto Atlantico, firmato a Washington
il 4 aprile 1949.
Intanto nel febbraio 1949, a causa di una persistente tensione internazionale, era stato richiamato come “presidente temporaneo delle forze armate il generale Dwight Eisenhower, l’artefice del famoso sbarco in Normandia, con conseguente liberazione della Francia dai tedeschi.
La politica economica di Truman andò avanti fra vittorie e sconfitte ma riuscì ad ottenere che gli aiuti americani si distribuissero non solo ai paesi in via di ricostruzione ma anche a quelli sottosviluppati in modo che la trasformazione più rapida delle loro economie fosse arma indispensabile per la lotta anticomunista.
Questo accrebbe la sua importanza allorché fu noto che anche
l’URSS era in possesso di armi atomiche, togliendo l’esclusiva agli S.U..
Ciò provocò uno stato di allarme nell’opinione pubblica americana
che incominciò a vedere simpatizzanti comunisti anche fra i membri
governativi, imbastendo pure dei processi per spionaggio che non avevano
assolutamente ragione di esistere. E così, quando il 27 giugno del
1950 le truppe comuniste del nord della Corea invasero la parte meridionale,
che da poco gli americani avevano evacuato, Truman spedì immediatamente
forze armate statunitensi, comandate dal generale D.MacArthur.
I nordcoreani ebbero notevoli aiuti dai comunisti cinesi e per dirimere
la controversia con duri sforzi, all’inizio del 1951, fu stabilita una
linea di confine fra i due territori, poco più a nord di quello
precedente.
Comunque fu rafforzato il sistema politico militare degli S.U. per essere in grado di fronteggiare eventuali mosse dei comunisti che intanto all’interno erano stati dichiarati fuori legge.
Nel settembre 1951 fu firmata la definitiva pace col Giappone; si stipularono accordi con l’Australia e la Nuova Zelanda, e nell’agosto 1952 la Germania fu ammessa alla NATO. Ed intanto gli S.U. furono in grado di fabbricare una bomba più potente di quella atomica, e cioè la “bomba H”.
Nel 1952 fu concessa a Portorico ampia autonomia considerato pure che già nel 1950 elementi portoricani avevano portato avanti un attentato a Truman.
Nelle elezioni presidenziali del 1952 risultò eletto il generale
Dwight D. Eisenhower, candidato del partito repubblicano.
Il neo eletto non portò sostanziali variazioni alla politica
del suo predecessore. Continuò però la già praticata
pulizia dei corrotti e dei comunisti. Nel 1953 si celebrò un processo
che ebbe vasta risonanza in tutto il mondo. Riguardò una coppia
di coniugi Ethel e Julius Rosemberg, che furono condannati a morte per
spionaggio e poi giustiziati. Con l’occasione, fu introdotta in forma definitiva
la condanna a morte anche per lo spionaggio operato in tempo di pace (1954).
La politica estera elaborata dall’allora Segretario di Stato John Foster Dulles fu tesa non solo a contenere l’espansionismo comunista ma, ove possibile, a farlo regredire. E, comunque, questo problema venne ridimensionato alla morte di Stalin. Fu raggiunta la pace in Corea, si attenuò la guerra fredda, si ebbe una pacifica coesistenza fra regimi comunisti e capitalisti e, cosa molto importante, con la Conferenza di Ginevra del luglio 1954 si giunse ad una tregua nel Vietnam, dove da tempo sanguinose lotte avvenivano fra le forze comuniste ed i francesi.
Nella Conferenza di Ginevra dell'anno successivo Eisenhower propose il graduale disarmo reciproco, naturalmente sotto il controllo di enti preposti, ma i sovietici sollevarono difficoltà tali che un accordo non fu raggiunto. Quindi tra S.U. e URSS continuò la guerra missilistica e, fortunatamente, nello stesso tempo si allontanò l’incubo di una guerra.
Nel 1956 due avvenimenti importanti richiesero l’intervento di Eisenhower:
la tentata sanguinosa rivoluzione in Ungheria, domata dall’URSS e la crisi
di Suez che vide l’invasione della penisola del Sinai da parte delle forze
franco-anglo-israeliane.
Nel primo caso egli dovette limitarsi a deplorare a parole il feroce
intervento sovietico; nel secondo con una certa energia impose il ritiro
dalla zona da parte degli anglo-francesi.
All’interno degli S.U. l’economia andò sempre più a grandi
passi e specialmente l’industrializzazione del nord-ovest cominciò
a creare dei problemi tra bianchi e neri.
Questi ultimi intrapresero vasti spostamenti in massa dal sud per cercare
altrove un collocamento lavorativo più adatto ai tempi.
La popolarità di Eisenhower conobbe un ribasso quando l’URSS lanciò nello spazio, per prima, un satellite artificiale, lo “Sputnik” nel 1957, anche se poi nel 1958 pure gli S.U. poterono a loro volta lanciare gli “Explorer” e i “Vanguard”.
Nel 1959 altri due stati furono annessi: l’Alaska e le Isole Hawaii.
Nel sud la segregazione dei neri era alla base di episodi di violenza.
Per la soluzione sorse in tutta la sua umanità la figura di un pastore
battista negro, Martin Luther King, che cercò con l’applicazione
della non violenza, alla maniera di Gandhi, boicottare i mezzi pubblici
di trasporto sui quali era tassativamente proibito ai negri di salire.
Ai negri era proibito anche frequentare scuole pubbliche e quando Eisenhower
fece intervenire truppe federali per togliere questo veto, le autorità
locali escogitarono la chiusura delle scuole pubbliche e la parallela apertura
delle scuole private che, ovviamente, non potevano essere frequentate dagli
indigenti negri a causa del loro elevato costo. Ed inoltre i negri non
erano ammessi al voto, specie in quegli stati del sud dove con la loro
schiacciante maggioranza avrebbero potuto dare una impronta politica assai
diversa da quella vigente. Si impediva ai negri di votare in quanto era
richiesto un certo grado di cultura che essi non potevano vantare. Eisenhower
non ebbe nemmeno in quella circostanza vita facile ed anche lo stesso King
ebbe a subire angherie e discriminazioni, specialmente a New Orleans, cioè
in quello che era considerato il cuore del “profondo sud”.
Nel 1960 ancora preoccupazioni per gli S.U. ad opera di Fidel Castro, capo indiscusso della Rivoluzione Cubana, che assurto al governo dopo la cacciata di Batista, espropriò ingenti proprietà immobiliari americane. Poi con le dichiarate simpatìe verso l’URSS, ed accusando gli S.U. di voler egemonizzare tutta l’America Latina, tentò di introdurre in tutti questi stati il suo stesso movimento rivoluzionario.
Le elezioni del 1960 ebbero due candidati giovani ed energici: per i repubblicani Richard Nixon, per i democratici John Fitzgerald Kennedy.
Il primo cercò di ottenere il voto anche dei liberali ed asserì che era necessario continuare a fronteggiare la potenza URSS sul piano strettamente militare, esaltando il prestigio ed il benessere raggiunti dagli S.U..
Il secondo invece sosteneva che il miglior sistema di fronteggiare l’URSS era quello economico-sociale, atto a debellare la miseria nel mondo e cercando di porre fine alla guerra fredda.
Ma Kennedy aveva un fattore personale in più rispetto a Nixon: era cattolico ed il fatto che nessun cattolico era stato eletto fino ad allora presidente degli S.U., suonò per l’elettorato come un incentivo per ottenere dei particolari risultati. Kennedy fu eletto ma non con la stragrande maggioranza che ci si poteva aspettare. Nixon risultò sconfitto ma con un minimo scarto di voti (circa 300.000).
Si ebbe subito un sostanziale cambio di tendenza nella politica economica del paese; mentre Eisenhower si era attorniato di tutti collaboratori scelti fra i grandi industriali, ottenendo quindi immediati risultati in tutti i settori della produzione, Kennedy scelse i suoi collaboratori maggiormente fra gli intellettuali progressisti. Ebbe partita vinta con i magnati dell’acciaio che volevano ad ogni costo aumentare i prezzi: aumentò le spese del governo federale espandendo il commercio estero ed ottenne un aumento della produzione nazionale senza l’applicazione di un corrispondente aumento dei prezzi.
La disoccupazione cominciò a diffondersi superando il 5% della
forza lavoro.
Per la politica estera, volendo combattere con ogni mezzo l’espansione
del comunismo nel mondo, andò incontro allo smacco della Baia dei
Porci a Cuba quando nell’aprile 1961 un gruppo di esuli cubani, con l’aiuto
dei servizi segreti americani, tentò uno sbarco a Cuba per rovesciare
il governo di Castro.
Ancora un tragico avvenimento doveva rivolgersi a suo discapito: il
suo diretto impegno nella guerra del Vietnam.
Nell’agosto del 1961 si fece promotore nell’America del Sud, dell’Alleanza
per il Progresso che si riunì a Punta del Este, in Uruguay, dove
egli si impegnò a versare in un decennio 20 miliardi di dollari
per portare a compimento un piano di ricostruzione. In cambio però
chiese l’espulsione del regime castrista dall’OAS. Il risultato fu che
Cuba allacciò rapporti ancora più stretti con l’URSS.
A quel punto Kennedy, anziché invadere il territorio o bombardare le rampe missilistiche installate a Cuba, preferì mettere in “quarantena” l’isola creando un blocco navale per dare modo specialmente a Kruscev di riflettere sulla troppo precaria situazione. E nel dicembre 1962, sopraggiunta una crisi fra Cuba e l’URSS, quest’ultima fu costretta a smantellare tutte le basi missilistiche e lasciare definitivamente la zona dei Caraibi.
Nell’agosto del 1963 venne firmato a Mosca un accordo per la parziale sospensione degli esperimenti nucleari, “Patto della Non-Proliferazione”. Ma dopo circa tre mesi, durante una sua visita ufficiale a Dallas nel Texas, il presidente Kennedy fu ucciso da certo Oswald, non meglio etichettato “anarchico”, provocando una fortissima emozione in tutto il mondo e troncando sul nascere quella politica di distensione tanto desiderata e richiesta persino dall’allora Papa, Giovanni XXIII.
Gli successe il texano vice-presidente Lindon B. Johnson, uomo abile specialmente in seno alle Commissioni del Congresso. Già nel febbraio 1964 egli ottenne l’approvazione di una riduzione delle tasse di dieci miliardi di dollari creando quindi un notevole aumento della produzione ed una maggiore capacità di acquisto dei consumatori .In poco tempo ridusse la fascia dei poveri del paese dal 22% all’11%.
Negli anni 1964/65 con il motto “Grande Società”, sostenendo essere l’istruzione il veicolo più importante per raggiungere il progresso ed il benessere, elargì grandi sovvenzioni alle scuole di ogni grado. Quando si tennero le elezioni presidenziali sempre nel 1964, Johnson ebbe il 60% dei voti, sconfiggendo il candidato repubblicano B. Goldwater. A questa maggioranza non si unì l’Arizona e nemmeno i 5 stati del sud dove l’elemento razziale era sempre preponderante. Ed anche le Camere registrarono l’aumento di elementi a lui favorevoli preparando un programma di riforme politiche e sociali che difficilmente sarebbe potuto essere boicottato.
Poi riuscì ad istituire l’assistenza sanitaria gratuita per gli
anziani ed i sostegni finanziari per le scuole elementari dei ragazzi poveri.
Purtroppo, però, l’inflazione, che già galoppava in periodo
precedente, conobbe una impennata, anche per il continuo impegno assunto
nel Vietnam, che procurò grandi spaccature nell’opinione pubblica
americana e tolse a molti paesi nel mondo una buona parte delle simpatie
per l’America.
Mezzo milione di vittime si ebbero in quella disastrosa guerra ed i costi erano alle stelle. Da più parti si levarono richieste di chiudere definitivamente ed all’inizio del 1968 Johnson annunciò che avrebbe lasciato alle truppe del Sud Vietnam l’onere dell’impresa ed avrebbe iniziato il graduale ritiro delle truppe statunitensi.Anche all’interno delle Università americane si erano avute contestazioni studentesche, appoggiate pure dai docenti. Una vergognosa pagina della storia degli S.U. veniva consegnata ai posteri ed anche i colloqui a Parigi con i rappresentanti nord-vietnamiti contribuirono a mettere in maggiore evidenza lo smacco subìto da quella che a ragione può considerarsi la più grande potenza del mondo.
Ma intanto un’altra piaga, quella del razzismo, andò sempre crescendo. Ovunque esplosioni di razzismo portarono morti e feriti in quantità. Tra gli avvenimenti più indicativi per la crescita della loro coscienza, i negri americani notarono quelli che portarono la fine del colonialismo nei vari stati africani. Capirono di non essere una minoranza abbandonata a se stessa e si organizzarono anche sotto la guida violenta di alcuni capi assurti alla notorietà, come ad esempio Malcom X. che pubblicò una sua biografia rivelatasi molto fortunata fra i lettori della sua razza.
E purtroppo in una esplosione di violenza razzista dovette soccombere anche quel personaggio carismatico che aveva fatto della “non violenza” la sua bandiera. Martin Luther King veniva assassinato da un razzista bianco a Memphis nel Tennessee il 4 aprile 1968.
Sempre nel 1968, mentre era in corso la sua candidatura alle elezioni
presidenziali, Robert Kennedy, fratello del presidente assassinato, fu
ucciso anche lui a Los Angeles da un emigrato giordano.
Le elezioni furono vinte dal repubblicano Richard Nixon che superò
l’ultraconservatore, suo compagno di partito Ronald Reagan, allora governatore
della California, con un passato di attore cinematografico.
Nixon fu costretto ad adottare una politica prudente poichè
la sua vittoria non era stata plebiscitaria e nelle Camere la rappresentanza
maggiore era quella dei democratici.
Difficili compiti doveva risolvere subito, come la questione vietnamita,
con l’intento di recuperare almeno la faccia, o come l’istituzione di un
addestramento professionale che consentisse ai giovani un più facile
inserimento nella economia del paese.
Nel 1972 molte questioni erano ancora sul tappeto senza che una possibile
soluzione si verificasse.
La politica di Nixon fallì a causa della crescente inflazione dovuta agli esorbitanti costi della guerra in Vietnam. Egli operò tagli nel bilancio federale, restrizioni monetarie alle banche di emissione, aumento dei tassi di interessi che portarono molte difficoltà agli investitori e forti ribassi in borsa che fecero progredire i fallimenti, alcuni dei quali furono sensazionali. I prezzi e la disoccupazione aumentarono e così fecero anche le importazioni sulle esportazioni, per la prima volta dopo 80 anni.
Con altre sfortunate operazioni economiche spianò la strada alla svalutazione del dollaro, cosa che procurò grave allarme sia in Europa che in Giappone.
In politica estera Nixon ebbe maggior fortuna, coadiuvato da un abilissimo
Ministro degli Esteri, quale appunto fu Harry Kissinger.
Nixon intraprese dei viaggi diplomatici fra cui quello del febbraio
1972 in Cina, dopo che alcuni mesi prima gli S.U. avevano dichiarato di
non essere più contro l’ingresso della Cina nell’ONU. Anche il viaggio
a Mosca del maggio dello stesso anno, portò un miglioramento tra
i rapporti USA e URSS, specialmente nell’annosa questione di Berlino, che
alla fine della guerra era stata divisa in 4 settori, e tale era rimasta.
Solo la questione vietnamita risultò ancora insoluta e gli incontri di Parigi non furono così proficui come Nixon aveva annunciato nella sua campagna elettorale. Per di più un altro pericolo incombeva in Cambogia e gli S.U., per mezzo del loro presidente, decisero di non intervenire con militari americani, ma di militarizzare i sud-coreani in modo che fossero in grado di competere contro il loro nemico settentrionale.
Intanto procedeva la nuova campagna elettorale e più per gli
errori degli altri che per particolari meriti propri Nixon potè
replicare.
Ma nell’agosto 1974 fu incriminato dal Congresso e quindi costretto
a dimettersi per il famoso “Affare Watergate”.
Si disse che nella confusione solita della campagna elettorale, alcuni
elementi della “mafia” filorazzista fossero riusciti ad infiltrarsi nel
seguito del presidente per poter inserire dei microfoni spie in quei locali
dove sarebbero avvenuti importanti colloqui, onde acquisire validi elementi
circa la strategia degli avversari. Solo che si dimostrò che tutto
questo avvenne con il consenso del governo e quindi si trattò di
collusione e corruzione.
Gli successe Gerald Ford che però mantenne Kissinger come Ministro degli Esteri per poter proseguire le trattative di pace in Vietnam da una persona esperta e già introdotta.
All’inizio la successione di Ford fu vista con favore, ma piano piano
diversi punti della sua politica delusero i sostenitori. In primo luogo
quella “distensione” con l’URSS tanto magnificata da Kissinger. Si stabilirono
degli accordi commerciali fra i due paesi. Gli S.U. avrebbero venduto all’URSS
da 6 a 8 milioni di tonnellate di grano all’anno, in cambio dì correlativo
petrolio.
Si fece un piano per combattere l’inflazione ma l’aumento delle difficoltà
decretò infine il licenziamento in massa di lavoratori, per cui
la disoccupazione crebbe al 7%. Il sud Vietnam si arrese al nord
che quindi installò un governo di comunisti, dopo che gli S.U. per
dieci anni si erano prodigati in aiuti di ogni genere.
Nel 1975 Ford partecipò a due conferenze tenute in Europa, una a Bruxelles e l’altra ad Helsinki, anche nel tentativo di dimostrare che, nonostante tutto, la potenza americana aveva mantenuto la sua compattezza.
Ma le successive elezioni presidenziali del 2 novembre ‘76 assegnarono la vittoria a J.E. Carter, democratico, proveniente dal profondo Sud ma favorevole alla integrazione dei negri.
Durante il suo incarico di governatore della Georgia ebbe modo di prodigarsi a questo scopo ed infatti era riuscito ad inserire nella burocrazia statale molti elementi negri. Ed anche questa volta non era riuscito ad emergere il sempre ultraconservatore Ronald Reagan.
Assunto ufficialmente l’incarico il 20 gennaio 1977 Carter si mise subito
al lavoro ed insieme al suo Ministro degli Esteri, C.
R. Vance, propose subito la “distensione” accompagnandola alla difesa
dei diritti umani. Poi cercò di migliorare l’economia con l’intento
di ridurre la disoccupazione senza aumentare l’inflazione. I suoi obiettivi
principali furono lo sviluppo di un piano sanitario nazionale, un piano
federale per l’energia ed una riforma del sistema fiscale.
Sul piano internazionale si espresse a favore del ripristino dei rapporti con Cuba e dell’ingresso del Vietnam all’ONU. Concesse il permesso di visitare gli S.U. ai comunisti che ne avessero fatto richiesta, e pur essendo personalmente contrario all’aborto accettò le decisioni in merito della Corte Suprema; elaborò un disegno di legge che consentisse l’intervento del governo nell’aiuto alle imprese private. Poi riprese le consultazioni con l’URSS per limitare il proliferare degli ordigni nucleari e questi accordi furono raggiunti nel 1979.
Ma già nel settembre 1978, dopo lo smacco toccato alla sua politica in Iran, culminato con la deposizione dello Scià, potè applicare la sua abilità di mediatore con la stipula degli accordi di Camp David di una pace separata fra Egitto ed Israele, nemici da sempre.
Alla fine del 1978 furono ripresi i rapporti con Pechino e il Ministro degli Esteri cinese Dend Xiaoping venne a far visita agli S.U.. Poi però il suo prestigio subì un duro colpo quando nel 1979 l’URSS invase l’Afghanistan e quando l’Iran invase l’Ambasciata americana a Teheran prendendo degli ostaggi.
Ne nacque una lunga disputa per la loro liberazione: a questo scopo tra il 24 ed il 25 aprile del 1980 fu tentato un blitz, fallito, per cui furono sancite le sanzioni economiche a carico dell'Iran.
Nonostante ciò Carter ottenne la "nomination" per le elezioni
presidenziali che si sarebbero tenute nel novembre del 1980.
Ma nella società americana intanto si era venuta a creare una
situazione diametralmente opposta a quella propugnata dai democratici.
Gli scioperi, i disordini, la disoccupazione, causarono una controtendenza
nella famiglia americana, più desiderosa di ordine, di tradizioni
e di moralità.
In questo contesto non poteva mancare la vittoria ai repubblicani conservatori
nelle elezioni del 1980.
Due erano i candidati: George Bush, già capo della CIA, e Ronald
Reagan, ancora governatore della California. Quest’ultimo ottenne il 51%
dei voti in quanto più carismatico e, senza dubbio, possessore di
una comunicativa più immediata. Egli seppe illustrare con molta
semplicità di espressione, ma con altrettanta chiarezza, il suo
programma di governo: ciò piacque agli americani ed egli fu eletto.
Anche la Camera ed il Senato ebbero la preponderanza neoconservatorista
repubblicana, così la vittoria fu completa.
Reagan assegnò le cariche più importanti a uomini esperti
e fidati e col loro appoggio diede subito il via a radicali cambiamenti
nell’economia rilanciando immediatamente la reindustrializzazione degli
S.U..
Poi fu elaborato un piano triennale per la diminuzione delle imposte
del 30% e per gli anni 1981/82 previde un taglio di 50 miliardi per le
spese federali.
Avvalendosi, quindi, della sua popolarità di “amico dell'uomo
della strada”, come si definiva, anziché revocare tutti i benefici
dovuti a sussidi e aiuti ai più indigenti, preferì tagliare
le spese per gli aiuti al Terzo Mondo e tolse le sovvenzioni agli studenti
delle fasce più povere perché, per lui, si trattava di una
questione immorale, dato che gli interessati, sicuri di poter sopravvivere
con questi finanziamenti, non prendevano minimamente in considerazione
la ricerca di un lavoro.
Il 30 marzo 1981 fu oggetto di un attentato ma poco dopo era già sulla breccia, a dimostrare la sua forza una volta di più a chi non lo avesse ancora capito. E lo fece domando uno sciopero dei controllori di volo che licenziò quasi completamente in tronco, dimostrando, nel contempo, quanto deboli fossero le organizzazioni sindacali.
Nel 1982 la situazione economica peggiorò, per riprendersi nettamente
nel 1984 e questo probabilmente accadde perché i benefici dell’amministrazione
reaganiana si ebbero con ritardo.
Inoltre manifestò tutta la sua abilità e la sua perspicacia
appoggiando l’illegalità dell’aborto, il ripristino della preghiera
nelle scuole e della pena di morte in alcuni stati, senza mai parlare a
proprio nome apertamente, preferendo che i vari movimenti politici si accollassero
le maggiori responsabilità.
Invece favorì a viso aperto la nomina di giudici conservatori nella gestione della Corte Suprema inserendo anche la conservatrice S. O’Connor, prima donna ad assumere una simile importante carica.
Con la sua politica forte Reagan ristabilì il prestigio degli S.U. nel mondo ma non tutto potè essere svolto secondo i suoi piani ed i rapporti con l’URSS subirono un deterioramento; nel 1983 quando fu abbattuto dai russi un aereo coreano, entrato per errore nello spazio aereo sovietico e nel 1984 col boicottaggio da parte dei russi delle Olimpiadi che si svolsero a Los Angeles.
La politica di Reagan però registrò anche clamorosi insuccessi come nel Centro America quando tagliò gli aiuti ai “contras”, mantenendo vivo nella zona il sentimento anticomunista; poi quando con lo sbarco di 2000 uomini (marines) nel Libano decretò un peggioramento nella situazione locale; e poi ancora, quando volendo risolvere la questione giordano-palestinese persero la vita circa 300 militari statunitensi e francesi nei territori occupati da Israele: senza risultati le forze armate nel febbraio del 1984 dovettero ritirarsi da quei territori.
Nonostante ciò Reagan fu rieletto nel 1984 ma operazioni sbagliate
nell’economia e lo scandalo dell’”Irangate” del 1986 segnarono il suo declino.
Il famoso “Irangate”, che veramente diede il colpo di grazia alla sua
amministrazione fu la scoperta di vendite segrete di armi all’Iran, in
cambio del rilascio degli ostaggi americani; ma non fu solo quello a colpire
l’opinione pubblica americana. Si seppe anche che il ricavato di queste
vendite era destinato ai “contras” del Nicaragua, nonostante il divieto
del Congresso.
Altri insuccessi registrati negli ultimi due anni del suo incarico procurarono una profonda spaccatura fra il Congresso e Reagan che così si avviò alla fine del suo mandato.
Le elezioni presidenziali del 1988 furono vinte da George Bush, repubblicano;
ma il Congresso vide rafforzare la sua maggioranza democratica.
Bush, pur non condividendo in pieno la politica interna del suo predecessore,
nè continuò il cammino cercando però di rendere lo
stato più umano verso i propri cittadini.
Laddove applicò di più la sua opera invece fu il campo della politica estera. Ebbe colloqui con Gorbaciov al quale, in un primo momento, non credette. Cioè non gli ispirava fiducia il suo programma di ristabilire la pace in libertà in tutti quei paesi sottoposti alla dittatura di Mosca. Lo incontrò a Malta il 2/3 dicembre 1989 e tra loro si stabilì una vera e propria collaborazione.
La situazione interna però registrò ancora delle recessioni e diede l’avvìo ad una vera e propria crisi. Tutte le questioni irrisolte dell’amministrazione Reagan si ripercossero su quella di Bush e non solo in campo economico. In quello sociale si verificarono i movimenti più disparati come il “radicalismo dei neri”, sia americani che ispanici, il “movimento della donna e degli omosessuali” che non chiedevano più nemmeno la parità dei diritti quanto il “diritto alla differenza”. E tutto ciò stabilì l’inizio di “guerre culturali” fra liberali e democratici e che andarono oltre la presidenza Bush.
Nel 1990 si ebbe un barlume di miglioramento in campo internazionale con la normalizzazione dei rapporti con l’URSS e la firma di accordi per la riduzione delle armi atomiche e chimiche. E mentre tutto ciò procedeva per il meglio, ecco intervenire l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq.
Bush, colto di sorpresa, reagì immediatamente inviando un forte contingente militare, non accettando il fatto compiuto. Poi, attraverso un fitto lavoro di diplomazia, riuscì a creare una forte alleanza fra vari stati europei ai quali si unì il Giappone, tutti interessati al petrolio del Kuwait, e con rapide azioni di guerra, bombardamenti e attacchi via terra, in pochi giorni costrinse l’Iraq a ritirarsi dal Kuwait. Non pochi personaggi si chiesero perché, arrivato a questo punto, G.Bush, che aveva avuto lievi perdite da questa guerra, non avesse continuato fino alla fine di Saddam Husayn. Ebbene egli preferì ubbidire ai contenuti delle risoluzioni delle Nazioni Unite che non contemplavano la caduta del dittatore.
Alla fine del 1991, con la fine della guerra fredda conseguente alla
disgregazione dell’URSS ed alla presa di potere di Boris El'zin, gli S.U.
rimasero unica superpotenza mondiale. Bush potè intraprendere con
successo il processo di pace israelo-palestinese, la cooperazione col russo
El’zin, il miglioramento dei rapporti con la Cina ed il Vietnam.
A questi successi politici corrispose però una crisi sociale
e ideologica che Bush non seppe fronteggiare. Alcuni poliziotti di Los
Angeles, accusati di violenza ai danni di un negro, furono processati ed
assolti il 29 aprile 1992. Scoppiò una violenta rivolta razziale
che durò 6 giorni e procurò 58 morti.
A giugno del 1993 la Corte Suprema affermò, contrariamente ad
ogni attesa, il diritto all’aborto. Questi avvenimenti misero in luce la
debolezza non solo del singolo presidente ma dell’intera organizzazione
di governo.
Le elezioni presidenziali del 1992 assegnarono la vittoria a William
J. Clinton (Bill), democratico, governatore dell’Arkansas, che durante
la sua campagna aveva dichiarato che suo obiettivo primario sarebbe stata
la riforma sanitaria, atta a proteggere tutti i cittadini, il contenimento
di spese e tasse, avvìo di programmi di riqualificazione, lotta
dura alla criminalità ed al traffico della droga.
Ma nonostante l’impegno, nei due anni successivi alla sua elezione, Clinton non ottenne i risultati sperati, specialmente nella riforma sanitaria. Egli fu osteggiato soprattutto dalle compagnie di assicurazione e dai datori di lavoro che avrebbero dovuto accollarsi il maggior carico delle spese.
Inoltre nel 1994 le elezioni congressuali assegnarono la maggioranza ai repubblicani, guidati dall’ultraconservatore N.Gingrich.
Le successive elezioni presidenziali del 1996 furono ugualmente appannaggio di Clinton che ha sempre continuato la politica distensiva tutta dedita alla realizzazione della “Pace Americana” nel mondo. Per questo i suoi sforzi di addivenire ad una pace definitiva tra palestinesi ed israeliani ha sortito un primo effetto come la restituzione di Gaza ai palestinesi, capeggiati dal loro leader Yasser Arafat, pur continuando il processo di pace con ripetuti incontri dei maggiori esponenti dei due paesi.
Ai suoi successi politici internazionali si sono però contrapposti
fatti personali che hanno scalfito la personalità, peraltro circondata
da una forte simpatia da parte di tutto il mondo. Le sue avventure galanti
gli hanno procurato non pochi problemi che seppure senza raggiungere il
fine di fargli rassegnare le dimissioni dal suo incarico, non hanno certo
rafforzato solidarietà dei suoi avversari politici. In questo anno,
2000, ci saranno in America le nuove elezioni presidenziali alle quali
Clinton non potrà partecipare in quanto la Costituzione degli S.U.
non consente la rielezione per la terza volta alla Presidenza.
Ma intanto, all’inizio del 1998, con la saggia politica
economica perseguita da Clinton, la disoccupazione e la inflazione
diminuirono al punto tale che il bilancio statale per l’anno successivo
si annunciava già in parità. Infatti nel 1999 si superarono
di gran lunga le previsioni e fra i due gruppi del Congresso si accesero
persino delle diatribe sull’uso che ciascuno di loro avrebbe voluto fare
di questi mezzi.
Poi nel marzo 1999 gli Stati Uniti furono coinvolti, insieme ad altri paesi della NATO, nell’operazione Jugoslavia per soccorrere il Kosovo, soggetto alla pulizia etnica contro gli albanesi, voluta da S. Milosevic, presidente serbo della Jugoslavia. E qui Clinton raggiunse il successo dopo due mesi di azioni portate esclusivamente dalla forza aerea americana. Ciò per evitare perdite di vite umane come era accaduto nel Vietnam, ancora tanto dolorosamente ricordato dal popolo americano.
Per tutto l’anno 1999 si svolsero le operazioni relative alle elezioni del 2000. I due candidati designati furono: per i repubblicani George Bush jr., figlio dell’ex presidente, e per i democratici Al Gore, vicepresidente di Clinton.
Ma ancora una novità si affacciava nel quadro politico americano: Hillary Clinton, la “first lady”, aveva iscritto la sua candidatura al seggio senatoriale di New York in contrapposizione al già noto R. Giuliani, sindaco di New York City, e con pieno successo.
Nel novembre 1999 Clinton raggiunse importanti accordi economici bilaterali con la Cina ed all’interno del paese registrò ancora un importante successo sui repubblicani, impedendo loro il taglio delle tasse per il 2000 a tutto danno delle spese sociali, cosa che i repubblicani andavano appunto chiedendo da tempo, per utilizzare quello che era venuto in più dalla florida conduzione economica democratica.
L’anno 2000 fu caratterizzato soprattutto dalla campagna elettorale in atto fra i due candidati e Clinton potè impiegare gran parte del suo operato nella ricerca dei mezzi di pace per il Medio Oriente. Organizzò vari incontri fra il leader palestinese e quello israeliano e per un certo periodo si potè contare su una certa calma nei relativi territori, tanto martoriati.
Purtroppo, negli ultimi tempi del 2000, si verificò una forte recrudescenza dei contrasti, con annessa “intifada” palestinese seguita da sparatorie israeliane.
Intanto, a conclusione della campagna elettorale si potè procedere alle votazioni che decretarono la vittoria del repubblicano George Bush jr.
Clinton continuò ad occuparsi del medio oriente ma senza veder
coronati i suoi sforzi tanto che alla fine dell’anno 2000 la situazione
non aveva subìto felici mutamenti.